"Dio" (Charitas) ... e "Mammona" (Caritas)

DALLA TEOLOGIA POLITICA ALLA TEOLOGIA ECONOMICA. Un’intervista a Giorgio Agamben, su un lavoro in corso (2004), di Gianluca Sacco.

Dall’economia - domestica - della "Charitas" ... all’economia - domestica - della "Mammasantissima"
venerdì 29 settembre 2006.
 

-  Intervista a Giorgio Agamben:
-  dalla teologia politica alla teologia economica.

di Gianluca Sacco

In un recente convegno su Walter Benjamin tenutosi a Roma alla fine dello scorso anno Giorgio Agamben [1] ha presentato una relazione che anticipa alcuni risultati della sua attuale ricerca sulla ‘teologia-economica’. Lo abbiamo intervistato su questo argomento e sulle possibili relazioni con il tema del numero odierno della rivista che anche da quella relazione è stato ispirato.

L’intervista si è tenuta nella sua casa romana il pomeriggio di lunedì 8 marzo 2004.

Domanda

Giorgio Agamben, il suo ultimo lavoro lo Stato d’eccezione, pubblicato poco meno di un anno fa, si colloca all’interno del progetto Homo sacer, la sua opera della metà degli anni novanta, che si è articolato sui temi del ‘potere sovrano’, la ‘nuda vita’, il ‘campo di concentramento come nòmos del moderno’. Un lavoro complesso che si pone nella scia delle tematiche e della metodologia di Foucault. Anche questa sua nuova ricerca sulla teologia economica si colloca nello stesso orizzonte?

Risposta

Io vedo il mio lavoro senz’altro vicino a quello di Foucault. Nelle mie due ultime ricerche sullo ‘stato d’eccezione’ e sulla ‘teologia economica’, ho cercato di applicare lo stesso metodo genealogico e paradigmatico che praticava Foucault. D’altra parte, Foucault ha lavorato in tanti ambiti, ma i due che ha lasciato fuori sono, appunto, il diritto e la teologia, e mi è sembrato naturale indirizzare le mie due ultime ricerche proprio in questa direzione.

D. Allora, come ha avuto modo di riscoprire questo concetto ‘rimosso’ della teologia economica e quando ha deciso di renderlo ’paradigmatico’ per la sua ricerca?

R. Lo spunto della ricerca l’ho trovato negli studi che stavo svolgendo negli ultimi anni su Schmitt [2] e la Teologia politica [3] e in particolare quando stavo approfondendo il dibattito tra Carl Schmitt e Erik Peterson [4] che ha avuto luogo più o meno dal 1935 fino al 1970. Lavorando sugli stessi teologi che Peterson analizza nel suo libro sul monoteismo per ritrovare l’origine di quella teologia politica che vuole criticare (dai primi apologeti, Giustino, Ignazio fino sopratutto a Tertulliano) mi sono accorto che al centro dei loro testi c’erano non solo e non tanto i concetti di monarchia, e di teologia politica che Peterson ricostruisce, ma un altro concetto: l’ oikonomìa.

Fatto curioso, ogni volta che questo concetto appariva, Peterson interrompeva la citazione. Rileggendo detti testi mi sono domandato perché mai in questa ricostruzione venisse rimosso proprio questo concetto. Mi sono così accorto che il concetto di oikonomìa era centrale in questi autori e ho cercato di farne una genealogia.

Immediatamente mi è apparso chiaro che dalla teologia cristiana derivano due paradigmi politici in senso lato: la teologia politica, che fonda nell’ unico Dio la trascendenza del potere sovrano e la teologia economica, che sostituisce a questa l’idea di una oikonomìa, concepita come un ordine immanente-domestico e non politico in senso stretto, tanto della vita divina che di quella umana. Dal primo derivano la filosofia politica e la teoria moderna della sovranità; dal secondo, la ‘biopolitica’ moderna fino all’attuale trionfo dell’economia su ogni aspetto della vita sociale.

Il libro che sto scrivendo è nato da questa scoperta. Ho cercato di ricostruire l’origine del concetto teologico di oikonomìa, e poi, nella seconda parte, di seguirne la scomparsa e la secolarizzazione nel moderno. Perché mi pare che questo concetto ad un certo punto scompaia per riemergere con la nascita dell’economia animale e dell’economia politica nel settecento.

D. Quindi lei è in aperto contrasto con l’univoca attenzione data da Peterson e da Schmitt al collegamento teologia e politica. Un’attenzione così particolare da sembrarle quasi sospetta. Ma a suo avviso erano consapevoli di questa ’rimozione’ dell’oikonomia dall’orizzonte teologico?

R. Indubbiamente! La cultura teologica di Peterson era vastissima e non è nemmeno pensabile che ignorasse il problema. Del resto egli interrompe le citazioni, per esempio in Tertulliano, esattamente nel punto in cui compare la parola oikonomìa. Schmitt, da parte sua, vedeva con chiarezza quello che potremmo definire il trionfo dell’economia e la depoliticizzazione del mondo che esso implicava nella modernità; ma per lui era strategicamente importante negare che questo sviluppo avesse un paradigma teologico. Non solo perché ciò avrebbe significato conferire una patente di nobiltà teologica all’economia, ma anche e soprattutto perché ciò avrebbe messo in questione la possibilità stessa del paradigma teologico - politico che gli stava a cuore.

D. Ma torniamo all’inizio della sua ricerca ricostruttiva e al concetto di oikonomìa censurato da Peterson ma, appunto, utilizzato dalla teologia patristica. Il riferimento naturale sembrerebbe Aristotele, anche se il suo concetto è ben diverso dal significato attuale di economia. Ma che nozione ne avevano i padri della chiesa?

R. Ovviamente il termine oikonomìa di cui si servono questi teologi è lo stesso termine di Aristotele, che in greco designa innanzitutto l’amministrazione della casa. Ma l’ oikos, la casa greca è un organismo complesso, in cui si intrecciano rapporti eterogenei, che vanno da quelli parentali in senso stretto, a quelli padrone-schiavi e alla gestione di un’azienda agricola spesso di ampie dimensioni. Ciò che tiene insieme queste relazioni è un paradigma che potremmo definire “gestionale”: si tratta cioè di un’attività che non è vincolata a un sistema di norme né costituisce una episteme, una scienza in senso proprio, ma implica decisioni e disposizioni di volta in volta diverse per far fronte a problemi specifici. In questo senso, una traduzione corretta del termine oikonomìa sarebbe, come suggerisce il Liddell-Scott, management .

D. Ma perché i padri della chiesa avevano bisogno di questo concetto?

R. L’esigenza nasce nel corso del secondo secolo, quando si comincia ad articolare quello che più tardi con i concili di Nicea [5] e di Costantinopoli [6] diventerà il dogma trinitario. I padri che cominciano ad elaborare la trinità avevano di fronte degli avversari, i così detti monarchiani, che affermavano che Dio era Uno e che, introducendo altre due figure divine, si rischiava di ricadere nel politeismo. Il problema era come conciliare la trinità, da cui non si poteva prescindere, con la monarchia, il monoteismo, altrettanto irrinunciabile.

L’Oikonomìa è il concetto, lo strumento, l’organo che rende possibile questa concezione e questo passaggio. Il ragionamento è semplice: Dio quanto alla sua essenza e alla sua natura è Uno, quanto alla sua oikonomìa, alla gestione del suo oikos, della sua casa, della sua vita divina può invece avere un figlio e articolarsi in una triplice figura. Il paradigma gestionale dell’ oikonomìa è appunto ciò che rende possibile la conciliazione della trinità col monoteismo.

D. Quali sono le implicazioni di questa scelta terminologica?

R. Per Aristotele oikos e polis sono contrapposti e economia e politica sono distinti come la casa è distinta dalla città, cioè in modo sostanziale, non quantitativo. In Senofonte è già diverso, negli stoici i due concetti tendono a indeterminarsi. Quello che è interessante, dal mio punto di vista, è che quando si arriva ai teologi cristiani, quest’ultimi fanno del concetto di oikonomìa il paradigma teologico essenziale. La domanda che sorgeva spontanea a questo punto era: perché i teologi comprendono la vita divina e il governo divino della terra come un’economia, e non come una politica?

D. Diceva prima che ad un certo punto questo riferimento economico scompare dal concetto trinitario, perché?

R. Le ragioni sono ovvie, anche se mai esplicitate. Quando si arriva a Nicea, ai grandi concili, vediamo svilupparsi già un vocabolario filosofico-teologico sofisticato, come la concezione dell’homoousia, dell’unità della sostanza. L’oikonomìa, che era stato il paradigma in cui si era pensata all’inizio la trinità, in modo pragmatico e non teorico, diventa qualcosa come una pudenda origo che si deve mettere da parte.

D. Quindi è una storia delle idee teologica, quella che stiamo ripercorrendo, che vede ad un certo punto inabissarsi il chiaro riferimento all’oikonomìa della trinità. Ma per riemergere quando? Dobbiamo attendere Schelling, come anticipava brevemente nel congresso su Benjamin, oppure riappare, seppur rapsodicamente, in altri periodi e contesti storici?

R. Una parte del lavoro che voglio fare è ricostruire questa fase intermedia. Perché quello che succede ad un certo punto è che il concetto di oikonomìa si fonde con quello di prònoia, di provvidenza. Con Clemente di Alessandria la fusione è già perfettamente articolata. Clemente dice con chiarezza che l’oikonomìa sarebbe irrazionale e assurda se non prendesse la forma di una provvidenza divina che guida il corso della storia.

E qui il discorso si fa, a mio avviso, estremamente interessante. E’ stato detto tante volte che gli antichi avevano una visione ciclica della temporalità, mentre la concezione della storia della filosofia e della teologia cristiana è lineare. Ma la cosa è, in realtà, più complessa. Quando con Clemente e Origene vediamo nascere il primo embrione di una concezione cristiana della storia, essa si presenta, con un singolare rovesciamento di un’espressione paolina, come un “mistero dell’economia”. La storia è, cioè, una economia misteriosa, una mistero divino che è oggetto della rivelazione cristiana e che l’uomo deve perciò apprendere a decifrare. Hegel (e Marx dopo di lui) non faranno che raccogliere questo paradigma per svelare definitivamente il mistero.

D. Ha avuto già il tempo di verificare se nei testi di Hegel, per esempio ne gli Scritti teologici giovanili, compare in qualche modo un riferimento al mistero teologico-economico della storia?

R. Penso che si potrebbe dire che la differenza fra Schelling e Hegel concerna appunto due modi diversi di intendere l’eredità teologica dell’ oikonomìa.

D. Ma chiudendo la parentesi hegeliana, e tornando alla storia come mistero economico, cosa ritiene particolarmente interessante di questo concetto?

R. Da una parte, che in fondo è attraverso questo mistero dell’economia che i primi embrioni di una concezione della storia del cristianesimo appaiono. Dall’altra, che tanto la vita divina che il governo divino del mondo e il corso della storia in quanto rivela questo piano divino del mondo sono una economia e non una politica. Come dicevo prima, ciò significa che dalla teologia cristiana deriva una teologia economica e non una teologia politica. La teologia politica può affermarsi solo sospendendo la teologia economica: di qui la dottrina schmittiana del kat-echon, che è una sospensione, una dilazione di questo piano economico che regge il mondo. La teologia politica secondo Schmitt si può fondare solo su un differimento e una dilazione dell’economia.

D. Così ci avviciniamo alla nascita del nuovo concetto moderno di economia in cui Weber ritroverà una radice in un certo senso teologica nella sua celebre opera L’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Ma prima di giungere fino al secolo appena trascorso, Le chiederei se ha anche affrontato una relazione tra etica, economia e teologia in Spinoza, in particolare nel Tractatus theologico politicus.

R. Questo è un problema che non ho ancora affrontato. Ciò di cui sono, invece, abbastanza sicuro è che il paradigma economico, che continua in una dimensione sotterranea attraverso tutto il medioevo, riappare nel ‘600 con il dibattito leibniziano sulla teodicea e nel ‘700, con la nascita dell’ economia animale. Nell’Encyclopédie [7] ci sono due voci distinte: economie politique e economie animale. Sono due cose che non hanno nulla a che fare, perché l’économie animale si riferisce alla medicina e alla scienza della natura, mentre l’economie politique si avvicina alla nostra economia politica. Credo di poter dimostrare che l’economia animale deriva dal paradigma dell’economia teologica. E se si pensa che nel settecento gli stessi autori (come Quesnay e gli altri fisiocratici), che sono all’origine dell’economia politica, scrivono anche trattati sull’economia animale, si potrebbe, sia pure con prudenza, avanzare l’ipotesi di una possibile genealogia teologica dell’economia moderna.

D. Nella fraseologia schmittiana, si potrebbe dire che l’economia moderna è una secolarizzazione dell’economia teologica?

R. Non credo che questo sarebbe esatto. Ciò che io mi propongo è, piuttosto, di ricostruire la storia, spesso dimenticata, dell’economia teologica e di individuare indizi e tracce di un suo influsso sulla nascita dell’ economia politica. La nozione di “mano invisibile” in Adam Smith è senz’altro una di queste tracce .

D. A questo punto, avendo appena citato la ’mano invisibile’ di Smith e seguendo l’interpretazione che dava della provvidenza, mi viene in mente l’analogia tra stato di eccezione e il concetto teologico di ‘miracolo’ intuita da Schmitt [8] e ripresa da Benjamin [9]. Non c’è una relazione tra questo riferimento al miracolo, lo stato di eccezione e il paradigma teologico-economico che sembra attraversare la teologia, l’economia, la politica e il diritto?

R. Certo. Uno dei risultati della mia ricerca sullo stato d’eccezione era stato appunto l’ idea di una doppia struttura dell’ordine giuridico politico dell’occidente, che sembra fondato insieme su un elemento normativo e giuridico in senso stretto, e un elemento invece anomico e extra-giuridico. L’economia teologica, in quanto paradigma essenzialmente gestionale e non normativo, sta certamente dalla parte dello stato di eccezione.

D. Sotto i nostri occhi si sta delineando una griglia interpretativa che consentirebbe di leggere la situazione attuale, la globalizzazione, intendo, come un testo già scritto, dove il diritto in fondo non è mai stato normativo, mentre tale è stato il governo dell’oikonomico.

R. Quello che mi sembra di poter intravedere da questa ricerca sulla teologia economica è che la storia della nostra cultura, della politica occidentale è la storia delle opposizioni e degli incroci tra un paradigma economico e un paradigma politico in senso stretto.

L’economia è l’aspetto gestionale e non normativo, tanto della vita divina che della realtà storica. Riprendendo una citazione schmittiana, (“le roi règne, mais il ne gouverne pas”), si potrebbe chiamare “regno” il primo paradigma e “governo” il secondo. In questa prospettiva, la storia del sistema politico dell’occidente appare come la storia del continuo separarsi e incrociarsi dei due paradigmi.

E’ evidente che Foucault ha lavorato soprattutto sul secondo, su quello che egli chiama le gouvernement des hommes. Io vorrei lavorare soprattutto sul loro incrocio, anche se è chiaro che oggi sembra essere il secondo a dominare.

D. Quindi l’economia, in un contesto globalizzato, è ciò che governa, è oikonomìa?

R. Direi che non possiamo capire il trionfo dell’economia oggi se non insieme al trionfo del paradigma gestionale dell’oikonomìa teologica.

D. In questo modo l’economia allora mostrerebbe il suo vero volto: la maschera politica viene tolta e appare il governo dell’oikonomico, del teologico economico intendo. Potremmo definire questo processo, secondo una terminologia schmittiana, come una de-secolarizzazione: dall’economia alla teologia? D’altra parte il termine sarebbe lo stesso, e l’economia non farebbe altro che riprendere il posto del diritto e della politica, perché in fondo è sempre stata lì.

R. Diciamo che il dominio attuale dell’economia aveva già il suo paradigma nell’oikonomìa. E’ vero che regno e governo in passato si sono sempre intrecciati e che la storia non è anzi che il loro intreccio. Però fin dall’inizio, dal punto di vista teologico, dominante era il paradigma del governo, dell’economia della vita divina. In termini filosofici, ciò corrisponde all’opposizione fra un paradigma ontologico (l’essere, la sostanza divina) da una parte e un paradigma assolutamente pragmatico dall’altra. Il dominio dell’ontologia ha nascosto la presenza, altrettanto e forse perfino più decisiva, dell’elemento oikonomico-pragmatico. Oggi la situazione si è rovesciata. Ma entrambi gli elementi sono necessari al funzionamento del sistema.

D. Rimanendo in termini filosofici ed in particolare sulle origini della filosofia, riappare quindi la dicotomia tra Platone e Aristotele?

R. E’ sempre difficile radicalizzare, c’è sempre tutto in tutto. Ma direi che Aristotele dà all’occidente la filosofia prima, l’ontologia, la dottrina dell’essere; in Platone, invece, c’è il primato dell’ethos, di ciò che è al di là dell’essere, dell’elemento pragmatico-politico.

D. Tornando per un attimo all’oikonomìa aristotelica, mi era parso che nella breve relazione che ha tenuto nel recente convegno internazionale su Benjamin, tentasse un’interpretazione dell’essenza del capitalismo che partendo dai concetti oikonomici di servo e di schiavo delineati nella Politica di Aristotele giungesse ad essere oggi una sorta di ‘immanentizzazione’ della stessa teologia economica.

R. Dire che cerco di ricostruire l’essenza del capitalismo è senz’altro eccessivo. Sicuramente l’ idea di un ordine immanente è essenziale, e si ritrova anche nell’economia antica, da Aristotele a Senofonte. E’ noto che l’economia greca non è un’economia della produzione, ma della gestione della casa, dell’ordine delle cose. La crematistica, il guadagno, era fuori dall’economia antica. Io credo, però, che quest’idea di ordine che noi siamo abituati a pensare come secondaria nell’economia moderna, ne costituisca invece un presupposto essenziale e ciò lega l’economia antica all’economia moderna. Il paradigma teologico rappresenta una sorta di elemento medio fra le due.

D. Per concludere, riconsiderando il monito gentiliano del “Silete theologi in munere alieno!” [10], a questo punto, quale teologia doveva e deve parlare e in quale campo?

R. Suggerirei a chiunque desideri comprendere veramente quel che accade oggi di non trascurare la teologia. Una delle cose che più mi hanno sorpreso, quando ho cominciato a lavorare sul problema dell’ oikonomìa, è che pensavo di trovare nelle biblioteche di teologia volumi e volumi sul concetto di economia, e invece nulla o quasi. Bisogna faticosamente leggere all’interno delle monografie sui singoli autori per trovare analizzato il punto. E’ incredibile, ma non c’è nessun lavoro veramente globale su questo concetto.

Come ne lo Stato d’eccezione, parafrasando [11] il monito di Alberico Gentile, provocavo i giuristi ad affrontare questo istituto giuridico dal loro proprio punto di vista, inviterei oggi i teologi a fare altrettanto, a affrontare come teologi questo problema, la cui rimozione ha avuto conseguenze nefaste sia in teologia che in politica


NOTE

[1] G. Agamben insegna presso lo Iuav di Venezia. Già curatore dell’edizione italiana delle opere di Walter Benjamin, ha pubblicato su tematiche filosofico-politiche fra l’altro Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Torino, 1995; Mezzi senza fine. Note sulla politica (1996); Quel che resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone(1998); Il tempo che resta, Un commento alla “lettera ai romani” (2000); Stato di eccezione, Torino, 2003,

[2] Carl Schmitt (Plettemberg 1888-1985) giurista e filosofo, membro del consiglio prussiano nel regime di Hitler e presidente dei giuristi nazinal-socialisti. Tra le opere più importanti, oltre alla Teologia politica (1922) la Dottrina della costituzione (1928), Il nomos della terra (1950) [3] Nel saggio dal titolo Teologia politica (in C.Schmitt Le categorie del politico, a cura di G.Miglio e P.Schera, Bologna 1972), Carl Schmitt oltre ad affermare la celebre frase “Sovrano è chi decide nello stato d’eccezione”, sostiene che “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati. Non solo in base al loro sviluppo storico, poiché essi sono passati alla dottrina dello Stato dalla teologia, come ad es. Dio onnipotente che è divenuto l’onnipotente legislatore, ma anche nella loro struttura sistematica, la cui conoscenza è necessaria per una considerazione sociologica di questi concetti”[p.61] e quello di sovranità ha il suo analogo nell’unicità e nella trascendenza di Dio. Da qui la polemica con Peterson che sostiene, invece, la non riducibililtà dell’idea monoteistica al cristianesimo primitivo che si fonda, piuttosto sul mistero della trinitario non imitabile ad extra e quindi nessun concetto teologico può fungere in alcun modo da analogo per altre discipline, e tanto meno per la politica.

[4] Erik Peterson (Amburgo 1890-1960) teologo protestante successivamente convertito al cattolicesimo nel suo libro su Il monoteismo come problema politico, (1935)tr. it. Queriniana, Brescia, 1986, confuta la tesi schmittiana della teologia politica, sostenendo che fra i due termini non vi è analogia. Così si esprimeva sulla teologia politica di Carl Schmitt "Il concetto di ’teologia politica’ è stato introdotto nella letteratura, per quanto io ne sappia, da Carl Schmitt, Politische teologie, Munchen 1922. Le sue brevi cosiderazioni di allora non erano impostate sistematicamente. Qui abbiamo fatto il tentativo, sulla base di un esempio concreto, di dimostrare l’impossibilità teologica di una ’teologia politica’"Il monoteismo come problema..., op. cit. n. 168, p. 103-104. [5] Primo concilio ecumenico convocato da Costantino nel 325 dove condannando l’eresia di Ario, si proclamò la consustanzialità del Figlio al Padre: la dottrina dell’homoousios.

[6] Indetto da Damaso nel 381, stabilì la divinità dello Spirito Santo [7] Propriamente Encyclopèdie ou dictionaire raisonné des sciences des arts et de mètiers, (Parigi tra il 1751 e 1772) diretta da Diderot e D’Alambert. [8] “Lo stato d’eccezione ha per la giurisprudenza un significato analogo al miracolo per la teologia” C.Schmitt, Le categorie del politico, op. cit. 62 [9] “La tradizione degli oppressi ci insegna che lo “stato d’eccezione” in cui viviamo è la regola.” W.Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di Boola e Ranchetti, Torino, 1997, p. 33

[10] Vedi commento alla frase: “Silete theologi in munere alieno!” nel numero precedente di questa Rivista, n. 3, 2004 [11] “Quare siletis juristae in munere vestro?”G.Agamben, Stato di eccezione, cit, p.7


Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:

-   All’epoca di GIOVANNI PAOLO II: un’intervista (2004) a ELMAR SALMANN.
-  LA GLOBALIZZAZIONE TRA TEOLOGIA ECONOMICA E ‘XENOLOGIA’.

LA CHIESA IN ROVINA E IL TEMPO DEL MESSIA. Un’analisi di Giorgio Agamben

"IL TEMPO CHE RESTA":UNA DOMANDA DI GIORGIO AGAMBEN A UNA CHIESA PERSA NEL TEMPO. - RIFLESSIONI SULLA PESTE: CORONAVIRUS E PACE PERPETUA.

FLS


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