Amico Silvio 1.0
di Alessandro Robecchi *
Tenetevi al passo con le nuove tecnologie. Installate subito sul vostro computer Amico Silvio 1.0, il nuovo programma che cambierà il vostro modo di pensare. Bastano pochi clic e Amico Silvio 1.0 si istalla al posto dei vecchi programmi, cose obsolete come Anticomunista 2006, o Conflitto d’Interessi 2.0. Caratteristiche tecniche. Amico Silvio 1.0 gira su qualunque computer. Offre immagini spettacolari, come Silvio accudito dalle giovani badanti in Sardegna. Contiene materiali edificanti come Silvio applaudito al congresso del Pd, o Silvio contrito per aver cacciato Biagi. Nella speciale directory Silvio Assolto potrete archiviare tutti i processi, le assoluzioni e le prescrizioni.
Prestazioni. Veloce e duttile, Amico Silvio 1.0 è un programma che risolve problemi operativi apparentemente impossibili. Per esempio, fare una legge sul conflitto di interessi e nel frattempo chiedergli di comprare un po’ di Telecom sembrerebbe una contraddizione secca e irrisolvibile. Ma Amico Silvio 1.0 scardina il problema con eleganza, un sorriso, una pacca sulla spalla.
Compatibilità. Amico Silvio 1.0 si interfaccia perfettamente e senza problemi con tutti i programmi. Gli va bene quello del Partito Democratico, gli piace l’ipotesi di una federazione con Fini, è predisposto per dialogare via mail persino con Casini. Soprattutto, per la prima volta, Amico Silvio 1.0 si sente riconosciuto dagli altri programmi che cominciano a pensare a lui come un software affidabile.
Manuale Utente. Un consiglio. Tenete installato Amico Silvio 1.0. sul vostro computer finché non si parla seriamente della legge Gentiloni. Per allora uscirà il nuovo programma Silvio Si Incazza Di Nuovo 1.0, oppure reinstallate il vecchio Conflitto di Interessi 2.0. Per ora, però, usate questo Amico Silvio 1.0. Un programma di enorme successo. Molti ci stanno già cascando. Gli stessi che per ben tredici anni non hanno mai usato l’antivirus.
* il manifesto del 29 aprile 2007
Sul tema, nel sito, si cfr.:
Conflitto d’interessi: la legge
di Furio Colombo *
Rispondo a centinaia di e-mail che continuano ad arrivare nella mia posta elettronica e al giornale, e pubblico in questo editoriale la proposta di legge sul conflitto di interessi che ho depositato al Senato. Per ora reca solo la mia firma ma spero che altre, più autorevoli della mia, si aggiungeranno.
Come sapete un’altra legge è depositata alla Camera dalla maggioranza a cui appartengo e comincerà ad essere discussa in maggio.
Con la mia proposta di legge, profondamente diversa, spero di essere di aiuto sia perché penso di rappresentare, con gli intenti di questa legge, idee e sentimenti di coloro che ci hanno votato, sia perché, scrivendola, ho voluto evitare vuoti di memoria, e la inclinazione a pretendere che nei cinque anni del governo Berlusconi non sia successo niente, che a volte viene presentata come gesto necessario per riconoscerci tutti da una stessa parte.
Continuo a pensare che non siamo tutti da una stessa parte (altrimenti non esisterebbe la politica) e che visioni contrapposte e diverse siano i tratti essenziali della democrazia.
La visione espressa in questa legge considera pericolosa la commistione di vasti e potenti interessi privati di qualcuno con l’interesse pubblico di tutti. Il testo di legge che segue si propone di tracciare una netta linea di demarcazione che protegga il Paese dal grave pericolo che abbiamo già sperimentato.
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Onorevoli colleghi, il problema del conflitto di interessi - ovvero di incompatibilità dei titolari di funzioni di governo che siano anche titolari di rilevanti attività aziendali - è lo scopo di questa proposta di legge. Con essa si vuole impedire la paralisi della normale vita politica di un paese che si verifica quando una persona, oltre che responsabile di attività di governo, è anche alla guida di rilevanti attività economiche. Questa proposta di legge tende a colmare due vuoti legislativi pericolosi e allarmanti. Il primo riguarda la portata e le dimensioni dell’attività privata che - facendo capo a una persona che svolge funzioni di governo - tende a creare il problema gravissimo di una sovrapposizione o aggancio fra responsabilità pubblica e interesse privato.
Il secondo vuoto riguarda l’attenzione scarsa o nulla finora prestata al delicatissimo settore imprenditoriale delle comunicazioni intese in tutte le possibili forme, modi e settori in cui tale attività si può svolgere, dalla Tv, alla radio, ai giornali, alla telefonia, all’informatica.
Il problema, in tutti e due i percorsi indicati, è materia così delicata e rilevante al fine di definire incompatibilità e separazione completa di responsabilità pubblica e interesse privato, che la sua regolamentazione non può essere rinviata ai criteri decisionali, che possono essere di volta diversi, di una autorità garante.
Nessuna autorità può essere messa in condizioni di decidere su un conflitto di interessi in assenza di una legge che stabilisca le modalità per risolverlo. Non è ragionevole chiamare qualcuno - per quanto autorevole - a decidere su un conflitto già in atto fra attività di governo e interessi privati. Infatti quando tale conflitto è insorto, si sono già stabilite le condizioni di pericolo per la legalità che possono rendere inagibile l’azione di una eventualità Autorità incaricata di risolvere il problema.
È persuasione di chi presenta questa proposta di legge che ogni aspetto della incompatibilità tra funzioni e interessi e ogni regola sul come identificare, impedire o fermare un conflitto di interessi debba essere definito e diventare legge della Repubblica prima che il conflitto insorga, così come avviene per ogni comportamento giudicato - da una comunità e dai suoi legislatori - pericoloso per la vita della repubblica e i rapporti fra i cittadini. Nel caso che stiamo discutendo, è in gioco la credibilità e rispettabilità di un governo e dei suoi membri, il rispetto per le norme e decisioni di quel governo, la certezza che in nessun caso e per nessuna ragione possa esservi dubbio sul completo disinteresse di ogni azione e decisione di governo, il costante rispetto di ogni norma vigente, l’armonia con i principi della carta costituzionale, prima fra tutte è la prescrizione, che è anche vincolo comune: «La legge è uguale per tutti».
Il conflitto di interessi in atto infrange, prima di tutto, tale fondamentale principio. Infatti attribuisce al titolare del conflitto la disponibilità di un doppio criterio decisionale: l’efficacia erga omnes di una determinata norma o decisione; ma anche la possibile convenienza privata di quella norma o decisione nell’ambito degli interessi personali di chi governa, se chi governa è titolare di conflitto. Ovvero è in grado di decidere sul proprio beneficio privato.
Questa legge indica le dimensioni, ovviamente cospicue, del tipo di interesse privato, finanziario, azionario, proprietario o manageriale cui si intende porre argine e stabilire impedimento.
L’esperienza, anche recente, insegna che esercitare funzioni di governo - mentre si rappresentano vasti interessi privati - è situazione in grado di travolgere l’autonomia di qualunque Autorità (per esempio attraverso insistenti ed efficaci campagne di intimidazione e delegittimazione mediatica, campagne facilmente orchestrabili con mezzi adeguati). La stessa esperienza dimostra la capacità di condizionare una assemblea legislativa (certo la parte di assemblea che sostiene il titolare di un vasto conflitto di interessi) sia attraverso il peso mediatico, sia attraverso la versatilità e varietà di interventi, premi e vantaggi in svariati settori e in luoghi diversi della vita pubblica e privata, in modo da rendere compatto il consenso ogni volta che esso riguardi una legge "ad personam".
Le leggi "ad personam", di cui è stata costellata la legislatura precedente, sono il capolavoro del conflitto di interessi, nel senso di manifestazione perfetta del danno nei confronti di un paese, delle sue leggi, dei suoi cittadini. Dimostrano che un potente titolare di conflitto di interessi tende a usare la condizione anomala esattamente nel senso per il quale tale condizione deve essere preventivamente proibita; ovvero, per il suo esclusivo, privato, personale interesse. E poiché, come si è visto e constatato di recente in Italia, è in grado di farlo usando l’obbedienza compatta di una maggioranza, si ha la dimostrazione che il conflitto di interessi - quando esiste in dimensioni abbastanza grandi - è in grado di rompere il patto fra lo stato e i cittadini, di relegare in posizione irrilevante il dettato della Costituzione e di usare un vasto consenso, creato dall’uso spregiudicato del conflitto di interessi, per favorire e sviluppare tutti i modi - che sono in sé l’opposto dell’interesse pubblico - in cui quel conflitto si può esprimere.
Ciò dimostra quanto sia arduo e irrealistico immaginare che una Autorità garante - che è parte delle istituzioni umiliate e vilipese dal conflitto - possa smantellare le difese di un potere pubblico-privato ormai insediato, mentre quel potere è già in grado di intimidire, disinformare e creare gogna per i propri avversari.
Questa proposta di legge indica dunque una definizione chiara, un intervento preventivo, e le norme che rendono impossibile l’instaurarsi di una condizione di conflitto in atto, nella persuasione - già provata da recente esperienza - che un conflitto in atto tende ad allargarsi e, con i frutti di convenienza illegale che ne ricava, è in grado di rendere vana ogni contestazione alla grave situazione di illegalità che il conflitto stesso produce.
L’impegno di questa proposta infatti non conta sul deterrente di multe sempre inefficaci, per quanto severe, verso le grandi ricchezze. Si propone invece di rendere impossibile l’instaurarsi, presso qualsiasi carica di governo, di una situazione di conflitto di interessi che è la peggiore infezione nella vita pubblica e nella moralità di una comunità e di un paese.
* l’Unità, Pubblicato il: 29.04.07, Modificato il: 29.04.07 alle ore 8.17
Il Cavaliere spara a zero: "Quelle norme sono un atto di killeraggio politico"
ma il Professore insiste: "E’ prevista nel programma di governo, la faremo"
Conflitto di interessi, Berlusconi attacca
Prodi: "E’ una legge tipicamente americana"
La replica del leader della Cdl: "Ma noi siamo in Italia e le cose funzionano in modo diverso"
L’ex premier: "Gentiluomini anche a sinistra. Questo ddl non passerà" *
TRAPANI - "E’ un provvedimento di killeraggio nei confronti degli oppositori". Così Berlusconi, a Trapani in visita elettorale, commenta le parole del premier Romano Prodi che questa mattina a Radio Anch’io ha detto che "sul conflitto di interessi la maggioranza andrà avanti". "Questo ddl - continua Berlusconi - sarebbe l’ulteriore dimostrazione della volontà di eliminare il più pericoloso concorrente, cioè il leader dell’opposizione. Quindi credo che farà molto male alla sinistra questa volontà se attuata sino in fondo perché gli italiani si renderanno conto di come questa sinistra vuole agire per eliminare gli avversari politici".
In serata il Cavaliere torna sull’argomento e aggiunge: "Penso però che alla fine questo ddl non passerà. I gentiluomini esistono anche a sinistra".
"Hanno tentato - prosegue il Cavaliere - con la via giudiziaria e finora gli è andata male. Ci ritentano con questo provvedimento che impedisce a chiunque abbia un’impresa, e abbia perciò fatto bene nella vita, anche dando lavoro agli altri, di dedicarsi alla politica e di dare il suo apporto al governo del Paese".
Ma Prodi ricorda che il conflitto di interessi è una legge tipicamente americana. "Era un impegno del governo - ha ricordato il premier - è una legge più blanda che nelle altre democrazie e io credo che sia giusto che si vada avanti".
Quanto alla questione della ineleggibilità, Prodi ricorda che "c’è il blind trust". "Uno mica deve diventare San Francesco... - ironizza il premier - Il blind trust non è una roba strana, è tipicamente americano. E’ americano, americano, americano. E cioè, tu puoi rimanere ricco, ma non puoi amministrare direttamente la tua ricchezza quando hai potere politico, altrimenti la democrazia si indebolisce".
Ma anche sul blind trust Berlusconi replica: "Quello che loro mettono come soglia al di là della quale uno dovrebbe prendere tutto e affidarsi ad un signore che possa fare delle sue sostanze ciò che vuole è una cosa che non sta nè in cielo nè in terra". Al riferimento a come funziona in America, Berlusconi obietta: "Ma noi non siamo in America, siamo in Italia e le cose funzionano in modo diverso".
Le reazioni. Nettamente spaccati di due poli. Con il centrodestra che parla di tentativo di "distruggere" Berlusconi e il centrosinistra che richiama il rispetto delle regole. "Le parole di Berlusconi sono fuori misura - dice il segretario dei Ds Piero Fassino - Noi vogliamo fare una legge sul conflitto di interesse e non contro qualcuno". Ma l’opposizione non ci sta e attacca: "Il conflitto di interessi è un pretesto della sinistra per mettere fuori gioco il capo dell’ opposizione" scandisce il segretario della Democrazia cristiana, Gianfranco Rotondi. "E’ la fine della stagione del dialogo" tuona Sergio De Gregorio, eletto con Di Pietro e ora schierato con la Cdl. E se al comunista Olivero Diliberto il disegno di legge sempre persino "troppo blando", il verde Angelo Bonelli afferma sibillino: "Oggi la normativa sul conflitto d’interessi che il Parlamento approverà, varrà per il futuro, che certamente non vedrà Berlusconi leader dell’opposizione".
* la Repubblica, 4 maggio 2007
Il partito unico
di Furio Colombo *
Alzi lo sguardo e noti con disagio, come in una sequenza stroboscobica (la luce abbaglia e si spegne), che ci sono soprassalti e incongruenze tra una scena e l’altra.
In una inquadratura vedi Berlusconi (Berlusconi) festeggiato ai congressi Ds e Margherita. Mormora, in ognuna delle due occasioni: «Per il 95 per cento sono d’accordo». Applausi.
In un’altra inquadratura (negli stessi giorni) Berlusconi grida al colpo di Stato e al regicidio per una legge sul conflitto di interessi che lo stesso primo ministro Prodi ha giustamente definito “blanda” (e infatti due proposte di legge sullo stesso argomento, una della sinistra detta “radicale” alla Camera, una a mia firma al Senato, sono molto più “americane”, dunque molto più esigenti). E c’è chi manifesta stupore sia per la legge («Ma proprio adesso che stavamo andando verso valori condivisi?») sia per la scenata di Berlusconi («Una così brava persona»).
Però è inutile fare i polemici. Ha ragione Pierluigi Battista (Corriere della Sera, 5 maggio) quando dice che «l’anomalia italiana è una anomalia doppia». Un giorno si punta l’indice e il giorno dopo tutto è perdonato.
Ma se la memoria si aggiunge alla cronaca dei fatti, le dissonanze sono degne di un concerto di John Cage. All’improvviso vedi il tuo Primo ministro che si reca da Bossi come da uno statista, il Bossi di Borghezio, di Gentilini, della schiena da raddrizzare al magistrato disabile, dei proiettili che costano poco, del tricolore al cesso. Rende omaggio alla sua saggezza. Dove siamo finiti noi elettori?
Noi non abbiamo, né avremmo mai potuto avere valori condivisi con chi suggeriva di aprire la stagione della caccia usando gli immigrati come lepri. Certo, governare è un mestiere difficile, ma c’e un filo che non si deve mai rompere, quello con chi ti ha eletto, che continua ad avere fiducia, che guarda volentieri alle cose nuove. Ma chiede di capire. E chiede che il suo voto, quel voto per un’Italia che non assomigli in niente a Berlusconi e a Bossi, continui ad avere un senso e un peso. Vediamo.
I due congressi, Ds e Margherita, sono andati bene, con nobili discorsi, commozione, ricordi, celebrazione e - fra i Ds - separazioni sofferte che fanno pensare ad amicizie più grandi degli eventi e a eventi che chiedono, come accade nella storia, sacrifici personali e decisioni non facili. Strade diverse ma non lontane, lo stesso impegno di non voltarsi a rimpiangere, anche se il percorso e il punto sognato (progettato) di arrivo viene descritto in modo diverso da diverse colonne in marcia da sinistra.
Una è la “Sinistra democratica per il socialismo europeo” riunita in affollata assemblea al Palazzo dei Congressi dell’Eur ieri, sabato 5 maggio. Altre si organizzeranno.
Il Pd che sta per nascere dai due capolinea Ds e Margherita sarà il partito di Prodi. Questa affermazione risponde alle due domande di tanti: perché un’operazione così dolorosa (almeno per i Ds)? e chi sarà il leader?
Romano Prodi a cui si deve questa Italia affaticata e difficile però senza Berlusconi, non poteva essere il capo di un governo e di una coalizione senza un partito. Dunque il capo del governo sarà, anche in linea con chi lo ha votato sia alle primarie del 2005 che alle elezioni politiche del 2006, il leader del nuovo partito. Uno dei due grandi partiti italiani.
Tutto chiaro, tutto bene. Perché allora il senso di vuoto e di disorientamento (Chi sono, adesso? Cosa vogliono da me? Lealtà a che cosa? Dove sto andando?) e anche di solitudine che constati fra deputati, senatori, quadri, e nelle storiche sezioni Ds? Perché hai l’impressione - proprio mentre ferve tanta attività politica - che la distanza dai cittadini sia diventata immensa?
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Provo a confrontarmi con tre spunti (a cui non sono sicuro di sapere dare risposta) che mi giungono da tante mail, da tanti incontri e conversazioni ansiose.
La prima è la questione del Pse, ovvero della collocazione del nuovo nato in Europa. Non è una questione di forma. L’Europa è divisa in due grandi schieramenti popolari, e non concepisce ambivalenze e sospensioni. L’Europa è divisa in due parti, come dimostrano in modo efficace le elezioni francesi: il Pse, con tutto ciò che resta (non poco) del socialismo europeo; e il partito popolare, che è l’altro volto. Comprende Angela Merkel, ma anche Silvio Berlusconi. Rappresenta grandi frenate conservatrici ma anche modi nuovi e diversi di immaginare il futuro. Sono due schieramenti vasti e importanti. Ma non compatibili. Poi ci sono diversi altri interessanti raggruppamenti, ma nessuno può ospitare l’una o l’altra delle anime italiane del nascendo Pd.
La seconda domanda è più pressante, anche se si può affrontare meglio caso per caso che in modo astratto e generale. La domanda è questa: il centro, che è l’area più contigua a una sinistra che voglia essere cauta e moderata, è già saldamente occupato, è tutto un cantiere di lavori in corso, un incrociarsi di gru e di scavi che fanno prevedere fitte costruzioni, dunque un muro limitrofo, una barriera di contenimento.
Ma poiché la direzione di marcia non prevede rivisitazioni a sinistra (o almeno nell’area di progetti, attese e speranze, tradizionalmente definita tale), ecco una terza domanda (o riflessione): quanto moderati si può essere? E dov’è la linea di confine che distinguerà i militanti del Pd dagli altri “moderati”?
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Per rispondere a queste domande (o per approfondire la riflessione sul nascituro Pd) mi sembra utile riferirmi a una espressione che ricorre sempre più spesso. L’espressione è «valori condivisi». Questa affermazione viene di volta in volta enunciata come segno di buona volontà (dunque di tendenza, di sforzo a cercare)o come prova di vera democrazia.
Chiedo attenzione su questo punto: buona volontà (o ricerca ostinata di possibili accordi), sì. Prova di vera democrazia, no. Infatti non c’è limite al volenteroso tentare di andare d’accordo. Ma la democrazia è esattamente la buona gestione del non accordo. È il set di regole per affrontare situazioni complesse, gravi, urgenti, in cui due o più parti hanno visioni, speranze, attese, obiettivi profondamente diversi.
È possibile che mediazioni intelligenti e pazienti portino a soluzioni ravvicinate. Ma se in luogo di un esito condiviso si giunge a una decisione A che nega e respinge la decisione B , la prova della democrazia è nel rispetto delle regole per far prevalere l’una o l’altra decisione, non nello sciogliere una visione nell’altra.
La questione si complica quando si aggiunge l’esortazione, anzi il proposito, di raggiungere, come viene spesso detto, una "sintesi" fra posizioni contrapposte.
Ovvio che questa affermazione indica mitezza e buona volontà che, in sé, sono buone virtù democratiche. Ma nessuna situazione di confronto umano si risolve in una sintesi. Non un processo. Non un dibattito. Non una gara. Non una equazione aperta o una partita a scacchi. E certo non una competizione elettorale.
Naturalmente ogni democrazia è fondata su valori comuni. Ma quando anche su di essi scoppia il contrasto (è stato il caso delle profonde e selvagge modifiche tentate ai tempi di Berlusconi contro la Costituzione italiana), la risposta non è una sintesi tra vandalismo costituzionale e difesa della Costituzione. La risposta è il voto. Nel caso delle tentate alterazioni alla nostra Costituzione, gli elettori italiani hanno detto no, punto e basta. Ecco perché è un errore, un vistoso e curioso errore, affermare, da parte di Prodi, che la legge proposta dal governo sul conflitto di interessi è blanda e mite, come se tali qualità avvicinassero la controparte (Berlusconi, titolare di uno dei più grandi conflitti di interessi del mondo) e rendessero più facile individuare un “valore condiviso”. Infatti - incoraggiato dall’atteggiamento mite del presidente del Consiglio - il capo dell’opposizione ha reagito con furore. Ha definito la “legge blanda” di Prodi un atto di killeraggio (ovvero di assassinio) presentando una tesi unica nel mondo democratico ed enunciata con estrema chiarezza: «I ricchi devono governare perché hanno una marcia in più. Hanno creato ricchezza per sé dimostrando di essere più bravi, più dotati di talento degli altri». E ha reagito - unico nel mondo democratico, ma ben sostenuto dai suoi avvocati, inclusi quelli poi diventati giudizi costituzionali dimissionari, e dal suo partito di proprietà - con sincera repulsione verso l’idea di separare il potere privato da quello pubblico.
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La vicenda esemplare del Family Day è un’altra buona occasione per esplorare il territorio infido dei “valori condivisi”. Viva la faccia di Pezzotta, l’ex sindacalista diventato predicatore, che annuncia: «Venga chi vuole. Ma sia chiaro che questa è una manifestazione contro i Dico». Che vuol dire: siamo contro ogni tentativo, anche mite, anche blando, di dare una mano alle coppie di fatto.
Ma è ancora più clamorosa la vicenda del presidente della Cei, monsignor Bagnasco, se posta a confronto con quella del giovane presentatore del concerto del Primo maggio Andrea Rivera.
«Non lasceremo solo l’arcivescovo Bagnasco», è stato detto dopo le scritte insultanti a lui dedicate. È stata una formulazione un po’ curiosa. È difficile che un uomo di punta della Chiesa più grande del mondo possa essere lasciato solo. Ma è apparsa giusta come simbolo di solidarietà contro il pericolo. Giusto anche ignorare del tutto le affermazioni pesanti e gravi dedicate da monsignor Bagnasco a chi non condivide i suoi “valori condivisi” parlando persino (prima delle scritte) di terrorismo. Il vescovo non parlava del terrorismo dei terroristi, ma di quello di coloro che, sulla libera scelta delle donne e sui modi di amarsi e di vivere insieme, non condividono i valori della Chiesa cattolica.
Tutta l’Italia dunque ha fatto finta di niente e ha dato - giustamente - tutta la sua solidarietà al prelato. Non uno, neppure un sindacalista, ha detto, sul momento, una sola parola in difesa di Andrea Rivera. Che cosa aveva fatto Rivera, chiamato poi terrorista (è una mania) dall’Osservatore Romano?
Aveva ricordato che Pinochet, Franco e una celebrità della banda della Magliana avevano avuto il funerale e sepoltura in chiesa, mentre il povero corpo di Welby era stato lasciato fuori. Che bello se Rivera avesse mentito e fosse stato sgridato per avere detto una bugia.
Ma ciò che ha detto Andrea Rivera è la narrazione di uno dei fatti più tristi della vita italiana: il corpo di Piergiorgio Welby è stato effettivamente lasciato in strada, fuori dalla chiesa, per essere morto di troppa, insopportabile sofferenza. Ecco dunque il punto finale di questa riflessione. Per esistere, per vivere, per generare senso e calore e dunque attrazione, il Pd deve tracciare una linea di confine, segnare i propri punti fermi e irrinunciabili, dire di che cosa è alternativa, novità, cambiamento. Non vi sembra che le centinaia di migliaia di ragazzi del Primo maggio, mentre cantavano ancora e ancora «Bella ciao» con allegria e con passione, proprio questo stessero aspettando, la riposta alla domanda «adesso chi siamo»?
Sono giovani, avventurosi e poco inclini a ritornare verso il passato. Però guardandoli si capiva che ai loro occhi (ma questo vale anche per chi scrive) non tutti i valori sono valori, non tutti i valori sono “condivisi”. E non vorrebbero (non vorremmo) - tutti quei ragazzi del Primo maggio italiano - essere folla di un partito unico. Cercano (cerchiamo), netta e chiara, come in ogni democrazia, la linea di confine.
* l’Unità, Pubblicato il: 06.05.07, Modificato il: 06.05.07 alle ore 16.42
Eterni ritorni in parlamento
di Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 12 maggio 2007)
È dal 1994 che la disciplina del conflitto di interessi passa e ripassa in Parlamento sempre ripetendo gli stessi argomenti, e per lo più le stesse stupidaggini. In materia la dose di stupidaggini è particolarmente elevata perché questa è la battaglia che più preme a Berlusconi. Così qualsiasi argomento, non importa quanto sballato, viene gettato nella mischia. E tanto meglio se fa soltanto confusione.
L’esito è stato che il governo di centrosinistra non arrivò a nulla, mentre il successivo governo Berlusconi ha varato una legge Frattini che, vedi caso, rendeva praticamente intoccabile Sua Emittenza. Era pertanto inevitabile che i beffati dalla legge Frattini riaprissero il problema. Ed eccoci qua. Il disegno di legge che propone una nuova disciplina intesa a disciplinare davvero il conflitto di interessi è stata varata in Commissione ieri e andrà in Aula, alla Camera, il 15 maggio. Invece di commentare un testo ancora incerto e modificabile sarà più utile ricordare quali sono i nodi fondamentali del dibattito.
Il primo è se il blind trust, l’affidamento cieco del patrimonio a un gestore indipendente, risolva il problema. La risposta è indubbia: per i pesci piccoli e soprattutto per un portafoglio differenziato di titoli, sì; ma per le balene e i beni visibili, no. Persino Frattini lo riconosce: un affidamento «cieco» presuppone un patrimonio di titoli che il gestore può cambiare, e così rendere invisibili e ignoti al proprietario; ma non può accecare beni visibili che restino tali. Eppure, e stranamente, il progetto continua a puntare sul blind trust. A quanto pare i nostri legislatori non solo non hanno tempo di leggere libri e giornali, ma nemmeno di leggersi tra di loro.
Secondo nodo: se il conflitto di interessi sia meglio impedito dall’ineleggibilità o dall’incompatibilità. Stranamente l’ultima versione di questo dibattito è che la sanzione più grave, o più risolutiva, sia la non-eleggibilità. Sarebbe così se si precisasse ineleggibilità «a cariche di governo». Ma se non si precisa così, allora la privazione dell’elettorato passivo lascia il tempo che trova. Nel nostro ordinamento non occorre che un presidente del Consiglio o un ministro siano parlamentari. Vedi il caso del primo governo Amato e del governo Ciampi. Questa precisazione elementare è stata fatta centinaia di volte. Pertanto dovrebbe essere chiaro che il problema è di incompatibilità. Ma da noi si direbbe che non c’è mai nulla di chiaro su nulla.
Terzo nodo: se l’esempio da seguire sia il modello Usa, e quale sia questo modello. A questo proposito la tesi dei Berlusconi boys, Frattini in testa, è che nemmeno negli Stati Uniti nessuno è mai obbligato a vendere (se dichiarato in conflitto di interessi). Ma non è così. È vero che i vari ethics board americani incaricati di accertare i conflitti di interesse non impongono nessuna vendita, ma impongono che l’interessato faccia una scelta tra patrimonio e carica politica. Pertanto se un Berlusconcino americano sceglie la politica, allora deve vendere. Se non lo fa, allora è costretto a dimettersi.
Dicevo che il dibattito sul conflitto di interessi è monotono. Mi correggo, una novità c’è: è l’introduzione del mammismo (o forse dovrei dire del «babbismo»). L’altro giorno Berlusconi ha detto: «Vorrebbero che affidassi il mio patrimonio a uno sconosciuto. Nessuno lo può chiedere a una persona che come me ha cinque figli». Poverini. Quasi quasi mi commuovo anch’io.