PRODI BACCHETTA GLI ALLEATI. GOVERNO NON METTE FIDUCIA SULLA FINANZIARIA *
ROMA - "Esigo che tutte le forze politiche della maggioranza rispettino gli impegni presi di fronte ai cittadini". Lo ha detto il premier Romano Prodi durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi.
"Il nostro governo - ha ricordato il premier - ha proposto all’approvazione del Parlamento una serie di importanti provvedimenti: il decreto fiscale, la legge finanziaria, misure per i ceti più poveri, l’aumento delle pensioni basse, le politiche per la casa, per i giovani e per combattere la precarietà. Il governo, contemporaneamente, ha svolto un’azione di stimolo verso il Parlamento per avviare una discussione sulle riforme istituzionali e della legge elettorale, per rilanciare l’economia e per restituire un po’ di equità alla società italiana".
"Oggi - ha aggiunto - la maggioranza che sostiene il governo si è divisa al momento del voto non sull’impianto di queste grandi proposte, ma su fatti particolari, mettendo a rischio la realizzazione delle indispensabili riforme. E’ giunto il momento che tutte le forze politiche della maggioranza dicano chiaramente se intendono continuare a sostenere il governo o se vogliano invece far prevalere gli interessi di parte su quelli del Paese". "Non pongo oggi il voto di fiducia - ha concluso Prodi - ma esigo che le forze della maggioranza rispettino gli impegni che hanno assunto di fronte ai cittadini. Questo è quanto comunicherò nelle prossime ore a tutti i partiti della maggioranza".
FINANZIARIA: GOVERNO NON METTE LA FIDUCIA
Il governo non mette la fiducia sul decreto che accompagna la Finanziaria e la seduta di oggi andrà avanti ad oltranza nelle votazioni. E’ quanto deciso dalle riunione dei capigruppo appena conclusa a Palazzo Madama.
Governo battuto due volte in aula al Senato: la prima su un emendamento proposto dall’Udeur sui dirigenti della giustizia. Il governo aveva espresso parere favorevole alla modifica mentre il relatore si era rimesso alla volontà del governo. Il voto dell’aula è stato di 155 pari, che al Senato equivale ad un no. Poi ancora un voto pari - 156 a 156 - e il governo viene nuovamente battuto. Questa volta a non passare e ’ l’emendamento della Commissione Bilancio sul digital divide.
SENATO: MAGGIORANZA SPACCATA, BATTUTA DUE VOLTE
Mattinata nera per la maggioranza al Senato, battuta due volte sul decreto collegato alla finanziaria: sull’emendamento che prevede lo scioglimento della società Stretto di Messina Spa e, dopo un paio di votazioni, sull’emendamento che prevede la cancellazione della Scuola superiore di Pubblica Amministrazione.
Entrambi gli emendamenti avevano l’appoggio della commissione Bilancio. Il governo, comunque, si è salvato nelle due votazioni perché si era rimesso al voto dell’Aula, senza esprimere un suo parere. La società istituita per la costruzione del Ponte rimane in vita grazie ai voti della Cdl a cui si sono aggiunti quelli dell’Italia dei Valori e di due senatori del Partito socialista. I voti contrari alla soppressione sono stati 160 quelli favorevoli 145, mentre sei senatori si sono astenuti.
Ma la maggioranza è andata in frantumi perché cinque suoi senatori hanno votato contro l’emendamento della commissione Bilancio mentre sei si sono astenuti. L’astensione al Senato vale come un voto contrario. I cinque senatori che hanno votato con la Cdl sono: Nello Formisano, Fabio Giambrone e Giuseppe Caforio dell’Italia dei Valori; Roberto Barbieri e Accursio Montalbano della Costituente Socialista. In questa votazione, però, il gruppo dell’Idv si è spaccato, perché la senatrice Franca Rame ha votato sì insieme alla maggioranza. Si è spaccato anche il gruppo socialista perché il senatore Gavino Angius ha votato con la maggioranza.
Dei sei senatori che si sono astenuti, a parte il senatore a vita Emilio Colombo (che però vota sempre con l’Unione), gli altri cinque sono: Lamberto Dini e Natale D’Amico dei Liberal Democratici e tre senatori del gruppo della Autonomie, Carlo Perrin, Manfred Pinzger ed Elda Tahler. Anche nell’astensione c’é stata una spaccatura nei Liberaldemocratici perché il diniano Giuseppe Scalera ha votato sì allo scioglimento della Stretto di Messina Spa. Tra i senatori che non hanno partecipato al voto spicca l’assenza del ministro della Giustizia Clemente Mastella che era presente in aula prima del voto ed ha anche preso la parola per commemorare brevemente la morte dello storico Pietro Scoppola.
Non ha partecipato al voto anche il presidente della commissione Affari Costituzionali Enzo Bianco (Ulivo). Anche i senatori a vita presenti si sono divisi al momento del voto: Emilio Colombo si è astenuto mentre Rita Levi Montalcini ha votato con la maggioranza. Sull’emendamento che prevede la cancellazione della Scuola di Pubblica Amministrazione, la maggioranza è stata battuta con 160 no, 149 sì e un astenuto: Hanno votato con la Cdl i Liberaldemocratici Lamberto Dini, Natale D’Amico e Giuseppe Scalera (questa volta uniti); e Domenico Fisichella. Si è astenuto il sottosegretario Franco Danieli.
IL SENATO DICE NO ALLO SCIOGLIMENTO DELLA STRETTO SPA
di Corrado Chiominto *
ROMA - Il Ponte sullo Stretto non si fa, la decisione è già stata presa. Ma la società "Stretto di Messina spa" rimane, non viene cancellata. L’Aula del Senato ha bocciato l’emendamento che proponeva lo scioglimento della società guidata da Pietro Ciucci creata per seguire i lavori del Ponte per unire Calabria e Sicilia. Si trattava di una proposta nata sull’onda della riduzione degli sprechi legati ai "costi della politica" alimentati da strutture pubbliche oramai senza una missione precisa, come la Stretto di Messina che costa 34 milioni l’anno.
Ma il Senato ha detto no anche ad un’altra proposta che si proponeva di ridurre i costi esponenziali delle amministrazioni, quella che estendeva la cancellazione della Scuola della Pubblica Amministrazione (soppressione che rimane), ad altre strutture pubbliche per la formazione del personale: dall’Istituto diplomatico alla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno fino alla la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze. Per risparmiare si proponeva di fonderle in una sola "Agenzia per la Formazione".
Come dire, stessi scopi, meno poltrone. Ma l’Aula del Senato non ha approvato l’emendamento che aveva già ottenuto il via libera dalla Commissione Bilancio. Così non sono passati due emendamenti che si proponevano risparmi, sui quali il governo alla fine non ha espresso il proprio parere, rimettendosi alla valutazione dell’Aula. La società "Stretto di Messina" è stata al centro negli ultimi giorni di polemiche all’interno della maggioranza.
L’emendamento proposto dal relatore del decreto collegato, il verde Natale Ripamonti, era stato approvato dalla maggioranza in commissione Bilancio. Era quindi arrivato all’aula come proposta della Commissione sulla quale il governo, presagendo maretta per l’annuncio del capogruppo Idv Formisano di votare contro, si è rimesso all’aula. Il nodo politico interno alla maggioranza nasce anche da una diversa valutazione tecnica sulla cancellazione della società. La proposta del relatore (diventata poi di tutta la Commissione dopo l’approvazione da parte della Bilancio) puntava alla cancellazione della "Stretto di Messina" con l’utilizzo del personale in una neo-Agenzia col compito di promuovere le infrastrutture in Calabria e Sicilia.
Il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro aveva però espresso nei giorni scorsi la sua contrarietà sulla soppressione della società, definendo i promotori "talebani" animati da "puro furore antagonista". Il rischio, aveva spiegato il ministro, è quella di vedersi recapitare una penale di 500 milioni di euro da parte delle società private già impegnate per i contratti sul ponte. Ecco quindi la proposta del ministro: far confluire la "Stretto di Messina" nell’Anas, che tra l’altro è guidata dallo stesso presidente Pietro Ciucci.
Per molti senatori dell’Unione del Senato l’ipotesi non era però percorribile. Il potere sarebbe rimasto allo stesso Ciucci che in una recente interrogazione dell’Unione (firmata da Brutti della Sd, dalla Donati dei Verdi, da Casson dell’Ulivo e anche da Sodano che è del Prc ed è presidente della commissione Ambiente di Palazzo Madama) viene invece accusato di aver fatto moltiplicare le spese della società - soprattutto quelle per la propaganda e pubblicità e quelle degli ’stipendi’ degli amministratori - nell’ultimo quinquennio, tra il 2002 e il 2006. "Le spese di propaganda e pubblicità - spiegavano i senatori - sono passate da 110.000 euro nel 2002 a 1.480.000 euro nel 2004" e inoltre "particolarmente rilevante è stato l’aumento della voce ’emolumenti e gettoni di presenza amministratori’, stabilita in 526.000 euro nel 2002 con un picco di 1.616.000 euro nel 2006".
Prima del voto si era anche tentata una mediazione tecnica per smontare contrapposizioni politiche: far confluire la "Stretto di Messina" nella Rfi (la società delle Ferrovie che gestisce le strutture) oppure in Fintecna. Ma l’accordo non è stato raggiunto. E il voto ha confermato la spaccatura, con alcuni senatori del partito di Di Pietro, l’Idv, e alcuni della costituente socialista che hanno votato contro, insieme alla Casa della Libertà, mentre altri sono stati notati per la loro assenza, come il ministro guardasigilli, Clemente Mastella.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Morto lo storico Scoppola, Prodi: «Un padre della Costituzione» *
È morto lo storico Pietro Scoppola, senatore indipendente eletto nelle liste della Dc dal 1983 al 1987. La notizia è stata data nell’Aula del Senato dal senatore Giorgio Tonini che lo ha brevemente ricordato. Scoppola era professore ordinario di storia contemporanea della Sapienza di Roma. Studioso di De Gasperi e del sistema politico italiano con particolare attenzione al ruolo dei Partiti. Un ricordo e un commiato è stato espresso anche dal presidente del Consiglio, Romano Prodi durante la conferenza stampa di presentazione delle iniziative del governo per il 60’ anniversario della Costituzione. «È un ricordo molto triste - ha affermato il premier - Scoppola non è stato solo un grande storico dell’Italia moderna e contemporanea ma aveva fatto della Costituzione il suo punto di riferimento fondamentale, ai valori costituzionali si era sempre ispirato. Dedicherei a lui questo nostro incontro che vuole ricordare con forza questa Carta che costituisce il fondamento della nostra Repubblica».
* l’Unità, Pubblicato il: 25.10.07, Modificato il: 25.10.07 alle ore 11.39
E’ MORTO LO STORICO PIETRO SCOPPOLA
ROMA - Pietro Scoppola, scomparso oggi a Roma prima di compiere gli 81 anni, era professore ordinario di Storia contemporanea nella Facoltà di scienze politiche dell’Università di Roma La Sapienza, dopo aver insegnato Storia del Risorgimento, Storia dei partiti e Storia dei rapporti tra Stato e Chiesa, diventando ordinario nel 1967 come docente di Storia della Chiesa.
Ma accanto al suo lavoro scientifico, lo studioso, nato a Roma il 14 dicembre del 1926, ha sempre svolto un ruolo impegnato civilmente nella società, non solo, per esempio, come direttore della rivista Il Mulino negli anni ’70, ma anche arrivando a essere eletto senatore nella IX legislatura (1983-1987, quando ha fatto parte della Commissione Bozzi per le riforme istituzionali), come indipendente nelle liste della Dc e aver fatto parte della commissione di 12 saggi che hanno redatto il Manifesto del Partito Democratico.
Cattolico, ma libero nel pensiero e nelle elaborazioni dalle indicazioni della Chiesa (sino dalla campagna per il divorzio), ha fatto parte dell’Unione dei Progressisti 18 Ottobre e si è poi avvicinato alla Margherita. Membro della Commissione nazionale dell’Unesco e della Giunta centrale per gli studi storici. La sua ricerca si concentra così, in una prima fase, sul rapporto fra coscienza religiosa e coscienza civile, fra Chiesa e Stato nei secoli XIX e XX; sulla base di questa premessa affronta poi il tema della democrazia in Italia, delle sue origini, dei suoi sviluppi e della sua crisi, per approdare alla dibattuta questione della identità nazionale e della formazione e degli sviluppi del senso di cittadinanza. Scoppola, prima di avere una cattedra universitaria, aveva lavorato come funzionario parlamentare presso il Senato.
Fra i suoi maestri, alla facoltà di Giurisprudenza di Roma, c’era stato anche Arturo Carlo Jemolo, la cui lezione contribuisce a orientarlo verso gli studi di storia politico-religiosa. Ancora a Palazzo Madama, approfondisce gli studi interessandosi, in particolare, alla storia del movimento cattolico e della Democrazia cristiana. Fra le sue opere si ricordano ’Chiesa e Stato nella storia d’Italià (Laterza, 1967); ’La Chiesa e il fascismo’ (Laterza, 1971); ’La Repubblica dei partiti. Profilo storico della democrazia in Italia’ (1945-1990) (il Mulino, 1997); ’La costituzione contesa’ (Einaudi 1998); ’25 aprile. La Liberazione’ (Einaudi 1995). Per la Storia d’Italia Einaudi ’Annali 17 - Il parlamento’ (2001) ha composto il saggio ’Parlamento e governo da De Gasperi a Moro’ e la recentissima ’La coscienza e il potere’ (Laterza 2007).
"Nessun evento storico rilevante è un fatto in sé - spiegava sempre ai suoi studenti - neanche gli eventi singoli come la scoperta dell’America o, più recentemente, la caduta del Muro di Berlino: la loro rilevanza è frutto di una interpretazione successiva. Qual è il vero significato di un’affermazione del genere? Forse che la conoscenza storica dovrebbe essere condannata all’arbitrarietà e all’infondatezza? Uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, Hans Georg Gadamer, ha, non solo smentito, ma ha addirittura rovesciato questa affermazione, insegnandoci che la non completa oggettività delle scienze storiche deve essere considerata non come un limite, bensì come una ricchezza del sapere umano. La conoscenza storica è la relazione di un uomo del presente con uomini del passato, è un rapporto fra uomini".
Il presidente del Consiglio vede in tv la seduta al Senato e sbotta: il governo ha ancora una guida
"La misura è colma
ora voglio stanarli tutti"
Il Professore comincia da Di Pietro: fai il furbo
di GOFFREDO DE MARCHIS *
ROMA - Al terzo capitombolo della maggioranza al Senato, poco dopo l’una, nasce l’ultimatum di Romano Prodi agli alleati. Il premier è davanti alla televisione, sintonizzato sul canale di Palazzo Madama. "Adesso la misura è colma. Devo dimostrare che questo governo e questa maggioranza hanno ancora una guida. Non possiamo andare avanti così", è la reazione del Professore. In quel momento si decide la strategia della giornata. Due passaggi, in attesa del "botto" finale con il messaggio televisivo. Prima tappa: non farsi spaventare dalle bocciature dell’aula, anzi rilanciare. Dunque, Prodi chiama il ministro dei Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti e gli detta la linea da tenere nella conferenza dei capigruppo: "Non chiediamo la fiducia. Continuiamo a votare a oltranza". Una prova di forza, di esistenza in vita? Anche. "Ma voglio stanarli tutti, i dissidenti della mia coalizione. Devono venire allo scoperto, così ognuno si assume le sue responsabilità", sibila il premier. Quindi, la mossa ha soprattutto il sapore di una sfida. "La fiducia la chiederemo, ma con altri mezzi". Si riferisce all’ultimatum serale.
Prima di arrivarci, c’è un altro passaggio. Prodi aspetta al varco Antonio Di Pietro. Il ministro delle Infrastrutture è atteso a Palazzo Chigi nel pomeriggio, per una riunione tecnica. Appena varca il portone della sede del governo, viene convocato dal premier nel suo studio. Quindici minuti faccia a faccia, uno scontro in piena regola che si consuma in un’atmosfera glaciale. Sono gli uomini dell’ex pm ad aver provocato il caso della richiesta di dimissioni di Petruccioli nella commissione di Vigilanza della Rai. Ed è ancora l’Italia dei Valori che manda sotto il governo nella votazione sulla chiusura della società Ponte sullo stretto. Perciò Di Pietro non è soltanto il malcapitato di turno, il leader preso di petto quando per caso si trova a passare nel bunker di Palazzo Chigi. Da tempo Prodi è convinto che "tra tanti ribelli il più pericoloso è Tonino". Perché è imprevedibile, perché è "spregiudicato e il voto in Senato ne è la dimostrazione". "Fai troppo il furbo - lo accusa il premier a quattr’occhi - . Sei il paladino della legalità, ti metti alla testa del movimento di Grillo e poi per un pugno di voti tieni in piedi la società del Ponte sullo stretto, così cara a Totò Cuffaro. Pensi solo ai tuoi interessi, ai consensi del tuo partito".
Prodi gli sbatte sotto il naso la dichiarazione del governatore siciliano che gongola, dopo lo scivolone di Palazzo Madama ("continua il sogno del ponte, bravo Di Pietro"). Si può stare con Marco Travaglio e con il presidente siciliano accusato di favoreggiamento? Evidentemente sì, quando ci sono in ballo fette di elettorato in bacini consistenti come quello dell’isola. Ma c’è un conto aperto con Di Pietro anche per le nuove dichiarazioni contro Mastella e per quel vaticinio: se cade Prodi, ci vuole un governo tecnico.
Quest’ultimo tassello si aggiunge alle parole di Fausto Bertinotti. Il presidente della Camera, con il messaggio di martedì, ha fatto capire a maggioranza e opposizione che Rifondazione non fa le barricate gridando o Prodi o elezioni. Un esecutivo per le riforme ci può essere e in due, dentro la maggioranza, lo hanno già messo nero su bianco.
Sono crepe che si allargano e che impongono una risposta. Da quattro giorni il governo è protagonista nei titoli di testa di tg e giornali per le sue divisioni e i suoi passi falsi. La lite Di Pietro-Mastella, la spietata diagnosi di Bertinotti ("è malato"), la sconfitta sulla Rai in Vigilanza. Un assedio in grado di piegare le ginocchia e fare gettare la spugna a incassatori più grandi di Prodi e maggioranze meno risicate e sfibrate di questa. Bisogna reagire. L’ultimatum è anche un contropiede. Alle sei e mezza del pomeriggio, Palazzo Chigi fa sapere che Prodi scenderà in sala stampa verso le sette per una breve dichiarazione. A quell’ora il Tg3 può andare in diretta, gli altri telegiornali possono preparare i servizi per l’edizione delle 20 e delle 20,30. Infatti la sala stampa è semideserta, ma microfoni delle radio e telecamere sono pronte al collegamento. Questo è ciò che importa.
Dall’isolamento Prodi esce parlando direttamente all’opinione pubblica. "La fiducia non la metto al Senato, ma la chiedo ai leader della maggioranza mettendoli di fronte alle loro responsabilità". In televisione, all’ora di massimo share. Poi, il premier si attacca al telefono. La consultazione con i segretari lo fa davvero. Sente Walter Veltroni, Alfonso Pecoraro Scanio. Il giro continua oggi, alla vigilia dell’assemblea costituente del Partito democratico.
* la Repubblica, 26 ottobre 2007.
Senato, approvato il Decreto fiscale *
Il Senato ha licenziato il decreto del governo che accompagna la Finanziaria nel corso della notte. Una maratona di votazioni in cui maggioranza e governo sono stati battuti sette volte. Quattro volte in mattinata e due volte in serata, dopo l’appello di Prodi alla lealtà, e una in piena notte, quando un emendamento di Fernando Rossi ha raddoppiato il bonus incapienti da 150 a 300 euro. Prima è toccato alla maggioranza essere battuta due volte, poi il governo ha subito due voti di parità, con cui al Senato non passano le proposte, su argomenti su cui aveva dato parere favorevole. Poi due scivoloni in serata su emendamenti appoggiati da governo e maggioranza e, infine, il voto nella notte che ha raddoppiato il bonus, alzato a 5 miliardi il costo della misura. «Spero sia tolto il bonus incapienti», ha detto Natale Ripamonti, relatore del decreto legge collegato alla Finanziaria, al termine di una riunione di maggioranza al Senato. Il perché sta nel fatto che «la copertura non sta in piedi».
Dopo una giornata sempre sul filo, la maggioranza porta a casa il decreto fiscale collegato alla Finanziaria. Il provvedimento è stato definitivamente licenziato con 158 voti a favore contro 155. il provvedimento ha subito qualche modifica, ma non è stato stravolto. Molto discussa la norma (bocciata e dunque non nel provvedimento) per la soppressione della società Stretto di Messina SpA.
Via libera anche alla destinazione del tesoretto, allo switch-off televisivo dall’analogico al digitale terrestre che passa dal 2008 al 2012, ai risarcimenti per i talassemici che si sono ammalati a seguito di trasfusioni infette e ai rifinanziamenti per Venezia e il Mose.
Le altre misure stanziano 550 milioni per ampliare l’offerta di alloggi a canone sociale da destinare principalmente alle giovani coppie con redditi bassi e agli sfrattati. Arrivano 1.035 milioni per le ferrovie e 215 per l’Anas; tolto il meccanismo del silenzio assenso sulle pensioni per finanziare il fondo Inpdap per garantire crediti agevolati ai pensionati.
Nell’editoria tagli meno corposi per i piccoli giornali: la diminuzione dei contributi prevista scende dal 7 per cento al 2 per cento mentre resta al 7 per cento fino a un limite annuo di agevolazioni di un milione e sale al 12 per cento per le testate che superano il milione l’anno di finanziamenti. Il tetto per le percentuali di rimborso a carico del servizio sanitario nazionale per l’assistenza farmaceutica si abbassa dal 14,4 al 14 per cento e varrà anche per le medicine distribuite in ospedale.
«Venerdì la maggioranza ha votato compatta il decreto fiscale senza ricorrere alla fiducia. È questa la notizia. È scandaloso, invece, che molti organi di informazione, soprattutto i Tg Rai, abbiano dato notizie distorte sull’andamento dei lavori dell’aula del Senato», dichiara Manuela Palermi, capogruppo Verdi-Pdci a Palazzo Madama. L’andamento delle votazioni ha visto - sì - la maggioranza divisa (ma il governo si era rimesso all’Aula, ndr), con l’Italia dei valori e anche Barbieri dei socialisti che hanno votato con la Cdl. Ma«venerdì in Senato c’è stata una prova straordinaria», afferma il ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani. «In ogni caso vorrei fosse chiaro che stiamo facendo un miracolo. E con la situazione che c’è al Senato, con due soli voti di maggioranza, andare sotto sette volte su 251 votazioni, ed approvare il decreto senza mettere la fiducia si tratta di un miracolo».
* l’Unità, Pubblicato il: 25.10.07, Modificato il: 26.10.07 alle ore 15.10