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CARMELITANI SCALZI ED ECUMENISMO: STORIA E MEMORIA. Ritrovato nel salernitano "file" perduto del tardo Rinascimento

venerdì 3 maggio 2024
UOMINI E DONNE, PROFETI E SIBILLE, OGGI: STORIA DELLE IDEE E DELLE IMMAGINI.
A CONTURSI TERME (SALERNO), IN EREDITA’, L’ULTIMO MESSAGGIO DELL’ECUMENISMO RINASCIMENTALE .....
RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE.
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> CARMELITANI SCALZI ED ECUMENISMO: STORIA E MEMORIA --- ITALIANISTICA. Poemi di argomento biblico a Milano tra Cinque e Seicento: "La Madalena penitente" (1602).

giovedì 25 agosto 2022

LA MADALENA PENITENTE (1602) *

      • FRANCESCO SAMARINI
      • «Finger qualche cosa del mio fuori dell’istoria»
      • Poemi di argomento biblico a Milano tra Cinque e Seicento

      • Lo snodo tra XVI e XVII secolo rappresenta il momento di maggior fortuna per il genere del poema sacro nel Ducato di Milano. Accanto alle opere agiografiche si contano alcuni componimenti a tema biblico, nei quali la materia scritturale - la cui traduzione diretta in volgare è proibita - viene sottoposta a trattamenti diversi.
      • La trama de Il giudizio finale (Milano 1599) di Giacomo Turamini si basa integralmente sulla Bibbia e su altri testi religiosi (come il Dies irae di Tommaso da Celano), pur mostrando una evidente impronta tassiana.
      • La Madalena penitente (Milano 1602, ma la princeps è edita a Napoli) di Paolo Silvio ricorre direttamente ai Vangeli solo nell’ultima parte: in precedenza il testo allinea antefatti di invenzione, tra cui un concilio infernale modellato su Liberata, IV.
      • Le ottave Per la Natività (Alessandria 1599) di Annibale Guasco ripercorrono in chiave provvidenziale la storia umana, accostando le vicende della Genesi alla nascita di Cristo.

-  [...] Paolo Silvio è un canonico lateranense nato a Melfi nel 1564 e morto a Napoli nel 1624.21 Il poema in ottava rima La Madalena penitente costituisce la sua unica opera poetica, mentre il resto della sua non estesa produzione letteraria è composta da trattati teologici. L’edizione della Madalena penitente impressa a Milano nel 1602 non è la princeps dell’opera, nonostante tutte le fonti più recenti la indichino come tale: le prime due stampe, oggi irreperibili, sono probabilmente realizzate a Napoli attorno al 1599.22

La pubblicazione milanese, approntata per iniziativa di Camillo Roseo senza l’autorizzazione dell’autore, apporta alcune modifiche arbitrarie alle sezioni dedicatorie, ma sembra mantenere invariato il resto dell’opera.23 A questa altezza il poema, che viene rimaneggiato e ampliato da Silvio in edizioni successive, si presenta diviso in tre parti, definite Pianti per il tema penitenziale che le impregna.24 Tale denominazione avvicina la Madalena penitente alla ricchissima produzione di poesia “lacrimista” di fine Cinquecento e inizio Seicento, incentrata sulle lamentazioni di alcuni personaggi delle Scritture, tra i quali spiccano il re Davide, San Pietro e, appunto, Maria Maddalena. Sul frontespizio di tutte le edizioni del poema compare il sottotitolo «poema eroico»: il sintagma, pur privato del suo significato etimologico, segnala chiaramente l’influenza della tradizione epica e, soprattutto, del modello tassiano.

Il fondamento biblico della trama è la conversione della peccatrice senza nome di Lc 7, 36- 50, che, come da tradizione, viene sovrapposta alla figura della Maddalena: questo minimo spunto narrativo, che nel Vangelo si esaurisce in poche frasi, viene sottoposto ad un lavoro di dilatazione estremo e collocato nella terza parte del testo.

I due Pianti precedenti espongono antefatti di pura invenzione: nel primo si descrive la perdizione di Maria di Magdala prima dell’incontro con Gesù, con massiccio ricorso al lessico della poesia amorosa, petrarchesca in particolare. Tra i procedimenti retorici tipici della tradizione amorosa possiamo ricordare la sensuale descriptio personae distesa nelle ottave I, 29 e ssg.: ogni stanza descrive con minuzia una parte del corpo della bellissima peccatrice (i capelli «aurea corona», il naso «sottile alquanto, né curvo o rivolto», le labbra «vermiglie rose», le mani «d’avorio»). Nella rappresentazione delle maniere della donna l’autore si sofferma poi sulle astuzie della sua raffinatissima ars amandi, con la quale è in grado di intrappolare ogni uomo, conducendolo sulla strada della perdizione:

      • Se l’aureo crin discioglie l’alme annoda;
        -  Se lampeggia col riso, i cori incende:
        -  S’a ragionar, l’accorta lingua snoda,
        -  Quasi privi di vita, i petti rende,
        -  E par che di dolcezza, il colmo goda,
        -  Chi sol da lei furtivo, un guardo prende,
        -  Strali son tutti in lei, gli atti suoi vaghi,
        -  Onde i debili uccida, e i forti impiaghi (I, 36).

La bellezza della giovane è quindi un’arma formidabile nelle mani del demonio, che non si rassegna a perdere un così valido alleato nella lotta contro il disegno divino di salvezza. Il secondo Pianto si apre su un concilio infernale che ricalca con precisione - anche nel lessico - il già citato canto IV della Liberata: questo momento del poema tassiano, esemplare per icasticità e teatralità, gode di un successo eccezionale tra gli autori di poemi sacri, che lo ripropongono costantemente. Le principali fonti di ispirazione letteraria del poema si mostrano in tutta la loro evidenza nelle stanze d’esordio dei primi due Pianti: nell’ottava I, 1 risuona con chiarezza l’eco del primo sonetto del Canzoniere (basti segnalare la riproposizione di alcuni termini chiave quali suono, sospiri, vano, pianto):

      • Al suon di mesti accenti, e di sospiri,
        -  Canto di Madalena i vani amori,
        -  E come al ciel converse opre e desiri,
        -  E nel gran pianto estinse i primi ardori.
        -  Ch’altri poi, sì gran foco in lei rimiri,
        -  Foco è d’amor, ma volto a’ sacri onori:
        -  Visse tra fiamme ogn’or, ma nel suo petto
        -  Opra una sola cagion, contrario effetto.

L’inizio del Pianto II è invece bipartito tra l’imitazione tassiana del primo verso (con le arme pietose di Liberata I, 1) e quella ariostesca della chiusa (che ricalca con precisione «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori» di Furioso I, 1), inframezzate da un doppio ossimoro caldo/freddo di stampo petrarchesco:

      • Mentre l’arme pietose, e i vivi affetti
        -  Canto onde fral guerriera espugna il cielo,
        -  A così nobil fiamma ardan que’ petti,
        -  Ch’agghiacciano nel foco, ardon nel gielo,
        -  E a tanto lume dispregino i diletti,
        -  Ch’avolgon l’alme in tenebroso velo,
        -  Scaldin lor voglie a i sempiterni onori,
        -  La donna, i suoi desir, l’arme, e gli amori.

La Maddalena occupa costantemente la scena con i suoi tormentati monologhi interiori e non è affiancata da personaggi di contorno, se non le due forze immense che si contendono il possesso della sua anima, Gesù e Satana. Le ottave propongono uno sterminato campionario di similitudini e metafore sulla figura della peccatrice, alla costante ricerca di immagini icastiche. L’autore prende spesso la parola per commentare le vicende ed esprimere considerazioni morali, anche non direttamente legate al testo. Dall’ottava I, 55, ad esempio, ha inizio un excursus sentenzioso sulla vera natura della nobiltà, non legata al sangue ma alle scelte virtuose operate nella vita: «Nascer d’alta progenie, o d’umil sangue, / Non è gloria, o virtù, ma pura sorte».

L’introduzione tanto massiccia di elementi estranei al dettato dei Vangeli, per di più provenienti da generi letterari assolutamente “profani”, è sentito come problematico dallo stesso autore, che sceglie di preporre al testo una interessante introduzione teorica in prosa, sotto il titolo di Proemio. In queste pagine il poeta previene le critiche a cui il testo si espone e fronteggia i principali capi d’accusa che potrebbero essergli rivolti. Ricorrendo ad abbondanti citazioni dalla stessa Scrittura e dai Padri della Chiesa, Silvio sostiene di essere autorizzato a descrivere la lascivia della Maddalena «perché tale la dipinge l’evangelista S. Luca in una sola parola dicendo Et ecce mulier qua erat in civitate peccatrix».25

L’autorità dei teologi (in particolare di Giovanni Damasceno) e dei poeti (Marco Girolamo Vida nella Christias, Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata e nella Conquistata) consente invece di descrivere gli esseri infernali come dotati di corpo e voce umana, anche se si tratta di creature soprannaturali. In ultimo, Silvio tocca il tema delle aggiunte al testo biblico, appellandosi al criterio di verosimiglianza (gli episodi nuovi non sono attestati dai Vangeli, ma sono plausibili) e alla necessità di guardare più al «gusto de’ lettori» che alle «regole particulari dell’arte»:

      • Nel terzo, e ultimo pianto si spiegano quei spirituali, e santi affetti, quali probabilmente può credersi, che intravenissero fra Cristo, e la Madalena in casa di Simone, ancorché l’Evangelista non ne faccia menzione.26

Il poema di Silvio, che non a caso è baciato da un notevole successo editoriale, è molto attento alle necessità del pubblico, che evidentemente apprezza le soluzioni tipiche della letteratura profana e le ricerca anche nei testi poetici religiosi.27 [...].

*

In
-  I cantieri dell’italianistica. Ricerca, didattica e organizzazione agli inizi del XXI secolo.
-  Atti del XVIII congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Padova, 10-13 settembre 2014), a cura di Guido Baldassarri, Valeria Di Iasio, Giovanni Ferroni, Ester Pietrobon,
-  Roma, Adi editore, 2016
(ripresa parziale, senza note).


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