Inviare un messaggio

In risposta a:

SOGNO E PENSIERO. SOGNO, DUNQUE SONO CREATIVO

mercoledì 10 giugno 2009
Ansa» 2009-06-08 22:59
DOPO UN SOGNO CI SVEGLIAMO PIU’ CREATIVI
ROMA - I sogni sono un propulsore della creatività, del pensiero creativo che porta alla soluzione ai problemi, infatti è durante la fase REM del sonno, quella in cui si sogna appunto, che il nostro cervello massimizza le sue (...)

In risposta a:

> SOGNO E PENSIERO. ---- ODILON REDON. In quello spazio tra veglia e sonno il suo «io» diviso incontrò Freud. Così esplora la mente tenendo ben salda la bussola della coscienza (di Silvia Vegetti Finzi).

giovedì 31 marzo 2011


-  Odilon Redon

-  In quello spazio tra veglia e sonno il suo «io» diviso incontrò Freud
-  Così esplora la mente tenendo ben salda la bussola della coscienza

di Silvia Vegetti Finzi (Corriere della Sera, 31.03.2011)

Scrive Odilon Redon nel 1898, quando è già un pittore famoso: «Tutto si crea per la sottomissione docile alla venuta dell’inconscio» . La data coincide con la pubblicazione della «Interpretazione dei sogni» , che Freud volle datare 1900 per sottolinearne il significato inaugurale.

Entrambi, seguendo i labirinti del sogno, dischiudono all’investigazione uno spazio intermedio tra veglia e sonno, ragione e passione, giorno e notte, senza tuttavia smarrirsi nei suoi meandri. Pur affidandosi alla deriva delle libere associazioni, l’artista e lo psicoanalista tengono ben saldi la bussola della coscienza e gli strumenti della competenza.

Sin dall’inizio Redon, soprannominato il Principe dei sogni, abbandona la luce vibrante dell’impressionismo, la natura dispiegata alla ricezione dei sensi, in auge in quel momento, per calarsi nelle tenebre impersonali delle fantasie e dei sogni che animano l’inconscio. Benché costituisca un enigma per i contemporanei, Redon non sarà mai un personaggio emarginato, un artista maledetto. Lo salvaguardano una vasta cultura, una straordinaria versatilità tecnica, l’intima adesione alla morale tradizionale, nonché una solida appartenenza borghese.

I contenuti della sua arte sono visionari, ma il linguaggio è classico, talora straniante, ironico e dissacrante. L’intento non è di suggestionare, ma di predisporre a pensare. Le fonti d’ispirazione sono innumerevoli: la storia dell’arte, la letteratura, l’evoluzionismo scientifico, la botanica, l’entomologia, la mitologia europea e indiana, il misticismo e l’esoterismo. Da qualunque parte giungano, le immagini che lo colpiscono vengono estrapolate dal contesto, spezzate e gettate nel crogiuolo onirico da dove riemergono assemblate dalla stravagante a-logica dei sogni, che ignora il tempo, lo spazio, il principio di non contraddizione.

Eppure nell’indeterminazione fluttuante della sua pittura si scorgono alcune, significative linee evolutive. La prima conduce dal nero ai colori. Gli anni 80 sono contraddistinti dai Noirs e da soggetti drammatici come «La paura» , «La battaglia delle ossa» , «Nel sogno» , «Ragno» , «Pegaso prigioniero» , «La Nuit» e dall’incontro con le opere oniriche di Goya, Poe, Flaubert.

Successivamente, però, con «Occhi chiusi» del 1890, la sua tavolozza si arricchisce di un’ampia gamma di tinte, la pennellata si fa luminosa, plastica e vibrante come se avesse ritrovato entro di sé il mondo esterno. Per una ulteriore metamorfosi, il suo processo creativo ascende dall’infimo al sublime, dalle creature primitive e grottesche, come i ragni con teste umane, alla bellezza ideale, ispirata dall’arte italiana delle origini, culminante in un profilo neutro, dipinto in blu cobalto su sfondo d’oro. Quell’idolo immobile, astratto e impersonale, conclude una faustiana «discesa all’inferno» con l’idea platonica del bello, cui Redon ha votato la vita e la ricerca, come rivela nell’autobiografia «À Soi-même» .

Dall’archeologia di un immaginario caotico e frammentato, Redon, ormai vecchio, porta alla luce una piccola cosa, una conchiglia che lo connette a Mallarmé, il poeta a lui più caro. Entrambi scorgono, in quel guscio cavo, un simbolo del grembo materno. Nel suo vuoto risuona, come la voce del mare, il desiderio inconscio, reso dal divieto dell’incesto tanto impossibile quanto insistente. È significativo che Redon non volle mai esporre quel quadro, come se appartenesse alla sua più segreta intimità.

Infine, nell’ultimo autoritratto del 1910, Redon, che ha attraversato l’immaginario apocalittico del Romanticismo conservando la fiducia nella ragione illuminista, ricompone nel suo volto l’ambiguità, l’ambivalenza, le contraddizioni dell’esistenza. La parte destra, in piena luce, scruta lo spettatore mentre quella sinistra, oscurata dall’ombra, sfuma nell’indeterminato. L’Io diviso che costituisce la nostra identità, suggerisce Redon, deve e può essere ricomposto dal soggetto che si «disegna» secondo un desiderio, conscio e inconscio, che ne delinea le possibilità e i limiti.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: