Eternit

Eternamente eternit, da qui all’eternit(à): nomination file per la discarica di Serra Longa. Sarà patrimonio dell’Unesco

La vede pure Gian Antonio Stella, del Corsera. Ormai è un monumento da tutelare, la stupenda discarica di eternit a Serra Longa. Fra i politici, di maggioranza e opposizione, rimane un imbarazzante silenzio
martedì 31 maggio 2005.
 

Gian Antonio Stella arriva la mattina presto, il 31 maggio. Fa visita alla sublime discarica di eternit a Serra Longa, quella a scomparsa, per la quale si sono mossi i ragazzotti malcontenti dell’immorale Vattimo, sconfitto, scaricato e consolato da Vanity Fair. Miracolosamente o artificiosamente i pannelli di cemento e amianto che la compongono, assieme ad altra immondizia, appaiono e perdono materia in un batter d’occhio. Come a Cana, si trasformano, ma in zolle di terra e polveri salutari, terapeutiche. Storie municipali, di sopralluoghi dei Vigili urbani, di un sindaco, Antonio Nicoletti, che farà indagini interne e avvierà azioni legali; di un assessore all’ambiente, Antonio Tiano, che si appella alla Regione. Gabbati ambedue, pare, da informatori non attendibili circa la rimozione dei pannelli di eternit a opera di Valle Crati, mai avvenuta. Nel mentre, Gian Antonio Stella ammira lo splendido panorama che s’apre lì, a Serra longa, dalla Rupe Tarpea che inizia la discarica, fra rottami domestici ed elettronici, come nel finale di Lisbon Story, di Wenders. L’emblema dell’etica individuale e collettiva, della dedizione politica e della sugosa retorica sull’ambiente, ovunque presente nelle parate calabresi, a destra come a sinistra. Storie meridionali, più semplicemente, di un territorio benedetto e storico ma consegnato all’inezia di una classe dirigente affarista, mangiona e strafottente. Esclusi, ovvio, i nuovi eletti, che hanno ancora da dimostrare. Storie che ci identificano e qualificano: guai a perdere la nostra memoria, ossequio a Ricoeur, che, ahitutti, è pure quella d’una regione del mondo abituata a tirare come butta, a tenerla buona e lasciar correre, a pensare ai grandi progetti quando, senza farlo apposta, sfilano, davanti agli occhi di Stella, gli operai del Fondo sollievo, con zappe e zappate, rastrelli, pale e sguardo al presente. E il giornalista del Corriere: «Nemmeno in Burundi». S’intende che, dal nostro punto di vista, a scrivere così si fa male alla terra, si distrugge il buono e ci si scaglia, da cattivi, contro categorie deboli. E i ladri che hanno speculato sulle masse, che hanno prodotto il popolino accomodato e la povertà totale? Quelli si innalzano per diritto. Anche domani.

Emiliano Morrone


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