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ELEZIONI POLITICHE 2008. VIVA L’ITALIA, LA COSTITUZIONE E LA LEZIONE DI DEMOCRAZIA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, GIORGIO NAPOLITANO - a cura di pfls.

sabato 12 aprile 2008.
 
[...] Per chi voglia ripassare il pensiero di Napolitano sulle istituzioni, c’è un testo, anch’esso recente, di riferimento: la nuova prefazione alla sua autobiografia politica ripubblicata da Laterza. Con una certa amarezza, ma prospettando la possibilità di una ritrovata convergenza, Giorgio Napolitano qui rivendica l’iniziale confluenza bipartisan sulla sua candidatura al Quirinale, e rivive il voltafaccia finale del centrodestra: c’era stato - rievoca - un «affidamento» quasi corale sul suo nome, che non si concretizzò nel voto unitario dei due schieramenti, ma che conferma come la sua elezione al Quirinale non sia stata politicamente e istituzionalmente uno strappo. Il 10 maggio 2006 al quarto scrutinio le Camere lo elessero, infatti, presidente della Repubblica, un voto che divise il Parlamento in due parti. Napolitano fu il primo ex pci ad assumere questa carica, ma non ebbe un’investitura unanime. Al primo scrutinio aveva avuto un classico risultato da outsider: 8 voti su 984, al secondo 15 su 973, al terzo 16 su 976, al quarto prevalse con 543 su 990. Eppure il cruccio di una mancata indicazione bipartisan rimane. Anche perché - nel retroscena - la candidatura aveva trovato un appoggio impegnativo dal centrodestra, in particolare con pubbliche dichiarazioni di Fini e di Casini. Eppure all’ultimo momento Berlusconi tolse il timbro della Cdl [...]

«No comment». L’ira fredda del Quirinale

di Vincenzo Vasile *

Non una parola. L’ira fredda del presidente scende come una coltre sull’ultimo delirio di onnipotenza di Silvio Berlusconi. Schiocca come uno schiaffo il rigoroso «no comment» di Giorgio Napolitano all’assalto del leader del Pdl di fine campagna elettorale. Ma non è solo per evitare interventi in questa fase di incandescente calore politico che Napolitano stavolta ha scelto di tacere. Si può intuire che con il silenzio più gelido si voglia anche in qualche modo sottolineare l’insussistenza e la povertà delle argomentazioni addotte: «... avendo loro il Quirinale... », è già questa premessa di Berlusconi - prima ancora dell’ipotesi che Napolitano si dimetta - che ha fatto saltare la mosca al naso del presidente, inducendolo a rispondere con un altero silenzio.

Un cambio di passo considerevole, rispetto al precedente rapporto tra Colle e Berlusconi, che sinora era apparso generalmente improntato - per volontà di Napolitano - a scongiurare pericoli di rotture e a ricondurre eventuali polemiche nell’alveo delle sottigliezze diplomatiche e dei distinguo. Il senso è che il presidente della Repubblica non degna, insomma, di una sillaba l’ex premier che pretenderebbe di farlo sloggiare dal palazzo più alto della Repubblica in nome di una concezione proprietaria e privatistica delle istituzioni. Quel che doveva essere detto è stato, infatti, già detto, e messo nero su bianco. Anche recentemente. Quando in un forum con la redazione del Tempo Berlusconi si era già lasciato andare a questa tiritera della presidenza appannaggio «dell’altra parte» e al pronostico della condanna conseguente del suo eventuale prossimo governo alle «forche caudine», c’erano state - era il primo aprile - tre-righe-tre di algida e sferzante replica quirinalizia: «La Presidenza della Repubblica - chiunque ne fosse il titolare - ha sempre esercitato una funzione di garanzia nell’ambito delle competenze attribuitele dalla Costituzione senza mai sottoporre a interferenze improprie le decisioni di alcun governo, e considera grave che le si possano attribuire pregiudizi ostili nei confronti di qualsiasi parte politica».

Detto per il passato (in difesa di Ciampi, su cui la solita precisazione di Berlusconi aveva addensato il grosso delle critiche), per il presente, e preventivamente per il futuro. Per chi voglia ripassare il pensiero di Napolitano sulle istituzioni, c’è un testo, anch’esso recente, di riferimento: la nuova prefazione alla sua autobiografia politica ripubblicata da Laterza. Con una certa amarezza, ma prospettando la possibilità di una ritrovata convergenza, Giorgio Napolitano qui rivendica l’iniziale confluenza bipartisan sulla sua candidatura al Quirinale, e rivive il voltafaccia finale del centrodestra: c’era stato - rievoca - un «affidamento» quasi corale sul suo nome, che non si concretizzò nel voto unitario dei due schieramenti, ma che conferma come la sua elezione al Quirinale non sia stata politicamente e istituzionalmente uno strappo. Il 10 maggio 2006 al quarto scrutinio le Camere lo elessero, infatti, presidente della Repubblica, un voto che divise il Parlamento in due parti. Napolitano fu il primo ex pci ad assumere questa carica, ma non ebbe un’investitura unanime. Al primo scrutinio aveva avuto un classico risultato da outsider: 8 voti su 984, al secondo 15 su 973, al terzo 16 su 976, al quarto prevalse con 543 su 990. Eppure il cruccio di una mancata indicazione bipartisan rimane. Anche perché - nel retroscena - la candidatura aveva trovato un appoggio impegnativo dal centrodestra, in particolare con pubbliche dichiarazioni di Fini e di Casini. Eppure all’ultimo momento Berlusconi tolse il timbro della Cdl.

La nuova introduzione del libro riconferma, dunque, la vocazione super partes del capo dello Stato: infatti, Napolitano vi sostiene che sarebbe ben grave l’assenza di un «supremo moderatore e garante di una corretta dialettica istituzionale», eletto dal Parlamento. E l’assimilazione del Capo dello Stato al leader di una maggioranza politica, «investito col voto popolare da una parte del paese in contrapposizione all’altra», finirebbe per «alimentare tensioni incontrollabili nel tessuto istituzionale e nella compagine nazionale». No, non si può, non si deve sostenere che il presidente - anzi la presidenza come la intende napolitano - stia «dall’altra parte». In quel testo il capo dello Stato si diffonde «sull’ardua difficoltà nel perseguire il superamento del clima di pura contrapposizione e di incomunicabilità a scapito della ricerca di possibili terreni di impegno comune, instauratosi nei due schieramenti in gara per la guida del paese». E riconferma di avere «la serena coscienza di aver agito secondo lo spirito e la lettera della Costituzione, senza pregiudizi di favore o di sfavore verso chicchessia, senza ombre o tentazioni di faziosità». Per Napolitano «la collocazione del Presidente della Repubblica al di sopra delle parti, al di fuori della contesa politica e delle competenze di governo, comporta naturalmente una sostanziale limitazione dei poteri del Capo dello Stato». Anzi: «È peraltro importante - scrive - che il richiamo all’interesse generale e al comune quadro di riferimento costituzionale si cali nel vivo di quel rapporto con la società che il Capo dello Stato deve saper coltivare: un rapporto di ascolto e di dialogo con la società intesa non solo nelle sue espressioni politiche, ma anche nella così variegata molteplicità delle sue componenti, delle sue forze, delle sue dimensioni. È così che ogni azione di persuasione può aver ragione di molte sordità e risultare efficace».

* l’Unità, Pubblicato il: 10.04.08, Modificato il: 10.04.08 alle ore 8.24


Sul tema, nel sito, si cfr.:

IL REGNO DEL MENTITORE...

L’ITALIA E L’ATTACCO DI COGLIONERIA...


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