Già pubblicato lo scorso 18 maggio
Amelia e Concettina sono sorelle, sulla sessantina entrambe, passeggiano nervosamente per i corridoi de ‘Le Molinette’ nel reparto del prof. Salizzone, dove si effettuano trapianti di fegato. Il figlio di Amelia, nipote di Concettina, è sotto i ferri e loro, dopo un lungo viaggio in treno dalla Sicilia, sono in apprensione per la vita del loro bambino quarantenne. Mi avvicino alle due donne, Amelia mi guarda con occhi disperati, si mostra contenta di poter parlare e condividere con qualcuno quei momenti terribili. Il suo accento siciliano mi fa pensare a quei paesini in provincia di Messina dove sono stato molte volte. Amelia e Concettina mi raccontano l’ultimo anno, mi dicono che è stato durissimo per Giovanni, improvvisamente si erano accorti che qualcosa non andava con il fegato e velocemente era arrivato al punto di essere iscritto nella lista dei trapiantandi. "Non è stato facile per noi accettare questa malattia, anche perché non sappiamo da cosa sia avvenuto il contagio, non ricordiamo nulla che possa aver portato il nostro figliolo fino ad ammalarsi di cirrosi epatica, è anche astemio" - dice Concettina mentre si asciuga una lacrima. Amelia continua: "Quando l’equipe del Professore ha deciso di mettere in lista Giovanni abbiamo pensato che Dio aveva ascoltato le nostre preghiere, perché, anche per entrare in lista di trapianto ci vuole fortuna, non solo si guarda la gravità della malattia e l’età del paziente, che è una cosa giusta ma (abbassando la voce e guardandosi intorno) c’è una specie di intrallazzamento fatto di conoscenze e altro". Non ha aggiunto molto di più ma mi ha lasciato intendere parecchio. Mi raccontano anche che circa sette giorni prima dell’intervento erano partiti d’urgenza dalla Sicilia perché Giacomo non stava bene per niente, perdeva la memoria e in casa si erano accorti dell’aggravamento. Arrivati al pronto soccorso dell’ospedale erano stati lasciati in attesa troppo tempo e quando avevano chiesto con insistenza il ricovero, il medico di turno, una dottoressa, li aveva anche maltrattati. Dopo aver discusso un po’ lo avevano ricoverato e con sgarbo la dottoressa aveva detto loro: ‘ve l’abbiamo ricoverato, siete contenti? Cosa volete ancora? Andate a casa’. Come se qualcuno si divertisse ad andare in ospedale, come si permette un medico a dare una risposta del genere? Se si fosse trattato di un suo parente sicuramente si sarebbe comportato diversamente. Se il paziente è stato poi sottoposto a trapianto urgente significa che ne aveva veramente bisogno e allora, la sciocca dottoressa ha chiesto scusa al paziente e ai suoi familiari? Nemmeno per sogno! Questo tipo di abuso di potere non solo è disdicevole come atteggiamento ma è molto più grave perché è in ballo la vita di una persona. Se paghiamo i nostri contributi e alla fine, in caso di malattie gravi, dobbiamo prima preoccuparci di non essere maltrattati ad un pronto soccorso, vuol dire che il nostro sistema sanitario è da equiparare al quello del quarto mondo, o peggio, perché in certi paesi è vero che mancano le strutture ma spesso si incontrano medici italiani e provenienti da ogni parte del mondo, che si comportano in maniera umana nei confronti degli ammalati. Un malato grave ha bisogno di dolcezza e comprensione, ha la necessità di sentirsi al sicuro e non di sentirsi vittima di un sistema che, ancora una volta, massacra chi si trova in una posizione di debolezza. Ho parlato con molte persone in attesa di trapianto, non dirò il nome di nessuno per ovvi motivi, hanno bisogno e non possono rischiare nulla. Spesso mi sono trovato a parlare di pronti soccorso, tra cui quello di Rivoli in provincia di Torino o quello di Messina, dove l’indifferenza dei medici di fronte al dolore della gente non è ammissibile. Anziani lasciati tra i dolori di pancreatiti acute e parenti maltrattati e cacciati, responsabili e infermiere scorbutiche, assistenti incapaci e assoluto menefreghismo. Sono conscio del fatto che non bisogna generalizzare, ma a mio avviso, non è ammissibile che esista il 50% di malasanità. Anche questo tipo di comportamento va catalogato come mala sanità perché parliamo della salute delle persone, del bene più grande che ogni uomo ha. Non mi interessa che si effettuino gratis i cambi di sesso o chirurgie estetiche, cosa che, prendendo ad imitazione da alcuni paesi sudamericani, già si pensa di fare anche in Italia. Occorre fare in modo che i nostri ospedali vengano ripuliti da chi fa il medico solo per guadagnare molto e chi ha la responsabilità di ambulatori e pronti soccorsi che, approfittando della posizione di debolezza o dell’incapacità di parlare e di difendersi di molti italiani, infieriscono e maltrattano psicologicamente. Qualche anno fa fece scandalo un mio articolo che parlava di ‘Villa Serena’, un centro in provincia di Torino dove all’accettazione una folle isterica trattava tutti a pesci in faccia. Segnalai il fatto ad un superiore che rispose: ‘ sa com’è...c’è tanto lavoro e bisogna comprenderla’, la stupidissima risposta m’indispose e quindi scrissi un pezzo per un giornale della zona. Divenne un caso e credo che ora la signora che si occupava della mala accoglienza dei pazienti starà svolgendo altro tipo di lavoro. Il centro venne ribattezzato ‘Villa Nervosa’. Stessa cosa avvenne quando qualcuno, conoscendo la mia rabbia contro gli abusi di questo tipo, mi chiamò perché al pronto soccorso di Rivoli (Torino) venivano lasciati sulle barelle a gridare dal dolore ammalati senza curarsi di dare loro in qualche modo sollievo. Anche quella volta ne parlarono i giornali e spero di aver contribuito anch’io, in qualche maniera, a migliorare il servizio. Il cameratismo medico è qualcosa di veramente forte, non si pestano i piedi tra di loro e pur quando uno si rende conto delle male fatto da un altro, viene coperto in una sorta di omertà viscida e inaccettabile. Capisco che tra colleghi esista questo tipo di atteggiamento, ma, in certi casi, vorrei ricordare che potrebbe anche tradursi in associazione a delinquere. Quei medici (la minor parte per fortuna) che usano il loro potere psicologico su pazienti inermi e spaventati dalla morte, sono dei delinquenti e molta attenzione devono fare perché dietro il viso insignificante della gente ci potrebbe essere chi,come me, memorizza , non accetta,non si piega e poi, in qualche maniera rende pubblica la cosa, attraverso i media. Sarà per questo che vengo contattato regolarmente da chi riceve questo tipo di sopruso e spero che siano in molti ora a farlo. E’ ora che insieme alle varie associazioni del malato esista un vera e propria agenzia del malato, uno dei ruoli del centro per cui collaboro, la Media Contact, è proprio questo. Non dobbiamo per forza stipulare polizze assicurative per poter stare tranquilli in caso di necessità, dobbiamo garantire non solo efficienza e professionalità sanitaria, ma anche la serenità di tutti, soprattutto di chi non è famoso, di chi non è ricco e di chi è debole. Voi medici e addetti sanitari che vi comportate in questa maniera dovreste solo vergognarvi e pensare che potrebbe anche accadere che un vostro parente non abbia bisogno del vostro reparto, e, malgrado le vostre conoscenze e intrallazzi, debba rivolgersi ad altro ospedale dove potrebbe essere trattato, manipolato e malamente assistito come voi normalmente usate fare con quei poveracci che vi capitano sotto tiro. Ho spesso parlato dei padri separati e ho chiesto a quelli ‘degni’ di essere i primi a denunciare i tanti ‘indegni’. La stessa cosa dovrebbero fare i molti medici ‘giusti’ nei confronti dei troppi ‘ingiusti’. Nel campo della sanità non dovrebbero nemmeno esistere casi di questo tipo, questa non è altro che delinquenza sanitaria. Allo stesso tempo dobbiamo anche constatare che esistono medici e strutture che svolgono il loro dovere, ma questa dovrebbe essere la normalità non l’eccezione. Chiunque abbia un caso simile può segnalarmelo e, attraverso la Media Contact, cercheremo di rendere pubblico il male operato sanitario. Ribellatevi a questo, non accettate in silenzio, parliamone insieme.
info@mediacontact.it
Alla prossima.
Cosmo de La Fuente
Ho un caso molto simile al caso di Amelia e Concettina, non so se il figlio abbia superato l’intervento per quel che mi riguarda mia zia, 52 enne malata di cirrosi epatica contratta anni fa con una trasfusione di sangue (!!!), non ce l’ha fatta e dopo un 2 mesi dal trapianto di fegato è deceduta, causa infezioni. Ospedale Niguarda di Milano, specializzato nei trapianti. Sarà anche specializzato nei trapianti ma la prima volta che ci ho messo piede una sensazione di squallore mi ha invasa. Stabili che cadevano a pezzi con intonaco ovunque, sporcizia e cattivi odori regnavano fin nella sala d’aspetto della terapia intensiva. Il caso che mi appresto a raccontarvi credo sia al limite della realtà, doppio errore dei medici sulla stessa persona... Mia zia Maria originaria di Altamura (Ba) si ammala di cirrosi epatica molti anni fa, da circa 4 anni era in costante contatto con Milano, prima Ospedale San Paolo, poi Niguarda. 8 mesi fa decidiamo di prendere un piccolo appartamento a Milano per cercare di stare dietro ai medici ed essere sempre presenti nel momento in cui (grazie ad un miracolo) qualche medico svegliatosi positivamente al mattino si fosse deciso ad attivarsi per mia zia. Infatti...stando sul posto e rendendoci insopportabili riusciamo ad ottenere un ricovero, cosa che non hanno mai consigliato nonostante la situazione degenerasse giorno dopo giorno (come se prendere appartamento in affitto a Milano fosse economico al giorno d’oggi.....si deve arrivare a questo.......!!) Il tutto inizia una volta ricoverata... Non farò menzione di ogni singolo episodio, per rendere l’idea al meglio dico solo che mia zia era arrivata al punto di implorare sua figlia (onnipresente) di non dire nulla agli infermieri o ai medici quando qualcosa andava storto (ad esempio, quando non la lavano o quando le davano una medicina per un’altra o quando le facevano del male nel vero senso del termine perchè poco delicati). Mia cugina se ne era resa conto subito, ha lottato per ottenere ciò che le era dovuto ma alla fine, viste le poche speranze di sopravvivenza, è caduta anche lei in quel circolo...tacere pur di ottenere un minimo di decenza...che non è mai arrivata.
Dicono che dopo i trapianti i pazienti debbano essere tenuti lontani da posti in cui è possibile contrarre anche un semplice raffreddore, per questo tali pazineti per i mesi successivi devono indossare sempre e comunque delle mascherine. Dicono....poi nella pratica... 25 giorni circa dopo l’intervento al quale mia zia è arrivata con il 20% di possibilità di riuscita iniziavano ad essere evidenti prime anomalie...(forse intervento non riuscito?forse fegato non adatto?)era necessaria una tac... Mia zia viene portata in barella in una sorta di sala d’attesa. ATTENZIONE: per sala d’attesa intendo non la sala riservata ai soli pazienti post trapianto o post altro intervento chirurigco ma la sala d’attesa comune dell’ospedale dove era facile notare la presenza di persone in attesa del proprio turno prima di scappare al proprio lavoro...qui era possibile notare di tutto...dall’extracomunitario poco vestito all’italiano gommista con indosso la tenuta da lavoro sporca di grasso. Parliamo sempre di persona post trapianto....lasciata in barella in mezzo a tutto questo. Quando mia cugina si è presentata in questa sala per accertarsi che la mamma per lo meno indossasse la mascherina si è trovata davanti 2 infermieri che alla domanda "come mai è in questo posto? ma soprattutto come mai non indossa alcuna protezione?" hanno risposto sorridendo "e dove vuole che la portiamo? se vuole me la porto a casa?". Dopo questo ironica battuta mia cugina decide di noleggiare un ambulanza (a spese del paziente!!!!!!!) per portare il prima possibile mia zia lontana da quel posto e recarsi nel reparto in cui avrebbe fatto la tac, cosa a cui avrebbe provveduto la struttura ospedaliera ma solo dopo non si sa quante ore in quella sala d’attesa.
Dopo pochi giorni inizia un travagliatissimo via vai nuovamente con la terapia intensiva dalla quale era stata dimessa 20 giorni dopo il trapianto. Primo shock settico, causa infezioni varie e molto forti. A detta dei medici nel caso in cui se ne fosse ripresentato un secondo non ci sarebbe stato piu nulla da fare. Così è stato. Mia zia non ce l’ha fatta a superare il secondo shock settico ed è deceduta senza aver mai battuto ciglio perchè loro, i medici, ti inducono a soffrire in silenzio altrimenti ti riducono le possibilità di sopravvivenza. Lei pero non ha ottenuto nulla in cambio del suo martirio se non qualche commento sulla sua forma esteriore...troppo pesante per essere portata in bagno da infermieri che tanto parlano e poco si applicano.. Solo un quesito...ma anche il sistema sanitario è stato invaso da rumeni, cechi, bulgari etc? Speriamo che almeno in questo settore lavorino con delle qualifiche e siano ben pagati... Perche se dovessero lavorare come in tutti gli altri settori come sotto pagati e senza alcuna regola...staremmo messi proprio bene in Italia. Che non si scambi quest’ultima osservazione con altro che non è. Il mio è un discorso di uniformità e regolarità. Ho visto uscire dalla sala operatoria il giorno dell’intervento su mia zia (13 ore ed io presente) uno straniero diretto nella stanza di fronte alla sala operatoria. Mi sono accostata alla porta, origliavo cercando di carpire quel poco che mai ci hanno detto, ho sentito questo ragazzo parlare al telefono con un altro medico, "cercava" di illustare come stesse procedendo la situazione... "Cercava"...non si capiva assolutamente nulla di quello che diceva, ha ripetuto molte, troppe volte le stesse frasi incom prensibili...in un momento in cui ciò che conta di più è il tempo... Ma almeno pagategli un corso di italiano!
Mia cugina vorrebbe adire le vie legali per tutto quanto sopra. Se solo si avesse la forza di documentare tutto quello che succede negli ospedali si potrebbe davvero far qualcosa..Invece cosi...l’80% dei casi di responsabilità medica è vinta dagli stesse medici...perchè la medicina è una scienza inesatta..ma basta con questo alibi.. Apriamo gli occhi..
Non ho altro da dire. Spero si racconti di questa terribile storia. Rosamaria Berloco
rosamaria.berloco@gmail.com