Il magistero del "logo" di "Mammona" e "Mammasantissima" ("Deus caritas est") o il magistero del "Logos" di Amore ("Deus charitas est")?!!

FORZA ITALIA!!! PASQUA 2007 d. C.!!! "VENERDI SANTO": CORLEONE, LA MAFIA, E IL "FAMILY DAY" DELLA CHIESA CATTOLICO-COSTANTINIANA "IN PROCESSIONE CON IL CAPPUCCIO"!!! E’ "cosa nostra": un modello "sacro" di famiglia (che vede l’alleanza del Figlio e della Madre con il "loro dio" - e con un "padre" senza onore e senza gloria!!!). Un articolo di Francesco Merlo, presentato da don Aldo antonelli - a cura di pfls

venerdì 6 aprile 2007.
 

LA CHIESA INCAPPUCCIATA

Dopo quarantanni di divieto è stata concessa, agli abitanti di Corleone, la "libertà" del cappuccio durante la processione del Venerdì Santo!

Strano che la richiesta sia venuta non dal comune ma dalla chiesa locale. Strano, o no?

Francesco Merlo, su La Repubblica di ieri, si chiede
-  "Perché la Chiesa sente il bisogno di restaurare questa pratica? La Chiesa, così attenta ai segni e ai significati, avrebbe dovuto approfitta­re di questi quaranta anni di processioni a viso aperto per liberarsi di un arcaismo devozionale che celebra l’inquisizione e i simboli peniten­ziali della sua storia peggiore: la controriforma e l’autodafè, le violenze contro gli eretici e le tor­ture, ma anche l’impunità degli assassini, quelli con i mitra sotto il mantello raccontati nel Padrino di Marlon Brando. Il cappuccio è il berret­to calato sul viso dei mafiosi pronti all’agguato, “picciotti amuninni”; è il passamontagna dei guerriglieri del subcomandante Marcos, è mol­to più aggressivo delle barbe, ben più spavaldo e arrogante degli stessi simboli militari....

Nel momento in cui in tutto il mondo occidentale si discute dell’op­portunità di proibire i veli, lo chador, il burqa, insomma i simboli dell’oppressione islamista contro le donne, come fa la Chiesa a incappuc­ciarsi e a farsi latitante?..... Per lo Stato rimettere il cappuccio ai devoti di Corleone è sì la fine di una discriminazione ai danni della religiosità di quel paese, ma è anche un atto di arroganza contro i cappucci di altre re­ligioni. Per la Chiesa è un’altra confessione di de­bolezza. E’ ancora una prova della grandissima fragilità di un Vaticano che più si incappuccia e più si imprigiona, più si nasconde e più si rivela".

Qui di seguito e in allegato l’intero articolo....

e buon Venerdì Santo.

Aldo [don, Antonelli]


Il Questore toglie il veto "anti-mafia" per i riti della Pasqua

CORLEONE, DOPO QUARANT’ANNI IN PROCESSIONE COL CAPPUCCIO

di Francesco Merlo (La Repubblica, 5 Aprile 2007, pp. 1/23)

Nascondersi in latino si dice lateo, quindi latitare, quindi latitante. Adesso che Corleone non ha più i grandi latitanti di mafia, adesso che Riina e Provenzano non possono più nascondersi nelle boto­le, sottoterra e nelle campagne attor­no al paese, dove vivevano protetti da fucili e crocefissi, da bombe a mano e da altarini alla Madonna, adesso è a tutti i devoti di Corleone che viene concesso di rimettersi il cappuccio, di nascondersi, di latitare.

Per Corleone, liberata dalla mafia, il cappuccio diventa dunque una libertà, un di­ritto restaurato. In questo senso ha fatto be­ne il questore di Palermo ad autorizzare la lati­tanza, a restituire il burqa maschile del venerdì santo dopo quaranta anni di illuminismo coat­to.

E però secondo noi è la Chiesa che non avreb­be dovuto chiederlo. La Chiesa, così attenta ai segni e ai significati, avrebbe dovuto approfitta­re di questi quaranta anni di processioni a viso aperto per liberarsi di un arcaismo devozionale che celebra l’inquisizione e i simboli peniten­ziali della sua storia peggiore: la controriforma e l’autodafè, le violenze contro gli eretici e le tor­ture, ma anche l’impunità degli assassini, quelli con i mitra sotto il mantello raccontati nel Padrino di Marlon Brando. Il cappuccio è il berret­to calato sul viso dei mafiosi pronti all’agguato, “picciotti amuninni”; è il passamontagna dei guerriglieri del subcomandante Marcos, è mol­to più aggressivo delle barbe, ben più spavaldo e arrogante degli stessi simboli militari.

Perché la Chiesa sente il bisogno di restaurare questa pratica? Non c’è nulla di più pagano dei cappucci che, come notarono Leonardo Scia­scia e Ferdinando Scianna in quel famoso libro del 1965 (Le feste religiose in Sicilia) hanno ca­rattere espiatorio e dunque tolgono religiosità alla religione, danno alla rappresentazione un carattere strano, eliminano qualsiasi traccia di allegria, non solo dalla processione, ma dallo stesso Dio, reso cupo come gli umori dei preti in­quisitori, controriformatori e in malafede, di cui la Chiesa giustamente si è vergognata e ancora si vergogna, al punto da avere chiesto scusa a tutti i martiri, alle vittime dei “cani del Signore”.

E’ inoltre difficile immaginare una richiesta più intempestiva di questa. Nel momento in cui in tutto il mondo occidentale si discute dell’op­portunità di proibire i veli, lo chador, il burqa, insomma i simboli dell’oppressione islamista contro le donne, come fa la Chiesa a incappuc­ciarsi e a farsi latitante?

E’ vero che sono feste popolari molto sentite, esplosioni collettive dell’anima antica e oscura per un tema liturgico, quello della Passione, che è fatto di infamie: il tradimento (Giuda), l’assas­sinio (Cristo), lo strazio della Madre Addolorata (la Madonna). Ed è vero che non esiste nulla di così affollato come le feste religiose della Sicilia spagnola. Si capisce insomma che la Chiesa, in crisi di vocazioni e di consenso, cerchi la folla. Ma le processioni degli incappucciati non sono i raduni di piazza dei Papa boys, dei ragazzi di Giovanni Paolo II che cantavano e ballavano, ma sono il loro contrario: sono le palestre del ranco­re popolare, un concentrato di antichissima fe­rocia pagana. Nel cappuccio sono infatti depo­sitate tutte le pratiche più lugubri, prescristiane e anticristiane. E ci sono anche le astuzie del pec­cato, il nascondimento che permette di consu­mare l’adulterio narrato da Verga, il masochi­smo dei flagellanti, tutto un armamentario de­vozionale che è apparentato con le processioni sciite, con il peggio del fondamentalismo e del fanatismo di massa dell’Iran.

Evidentemente davvero la Chiesa pensa che restaurando tutte le vecchie pratiche, dal latino al diavolo, dalle fiamme dell’inferno al cilicio, dal cappuccio alla scomunica, ritorneranno an­che i vecchi trionfi: la santità, le vocazioni, il con­senso. Ma è un’idea meccanica che non ha nul­la di civile. Non è certo così che il cattolicesimo può riconquistare la modernità, con l’armeria spirituale della più cieche rabbie collettive.

Per lo Stato rimettere il cappuccio ai devoti di Corleone è sì la fine di una discriminazione ai danni della religiosità di quel paese, ma è anche un atto di arroganza contro i cappucci di altre re­ligioni. Per la Chiesa è un’altra confessione di de­bolezza. E’ ancora una prova della grandissima fragilità di un Vaticano che più si incappuccia e più si imprigiona, più si nasconde e più si rivela.


Sul tema, nel sito, si cfr.:

Al di là della Trinità "edipica" - e "della terra e del sangue": eu-angelo!!!

MUTAZIONE ANTROPOLOGICA E INCAPACITA’ CULTURALE DI AFFRONTARE LA "FRATTURA IMMENSA TRA LE GENERAZIONI". Un editoriale di Ernesto Galli della Loggia. "Addio ai padri"?! Ma chi li ha visti?! Siamo "una società senza padre" - da "sempre"!!! A cominciare da "Giuseppe", i nostri "padri" sono stati sempre "uccisi"!!! Un modello "sacro" di famiglia (che vede l’alleanza del Figlio e della Madre con il "loro dio" - e con un "padre" senza onore e senza gloria!!!) detta legge da duemila anni e rende ancor più grave la crisi!!!


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