A difesa del Concilio

GIUSEPPE ALBERIGO. Lo studioso del cristianesimo è morto l’altra notte; aveva 81 anni. Era stato allievo di Delio Cantimori e Hubert Jedin - a cura di Federico La Sala

Con Lercaro e Dossetti diede un contributo significativo alla stagione del dibattito
sabato 16 giugno 2007.
 

BOLOGNA

Lo studioso del cristianesimo è morto l’altra notte; aveva 81 anni. Era stato allievo di Cantimori e Jedin

Alberigo e la Chiesa nella storia

-  Con Lercaro e Dossetti diede un contributo significativo alla stagione del dibattito conciliare, nome di punta dell’«officina bolognese».
-  Fondò l’Istituto per le scienze religiose «Giovanni XXIII»

di Andrea Riccardi (Avvenire, 16.06.2007)

Quando ho appreso la morte di Giuseppe Alberigo, storico della Chiesa di fama internazionale, mi sono ricordato quel che mi raccontò molti anni fa il cardinale Congar a proposito di questo studioso: «Mi ha colpito - mi disse - che potevamo passare un giorno a discutere con lui in un convegno, ma poi lo trovavo con la Bibbia la mattina presto in cappella». Infatti il professor Alberigo è stato, a suo modo, un uomo di fede che ha amato la Chiesa. La dimensione di fede di Pino, come lo chiamavano gli amici, seppure nascosta dal suo pudore, è stato il filo della sua esistenza. Così era toccato sempre e profondamente da una bella e partecipata liturgia, dalla predicazione della Parola di Dio, da una comunità credente. Questo va ricordato per non fermarsi all’erudito, allo studioso, all’uomo di tante battaglie.

Pietro Parente, cardinale e teologo della scuola romana, rammentando il suo intervento al Concilio Vaticano II in favore della collegialità, mi disse molti anni fa: «Avevo letto il libro di Alberigo, Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella Chiesa universale, ed aveva ragione storicamente». Parente non era una personalità che si trovava sulla stessa lunghezza d’onda di Alberigo. Eppure con quel libro, nel 1964, il giovane studioso (era nato nel 1926) si impose all’attenzione non solo del mondo degli storici, ma anche di quello della Chiesa e della teologia.

Erano gli anni del Concilio, in cui Alberigo ha avuto un ruolo notevole nel quadro del lavoro dell’«officina bolognese», guidata da don Giuseppe Dossetti e in sintonia con il cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna. A quella stagione risalgono le sue relazioni con Congar, Chenu, ma anche con Joseph Ratzinger, con il migliore pensiero teologico europeo. E’ una storia solo in parte indagata, ma che si radica nell’esperienza del Centro di documentazione, poi Istituto per le scienze religiose di Bologna, fondato nel 1953 da Giuseppe Dossetti. Questi, qualche anno dopo l’inizio, scriveva a Lercaro: «Il Centro è nato da una constatazione: quella cioè che le istituzioni culturali italiane non danno quasi nessun posto alla scienza religiosa...».

Mai Alberigo ha nascosto come Giuseppe Dossetti rappresentasse una grande lezione per la sua vita prima che per le sue ricerche. Di lui scriveva assieme alla moglie: «la sua testimonianza ha sempre coniugato con tutte le sue forze creatività intellettuale, impegno interiore e dedizione personale in un contesto di fede cristiana intensamente professata».

Questo era un ideale di vita, che egli condivideva con Angelina, la moglie, compagna di tante avventure ecclesiali e intellettuali con un senso di "militanza" che appare originale rispetto allo stile di tanti accademici. Alberigo era però una storico rigoroso, che aveva assorbito l’insegnamento storiografico di Delio Cantimori (di cui era stato assistente) e di Hubert Jedin. La sua attenzione si era concentrata sul governo della Chiesa e le sue istituzioni, sui Concili e la loro storia.

La riforma della Chiesa e la ricerca dell’unità avevano attraversato come un’unica grande passione il suo lavoro di studioso. Credeva molto all’Ecclesia sempre reformanda e intendeva contribuirvi. Bisognava leggere e capire il cristianesimo nella storia: così fu intitolato il volume per i suoi settant’anni da amici e allievi, Cristianesimo nella storia; così è intitolata la rivista dell’Istituto che egli guidava. Storia e cristianesimo sono stati i poli dei suoi interessi di una vita: l’uno mai separato dall’altra. La grande lezione che egli traeva dai suoi studi storici era la scoperta della ricchezza delle dimensioni e dei volti della Chiesa nel passare dei secoli. A questo intendeva appassionare gli studiosi più giovani, che poi spesso hanno seguito loro percorsi propri, ma a partire dal suo insegnamento storiografico.

La figura paradigmatica del sentire tra grande storia e riforma nel presente gli era apparsa proprio papa Giovanni, a cui ha dedicato tanto studi e la cui beatificazione auspicava fin dai tempi del Concilio. Così concludeva un libro dedicato a Giovanni XXIII, scritto con Angelina: «Lavorando su Giovanni si ha l’inebriante impressione di fare storia del futuro». Questa era un po’ la sua convinzione: lavorando sulla storia si potevano preparare materiali per la storia del futuro.

In questa prospettiva Giovanni XXIII e la storia del Vaticano II erano stati i due campi in cui, negli ultimi due decenni, aveva lavorato e guidato una serie di studiosi. Le sue interpretazioni sul Concilio hanno fatto molto discutere. Il che non aveva preoccupato lo studioso di Bologna, il quale anzi lamentava che nella Chiesa e nel mondo degli storici la quantità e la qualità del dibattito si fossero ridotte. Per lui il dibattito non era però quello dei talk show, ma quello severo degli studi e delle idee, alla cui forza credeva fermamente. Viveva infatti il suo essere storico come un originale magistero e, conscio di questo, ponderava i suoi giudizi sui lavori propri ed altrui, lasciando stupiti i più giovani, abituati ad un altro modo di concepire la vita universitaria e la ricerca.

La cultura italiana non può dimenticare il grande contributo di Alberigo al risveglio dell’interesse per gli studi storici della Chiesa, del cristianesimo, della storia della teologia e in senso lato delle tematiche religiose. Si tratta di un settore quasi dimenticato nell’Università italiana, considerato solo buono per studiosi dell’antichità o un campo di carattere confessionale. Alberigo (che ha insegnato a Bologna dal 1968) è stata una delle personalità che, in tempi in cui gli studi religiosi erano trattati come una specie di archeologia, ha richiamato al loro valore per comprendere il presente e per una vera cultura umanistica ed è, in parte, riuscito a creare spazio a questa sensibilità.

Lo studioso di Bologna ha inteso, però, offrire i suoi studi alla Chiesa. Non lo faceva per coinvolgere l’autorità del Papa o della Chiesa in letture di cui portava la responsabilità personale. La presentazione dei lavori dell’Istituto da lui presieduto ai Papi (a partire da quella dei Conciliorum Oecumenicorum Decreta a Giovanni XXIII nel 1962 sino all’ultimo incontro con Benedetto XVI) esprime simbolicamente l’atteggiamento con cui Giuseppe Alberigo ha lavorato e vissuto: offrire la storia, la sua storiografia alla Chiesa.


la vita

Storico del Vaticano II *

Lo storico Giuseppe Alberigo, uno dei più illustri studiosi di storia della Chiesa, è morto l’altra notte all’ospedale Malpighi di Bologna. Aveva 81 anni. Colpito da un aneurisma nello scorso mese di aprile, alcune settimane fa Alberigo era entrato in coma e da allora non si è più ripreso. Giuseppe Alberigo dal 1967 era ordinario di storia della Chiesa nell’Università di Bologna e dirigeva nella stessa città l’Istituto per le scienze religiose Giovanni XXIII e la rivista «Cristianesimo nella Storia».

Ha ricevuto lauree «honoris causa» in Teologia dalle Università di Monaco di Baviera, di Strasburgo e di Munster. Ha collaborato alla preparazione della documentazione per la causa di beatificazione di Giovanni XXIII. Faceva parte del comitato internazionale della direzione della rivista «Concilium». Il professor Alberigo era considerato uno dei maggiori esperti dei Concili ecumenici. Ha curato una monumentale storia del Concilio Vaticano II uscita dal Mulino in cinque volumi fra il 1996 e il 2001. I fun erali si terranno lunedì alle ore 15 nella Chiesa di San Bartolomeo a Bologna.


il caso

-  Rottura o continuità? Dibattito aperto
-  sull’interpretazione del Concilio Vaticano II
*

La visione del Concilio teorizzata da Alberigo nei cinque volumi della «Storia del Concilio Vaticano II» (pubblicata dal Mulino) e nel volumetto della «Breve Storia del Concilio Vaticano II» era caratterizzata in primo luogo da una dialettica, se non da un’opposizione tra «l’evento» del Concilio Vaticano II e «i documenti» dello stesso. La sua tesi era quella di una «rottura epocale» che avrebbe portato alla nascita di un nuovo cattolicesimo, di un corpo ecclesiale reimpiantato ex novo dal Concilio. Sua anche l’idea di una contrapposizione tra «due Concili», quello di Giovanni XXIII e quello di Paolo VI: il primo proteso al rinnovamento, l’altro impegnato nella reazione contro il presunto «spirito del Concilio».

Molti studiosi hanno contestato però l’enfasi che Alberigo e la «scuola di Bologna» hanno posto sul materiale memorialistico e periodistico (fonti secondarie), che si tradurrebbe in una sostanziale disattenzione per gli Atti Ufficiali del Concilio (fonti primarie), come ha rilevato l’arcivescovo Agostino Marchetto, attuale segretario del dicastero vaticano per i migranti e autore nel 2005 del volume «Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Contrappunto per la sua storia», che ha contestato le tesi della scuola di Bologna.

«L’interpretazione del Concilio come rottura e nuovo inizio sta venendo a finire. È un’interpretazione oggi debolissima e senza appiglio reale nel corpo della Chiesa», ha affermato il cardinale Camillo Ruini alla presentazione dell’opera. Testimonia la centralità della questione per la vita della Chiesa proprio il discorso alla Curia Romana che Benedetto XVI ha dedicato all’argomento, nel dicembre 2005. Descrivendo la contrapposizione tra due ermeneutiche del Concilio, quella «della discontinuità e della rottura» e quella «della riforma» nella continuità sostenuta da Giovanni XXIII e da Paolo VI, Benedetto XVI ha affermato che «l’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti».

* Avvenire, 16.06.2007.



Alberigo e Ratzinger, i due professori *

L’ultimo atto pubblico importante del professor Giuseppe Alberigo, prima della morte avvenuta il 15 giugno, è stato un incontro con Benedetto XVI, il 7 febbraio, in coda all’udienza generale del mercoledì.

In quell’incontro Alberigo portò in dono al papa il primo volume dei “Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta”, la nuova edizione di una delle due opere maggiori dell’”officina” bolognese fondata da don Giuseppe Dossetti, assieme alla grande “Storia del Concilio Vaticano II” pubblicata in cinque volumi man mano portati in dono all’allora cardinale Joseph Ratzinger.

Nel 2001, nel presentargli l’ultimo volume di quest’opera, Alberigo seppe da Ratzinger che egli aveva intenzione di lasciare le proprie carte sul Vaticano II, dopo il pensionamento, proprio all’Istituto bolognese diretto dallo stesso Alberigo. Successivamente, da papa, Ratzinger avrebbe confermato ad Alberigo che di questa sua intenzione aveva scritto nel testamento, “pur lasciando libertà di non ottemperare le sue volontà all’esecutore testamentario”.

A rivelare queste confidenze di Ratzinger ad Alberigo è stato il suo discepolo Alberto Melloni, sul “Corriere della Sera” del 28 maggio.

Sull’opera svolta da Alberigo come studioso e come uomo di Chiesa www.chiesa ha pubblicato vari servizi. Tre in particolare. Il primo sull’interpretazione del Concilio: “Vaticano II: la vera storia che nessuno ha ancora raccontato”. E gli altri due sull’”officina” bolognese: “Papa monarca, addio. Il programma dei progressisti in conclave” e “Il Concilio di Bologna. Fortune e tramonto di un sogno di riforma della Chiesa”.

Sull’interpretazione del Vaticano II, dal punto di vista di Benedetto XVI, fa testo il discorso rivolto dal papa alla curia il 22 dicembre 2005.

* SETTIMO CIELO di SANDRO MAGISTER, 18.06.2007



Sul tema, in rete e nel sito, si cfr.:

VIVA L’ITALIA. LA QUESTIONE "CATTOLICA" E LO SPIRITO DEI NOSTRI PADRI E E DELLE NOSTRE MADRI COSTITUENTI. Per un ri-orientamento antropologico e teologico-politico.

L’ITALIA E L’ANNO DELLA VERGOGNA (1994): L’ALLARME DI DON GIUSEPPE DOSSETTI

STATO E CHIESA: UN PROBLEMA TEOLOGICO-POLITICO, NON STORICO. CON LA COSTITUZIONE IL POPOLO ITALIANO HA FATTO "LA RIFORMA", MA NE’ I CATTOLICI NE’ I LAICI LO HANNO CAPITO. A PIETRO SCOPPOLA, CHE AVEVA COMINCIATO A CAPIRLO, ALLA FINE GLI HANNO "SPEZZATO LE RENI".... E ORA ANCHE A NOI: "FORZA ITALIA"!!!

GIOACCHINO, DANTE, E LA "CASTA ITALIANA" DELLO "STATO HEGELIANO" - DELLO STATO MENTITORE, ATEO E DEVOTO ("Io che è Noi, Noi che è Io").

LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE.


Muore Alberigo. Ha difeso il Concilio

di Fulvio Fania (Liberazione, 16 giugno 2007)

La "Officina’ perde il suo maestro. Alberigo, l’allievo di Dossetti, si è spento nella notte di ieri. Nella sua "scuola di Bologna", tra gli storici e gli intellettuali della Fondazione per le scienze religiose intitolata a Giovanni XXIII, temevano questa brutta notizia da metà aprile, quando Alberigo è stato colpito da un gravissimo aneurisma che non ha lasciato scampo ai suoi 81 anni.

Eppure in quei giorni "l’appello di Alberigo", lanciato a febbraio, dava ancora molto fastidio ai vertici della Cei. Erano poche righe, drammatiche per un cattolico come lui, una severa protesta per l’annuncio da parte del cardinal Ruini della "nota vincolante" contro i Dico. «La chiesa italiana sta subendo un’immeritata involuzione, supplichiamo i pastori di evitare tanta sciagura», aveva scritto l’anziano studioso e migliaia di persone sono accorse a sottoscrivere il suo allarme e quella scelta di laicità.

La maniera di Alberigo non consentiva splendidi isolamenti in mezzo ai libri benché i libri e la ricerca fossero la ragione del suo impegno anche dentro la Chiesa.

Un’impresa senza uguali quella che ereditò da Dossetti: costruire un centro di studi religiosi laico, non contrapposto alla Chiesa ma neppure subalterno ad essa, in un Paese come l’Italia in cui questo genere di discipline era praticamente monopolio ecclesiastico o affidato a singoli esperti. I cinque volumi della "Storia del Concilio", curati da Alberigo, hanno fatto il giro del mondo, tradotti in diverse lingue, mentre l’originario istituto, poi trasformato in fondazione, si è arricchito di una gigantesca documentazione sulla storia della Chiesa.

Alberigo muore proprio mentre l’ostilità ai "dossettiani di Bologna" si rafforza nelle alte sfere della gerarchia, soprattutto italiana, sempre più insofferente al peso culturale della loro istituzione nonché alle simpatie politiche verso il cattolicesimo popolare. Il 7 febbraio scorso lo storico si presentò a Benedetto XVI al termine dell’udienza generale. Gli consegnò l’ultima opera collettiva del suo istituto, uno studio sui decreti dei "Concili ecumenici e generali". Alberigo e Ratzinger si conoscevano bene. Nel Concilio infatti il teologo bavarese, allora considerato un innovatore, accompagnava il cardinale Frings; Alberigo seguiva invece con Dossetti il cardinale Giacomo Lercaro.

Secondo quanto riferiscono i "bolognesi" il papa nel breve colloquio avrebbe promesso di lasciare alla Fondazione tutte le sue carte personali del Vaticano II. Ciò non ha impedito, però, che all’inizio di giugno un corsivo anonimo dell’Osservatore romano sparasse a zero contro il volume sui concili costringendo Alberto Melloni, lo studioso più in vista del gruppo bolognese, a replicare sul "Corriere della sera".

Ma la vera ragione del contendere è un Concilio solo, appunto il Vaticano II. Ruini ha dichiarato guerra al presunto dominio storiografico del centro dossettiano, già pochi mesi dopo l’avvento del nuovo papa. «L’interpretazione del Concilio come rottura e nuovo inizio - disse - sta venendo a finire». Senza nominarlo, il cardinale stava parlando di Alberigo mentre presentava una nuova storia pubblicata da monsignor Marchetto. «E’ un’interpretazione debolissima - incalzò l’allora presidente Cei - senza appiglio reale nel corpo della Chiesa» e quindi - concluse - occorre «una nuova ricostruzione del Vaticano II che sia anche, finalmente, una storia di verità».

Insomma, guai a chi parla ancora di spirito del Concilio, guai a chi - come Alberigo e i suoi - distingue tra la «complessità dell’evento assembleare», per la vivacità e le aspirazioni che lo animarono, e «la relativa aridità delle sue decisioni». Così giudicando, infatti, si ricava come minimo l’impressione di un Concilio ibernato o comunque ridotto ad un fatto da archiviare. Alberigo invece vorrebbe rimetterlo in moto, chiede una «ricezione selettiva di ciò che è vivo e ciò che è morto» ma anche «creativa» per la chiesa contemporanea.

Il vento tuttavia soffia avverso da parecchi anni. Ratzinger è diventato papa proprio nel quarantesimo anniversario delle conclusioni del Vaticano II. Quando celebrò la ricorrenza parlò soprattutto della Madonna ma il 22 dicembre 2005 rivolse alla Curia un discorso denso di indicazioni. Polemizzò contro «l’ermeneutica della discontinuità», la tesi secondo cui il Concilio segnò una «rottura» rispetto alla chiesa preconciliare, e contro la pretesa di uno «spirito» di quella grande assemblea che sarebbe stato travisato nei compromessi finali.

La "scuola di Bologna" resiste anche quando si tratta di criticare storicamente i papi, da Paolo VI a Wojtyla, facendo risaltare la figura sempre amata di Giovanni XXIII. Odiati dai tradizionalisti, che li considerano un’inesaurita fucina di catto-comunisti, gli studiosi si sono però attirati anche qualche critica di storici progressisti: non è facile infatti mantenere sempre l’equilibrio tra la rigorosa indagine storiografica e la passione militante per un papato e un concilio di 40 anni fa che potrebbero ancora suggerire la via alla chiesa di domani.


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