Tri-logia del Cairo....

NAGIB MAHFUZ. HA RACCONTATO UN SECOLO DI EGITTO di Lucia Annunziata

giovedì 31 agosto 2006.
 

Ha raccontato un secolo di Egitto

di Lucia Annunziata (La Stampa, 31.08.2006)

IL CAIRO. SE dovessimo scegliere un solo gesto cui ricondurre l’uomo Nagib Mahfuz - e da quel gesto risalire forse allo scrittore - indicheremmo la sua più drammatica vicenda personale. Nel 1994, mentre era seduto in macchina, venne attaccato e colpito alla gola con un coltello da un musulmano radicale, un affiliato del gruppo guidato da Omar Abdel-Rahman leader di Gammaa al-Islamiya. Lo stesso Abdel-Rahman, per intenderci, oggi in carcere negli Stati Uniti per aver ispirato il primo, fallito, tentativo di far saltare il World Trade Center di New York.

Lo sceicco, in una intervista, aveva sostenuto che se lo scrittore egiziano fosse stato punito per Il rione dei ragazzi (1959), in cui traccia un ritratto allegorico di Dio, Salman Rushdie non avrebbe osato pubblicare i Versi satanici. Raccontano che, a parte il notevole danno fisico, Mahfuz ne uscì scioccato: «Non poteva credere che se la fossero presa con un uomo così vecchio quale lui già era» ricorda Raymond Stock, suo biografo e traduttore. A differenza di Rushdie, tuttavia, lo scrittore egiziano non scelse la clandestinità, ma rimase al Cairo, nella sua città, senza perdere mai un giorno di uscita quotidiana, mantenendo (malattia permettendo) il suo posto nei caffè preferiti, con scarsa scorta - e vivendo così fino a vedere ripubblicato, nel 2006, dopo anni di bando, il libro che gli era quasi costata la vita.

Si può leggere questa storia in molti modi: quella di Mahfuz è stata forse la scelta di chi è troppo vecchio per occuparsi strenuamente della propria vita, o forse è stata la volontà di affermare la differenza dai musulmani radicali. Ma, pensando ai libri che ha scritto, forse Mahfuz restò nella sua città e nelle sue strade perché non avrebbe potuto fare a meno del rapporto osmotico esistente fra lui e il suo paese.

Giustamente, i critici letterari - e i giudici del Nobel-sottolineano sempre come lo scrittore non sia mai stato un puro narratore «realista» e in quanto tale «egiziano», ma sia stato un autore universale; tuttavia per la maggior parte dei suoi lettori, occidentali inclusi, Mahfuz è stato soprattutto l’uomo che ci ha fatto capire un secolo di vita di quel pezzo importantissimo del mondo arabo che è l’Egitto. «Il suo lavoro», ha scritto Edward Said, l’intellettuale che negli ultimi decenni ha fatto da ponte «critico» fra il Medio Oriente e l’Occidente, «ha dato forma alle speranze e alla frustrazione dei suoi concittadini per mezzo secolo». E i concittadini lo hanno ricambiato con uguale affezione: i suoi libri sono stati adattati per il cinema, la televisione e il teatro, e i suoi personaggi sono parte della cultura popolare. L’Egitto che ci racconta è alla fine più vero di tutto quello che la cultura ufficiale vuole.

A cominciare dal primo e quasi sconosciuto romanzo, La battaglia di Tebe, che racconta la lotta di liberazione condotta agli inizi del XVI secolo a.C. dai faraoni tebani contro gli invasori Hyksos, passando per la Trilogia del Cairo, Il giorno in cui fu ucciso il leader e gli ultimi racconti, quella di Mahfuz è una lunga carrellata: dal colonialismo britannico alla rivoluzione nasserian-nazionalista e alla sconfitta di questa rivoluzione, mentre il centro del Medio Oriente man mano passava dall’Egitto ai paesi petroliferi, fino all’ultimo tentativo di grandeur finito con l’uccisione di Sadat, e all’Egitto di oggi in cui si forma il radicalismo islamico che poi porterà fino a Bin Laden, e in cui finisce del tutto quella sofisticata commistione di cultura arabo-europea di cui Il Cairo è stato a lungo centro e simbolo. In un declino a cui per ora né riforme né rivolte sembrano riuscire a dare alternative.

In tutti questi cambiamenti Mahfuz ha un punto di osservazione preciso: la doppia morale e il doppio livello di vita che separa la vicenda pubblica da quella privata e la vicenda dei potenti da quella della povertà giornaliera. «Che Mahfuz sia sempre stato uno scrittore impegnato socialmente con una profonda attenzione per le ingiustizie sociali, è un fatto incontestabile», ha scritto Said. «Per lui la moralità individuale è inseparabile dalla moralità sociale. In altre parole, secondo il codice morale di Mahfuz, coloro che cercano solo la propria salvezza individuale sono dannati; per lui il nirvana è una condizione collettiva. D’altra parte i personaggi che si salvano nel suo lavoro sono solo coloro che hanno interesse per gli altri e sono particolarmente consapevoli che il loro destino individuale è parte di uno più generale».

Sarà anche per questo che in Egitto Mahfuz, in quanto simbolo culturale, è stato così conteso e/o discusso da varie correnti politiche - quelle secolariste e quelle islamiste, in particolare, come abbiamo visto. Dell’amore indiscusso che l’Occidente ha avuto per questo scrittore, scoperto soprattutto dopo il Nobel, fa testo un curioso omaggio: il compositore e trombettista americano Dave Douglas gli ha intitolato una canzone in un album del 2001, della durata di 25 minuti, in cui il cantante Tom Waits legge l’estratto di un suo romanzo.


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