EVANGELO E COSTITUZIONE. "Per amore del mio popolo non tacerò" (Profeta ISAIA).

PER L’ITALIA E PER LA CHIESA: LA MEMORIA DA RITROVARE. L’"URLO" DI DON PEPPINO DIANA. «La camorra ha assassinato il nostro paese, noi lo si deve far risorgere, bisogna risalire sui tetti e riannunciare la "Parola di Vita"». Riflessioni di don Ciotti e una nota di Raffaele Sardo - a cura di Federico La Sala

sabato 25 ottobre 2008.
 

don Luigi Ciotti - 13.1 Kb

don Luigi Ciotti

La Giornata della memoria per i caduti sotto i colpi dei clan. In tanti al corteo organizzato da Libera. Messaggi di Prodi e Bertinotti. Trentamila persone a Polistena per ricordare le vittime di mafia. Don Ciotti: "E’ giunto il momento di passare dal dire al fare, dalle parole ai fatti"



Una memoria da ritrovare

Sarà in libreria a giorni il volume di Rosario Giuè, «Il costo della memoria. Don Peppe Diana il prete ucciso dalla camorra», edito dalle Paoline (pp. 208, euro 12). L’autore, già parroco di Brancaccio a Palermo e insegnante presso la Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone, ci restituisce una memoria da condividere e attualizzare nelle scelte, individuali e collettive, civili ed ecclesiali. Dal volume pubblichiamo un estratto della prefazione di don Luigi Ciotti *


Il prete anticamorra

Era parroco a Casal di Principe e quattro proiettili lo colpirono mentre si stava preparando alla Messa. Aveva paragonato la camorra al terrorismo. Fu l’espressione di una Chiesa che si schiera e sceglie di non tacere per difendere una comunità assediata dalla violenza. A costo del martirio

di Luigi Ciotti *

Don Giuseppe Diana è morto, ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994 nella sacrestia della chiesa di cui era parroco, a Casal di Principe, nell’Agro aversano. Si stava preparando a celebrare la Messa, quando quattro proiettili ne hanno spento per sempre la voce terrena. Una voce che predicava e denunciava, che ammoniva ma sapeva anche sostenere. Che sapeva uscire dalla sacrestia e scendere dall’altare per andare incontro alle persone, rinnovando un’autentica comunione.

Era entrato in seminario giovanissimo a qualificare i suoi studi e a verificare la sua vocazione. Un percorso non scontato e non lineare, a tratti sofferto e dunque tanto più vero. Un prete di quella Chiesa campana che nel giugno 1982 aveva avuto il coraggio di dire forte «basta!», con un documento dal titolo eloquentemente ispirato al profeta Isaia: Per amore del mio popolo non tacerò. Un grido di dolore, oltre che di amore. Elevato senza animosità, ma con molta nettezza. Un implicito punto di non ritorno rispetto a pezzi di Chiesa tradizionalmente attenti a non addentrarsi nei temi relativi a mafia e criminalità organizzata.

In quel fondamentale testo c’era un invito alla coerenza ineludibile. Lo stesso che ci viene dalle Scritture, che è testimoniato nel Vangelo. Quando un popolo soffre, quando una comunità è ferita, quando la dignità umana è schiacciata e messa a rischio non ci si può voltare dall’altra parte. Occorre ascoltare l’invocazione di giustizia e farla propria. «Sentirla» propria... Come ha scritto, al solito profetico, don Tonino Bello: «È una Chiesa che, pentita dei troppo prudenti silenzi, passa il guado. Si schiera. Si colloca dall’altra parte del potere. Rischia la pelle. Forse non è lontano il tempo in cui sperimenterà il martirio». Era il 1992. L’anno successivo, a Palermo, veniva ucciso don Puglisi, parroco di Brancaccio; sei mesi dopo don Diana.

Eppure, don Peppino, non era un tipo coraggioso: «Aveva paura come tutti. Era un uomo normale, il coraggio gli veniva dalla decisione di essere coerente nella vita». Il prezzo della coerenza può essere grave e pesante, sino alla perdita della vita, come tragicamente dimostra la vicenda di don Diana. Un rischio e un prezzo che naturalmente può incutere timore, provocare esitazioni e magari spingere a permanere nella «diffusa rassegnazione». Come non capirlo? È una reazione profondamente umana. Ma anche scarsamente capace di guardare per davvero a quelli che sono i valori e significati che danno pienezza a quella vita cui tutti, naturalmente, teniamo. Il prezzo dell’incoerenza, infatti, è molto più salato: è lo smarrimento di sé. Che vita è mai quella in cui un uomo non è in grado di riconoscersi, di discernere vero da falso, bene da male? Che vita è quella che per preservare l’involucro si lascia depredare del contenuto?

Le mafie questo fanno: tolgono diritti, dignità, vita. Non solo con le armi, uccidendo e violentando i corpi, ma svuotando le anime e assassinando la speranza. La rassegnazione dello spirito, l’umiliazione della dignità, la costrizione a rinunciare alla propria coerenza sono una morte altrettanto dolorosa e ancor più irrimediabile della fine fisica. Uccidono non solo i singoli ma la collettività: «La camorra ha assassinato il nostro paese, noi lo si deve far risorgere, bisogna risalire sui tetti e riannunciare la "Parola di Vita"», annotava in un articolo don Peppino.

È in quel «noi» la risposta: nella comunità che si riconosce tale, che include e, così facendo, si realizza e si rafforza. Un «noi» che significa unione e collaborazione tra uomini e donne di buona volontà e tra società e istituzioni. E anche questo aspetto è significativo nell’esperienza del sacerdote di Casal di Principe. Una cultura che nel Mezzogiorno, troppo spesso abbandonato e svilito dallo Stato, è ancora più difficile da affermare. Ma da cui non si può prescindere, se ci si vuole liberare dal tallone di ferro della criminalità e se si vuole consegnare ai giovani un sogno di reale e conc reto cambiamento... «La camorra è una forma di terrorismo», ha scritto nel Natale 1991 don Diana, assieme ad altri sei sacerdoti campani. Una definizione importante, su cui probabilmente non si è riflettuto abbastanza.

Quello di Peppino Diana è stato un tragitto purtroppo spezzato e interrotto, ma comunque capace di restare preziosa e perenne testimonianza: di coerenza e di fede, di impegno e di ricerca. Capace di fruttificare, e questo è ciò che rende la vita vera, per quanto breve essa sia stata. Sono calzanti le parole scritte sulla pietra dietro cui riposa don Peppino: «Dal seme che muore fiorisce una messe nuova di giustizia e di pace».

* Avvenire, 16.02.2007



Roberto Saviano, in "Gomorra", dedica un intero capitolo a don Peppino Diana. Sul libro di Saviano, nel sito, cfr.:

-  ITALIA: NAPOLI ... UNA "GOMORRA", UN INFERNO!!! Un ’resoconto’ e una denuncia di Roberto SAVIANO

-  CONVIVERE CON LA MAFIA, CON LA ’NDRANGHETA E CON LA CAMORRA...??!!
-  ROBERTO SAVIANO DENUNCIA LA RIMOZIONE "BIPARTISAN".
-  Con un’intervista di Marco Imarisio

"GOMORRA", IL LIBRO SULLA TOMBA DI DON PEPPINO DIANA

-  Su gli altri temi, nel sito, cfr.:

-  CHIESA, POLITICA, E ... "MAMMASANTISSIMA". INTERVISTA AL CARDINALE PAPPALARDO

-  MAFIA: LA CHIESA, L’ITALIA.... e W O ITALY. L’URLO DI KAROL J. WOJTYLA AD AGRIGENTO (1993)

-  CAMPANIA. A POMPEI, IL SILENZIO ASSORDANTE DEL PAPA SULLA MALAVITA ORGANIZZATA.
-  IN NOME DEL DIO MAMMONA ("CARITAS"), BISOGNA CONVIVERE CON LA "CAMORRA" E CON "MAMMASANTISSIMA"?!
-  Il vicedirettore della sala stampa vaticana precisa: «perchè ne ha parlato altre volte»

-  IN NOME DELLA FAMIGLIA DI "MAMMASANTISSIMA" E DI "MAMMONA"

-  Il cattolicesimo-romano e i suoi scheletri nell’armadio.

-  BIBBIA, COSTITUZIONE E SCUOLA: L’ITALIA E LA CHIESA. DOPO IL SINODO DEI VESCOVI, L’URGENZA E LA NECESSITA’ DI FARE CHIAREZZA.



Don Diana: ucciso dalla camorra, dimenticato dalla Chiesa

di Raffaele Sardo *

Il presidente della commissione antimafia, Francesco Forgione, arriva puntuale alle 9,20 alla casa paterna di don Giuseppe Diana, attraversando le strade interne del paese, che tagliano in due gli sterminati campi di broccoli, tutti spigati, con i loro bellissimi fiori gialli. La campagna sembra un quadro di Van Gogh. Sullo sfondo, si perdono alla vista dell’occhio i campi di pesco con i loro fiori rosa. In fondo annunciano che la primavera è qui. Il paesaggio ha lo stesso aspetto di 13 anni fa, quando alle 7,20 del mattino un killer della camorra uccideva nella sua parrocchia con quattro colpi di pistola, don Giuseppe Diana, un prete che aveva lanciato una sfida alla camorra, con un documento dal titolo eloquente: «Per amore del mio popolo non tacerò».

«Il mio Peppe - racconta la mamma Iolanda - me l’hanno portato via proprio nel giorno del suo onomastico. Sono passati tredici e anni e non riesco a rassegnarmi». Forgione assicura l’impegno della Commissione Antimafia a seguire ancora con più assiduità questi territori. Ma anche a lui viene spiegato che il clima che si respira, tra gli stessi sacerdoti della Foranìa di Casal di Principe, non è quello che vide nascere una resistenza civile allo strapotere della camorra. «È un anniversario amaro - dice il fratello di don Diana, Emilio - Ma si può dire che ci siamo abituati all’indifferenza del mondo della chiesa».

Il riferimento non è casuale. Infatti le iniziative che il comitato «Don Peppe Diana» ha promosso per l’intera settimana, sono state di fatto boicottate dalla diocesi di Aversa, a capo della quale c’è il vescovo Mario Milano. Il pomo della discordia è un libro scritto da un sacerdote siciliano, Rosario Giuè, «Il costo della memoria», e pubblicato dalle edizioni Paoline. La curia aversana ha messo all’indice il libro, ritenendolo critico nei confronti della chiesa, tanto che la presentazione prevista nella parrocchia di San Nicola di Bari, che fu di don Diana, è saltata, ed è stata fatta presso la sala consiliare del Comune. La Curia ha di fatto boicottato anche la manifestazione «Io C’ero», del 17 marzo scorso, al Santuario della madonna di Briano, dove era prevista, tra gli altri, la presenza del vescovo di Caserta, Raffaele Nogaro, amico di don Diana, ma che il vescovo di Aversa, Mario Milano, non ha voluto più invitare. Alla fine non si è presentato nemmeno monsignor Milano, nonostante avesse già aderito alla manifestazione.

«Si può essere non d’accordo sui libri - dice Valerio Taglione - referente provinciale di Libera e portavoce del Comitato don Peppe Diana - ma la chiesa locale, nella sua interezza, rinunciando ad una iniziativa così importante, non ha giustificazioni di sorta, e si allontana dalla strada tracciata da don Diana». La mamma Iolanda Di Tella, è severa nei confronti dei sacerdoti locali e del vescovo di Aversa: «Hanno sempre avuto un atteggiamento distante dalla vicenda di mio figlio che è continuato nel tempo». E di «incomprensibile boicottaggio nei confronti delle iniziative per ricordare don Diana» hanno parlato apertamente don Luigi Ciotti, presidente di Libera e il magistrato Donato Ceglie, durante la manifestazione del 17 marzo. Ma il più duro è proprio il fratello di don Diana, Emilio: «La chiesa si scandalizza di un libro, ma non si scandalizza quando nella parrocchia di San Cipriano d’Aversa si intitola un centro diocesano giovanile ad una persona coinvolta in un processo di camorra».

* l’Unità, Pubblicato il: 19.03.07, Modificato il: 20.03.07 alle ore 12.57


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