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CRISI COSTITUZIONALE (1994-2011). "DUE PRESIDENTI" DELLA REPUBBLICA GRIDANO: FORZA ITALIA!!! LA DOMANDA E’: CHI E’ "PULCINELLA"? IL MENTITORE ISTITUZIONALE?!

mercoledì 23 marzo 2011
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA:
L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA (ART. 1),
UNA E INDIVISIBILE (ART. 5).
LA SUA BANDIERA E’ IL TRICOLORE (ART. 12)...
E IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA E’ IL CAPO DELLO STATO
E RAPPRESENTA L’UNITA’ NAZIONALE (ART. 87) (...)

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> CRISI COSTITUZIONALE (1994-2009). DUE PRESIDENTI GRIDANO: FORZA ITALIA!!! --- Ma il vero bersaglio è un altro ... rompendo il riserbo sulle elezioni anticipate, Schifani ha alzato la mira su Napolitano (di Marcello Sorgi).

mercoledì 18 novembre 2009

Ma il vero bersaglio è un altro di MARCELLO SORGI (La Stampa, 18/11/2009)

La crisi del centrodestra, che si trascinava da settimane, da ieri s’è di molto aggravata. Da politica che era, è diventata istituzionale, con il presidente del Senato che invoca le elezioni anticipate come antidoto al logoramento della maggioranza, e accusa, pur senza nominarlo, il presidente della Camera, di essere responsabile di questo stesso logoramento, che impedisce al governo di rispettare gli impegni assunti con gli elettori.

Stavolta l’abituale soavità del senatore Schifani non è bastata ad addolcire la sostanza, durissima, del suo intervento, e la sorpresa generale con cui è stato accolto. Infatti, anche se come tutto finisce di tanto in tanto nel frullatore del dibattito politico quotidiano, la materia dello scioglimento delle Camere è di stretta competenza del Capo dello Stato ed è solitamente tabù per i presidenti delle Assemblee.

Ai quali tocca semmai maggiore prudenza, legata alla necessità di rappresentare la volontà di tutti i parlamentari, e non solo delle maggioranze che li hanno eletti, quando il momento di decidere la fine della legislatura si presenta veramente. La Costituzione (articolo 88) stabilisce che il Presidente della Repubblica decreti lo scioglimento, «sentiti i presidenti delle Camere»: ed è ovvio che il loro convincimento vada espresso solo tra i muri del Quirinale...

Ecco perché l’iniziativa di Schifani, oltre a costituire una novità assoluta, è del tutto irrituale. Che negli ultimi anni, e nell’epoca del maggioritario, i ruoli dei presidenti delle Camere abbiano subito una drastica trasformazione, non ci sono dubbi. E altrettanto, che Fini abbia spesso esorbitato, muovendosi in modo assai personale e non riuscendo a spogliarsi del suo abito di leader politico, come avrebbe richiesto il fatto di ricoprire la terza carica dello Stato. Ma proprio per questo, ci si sarebbe aspettato dalla seconda carica un di più di compostezza, di riservatezza istituzionale, di silenzio, da contrapporre al confuso vociare in cui il presidente della Camera s’era fatto risucchiare.

Non c’è neppure bisogno di ricordare che, sebbene formalmente sullo stesso piano, il presidente del Senato siede in realtà su un gradino un filino più alto del suo dirimpettaio di Montecitorio. E’ a lui, infatti, che tocca il delicato compito di supplenza in caso di assenza o di impedimento del Capo dello Stato. Ed è ancora a lui - anche se non c’è nulla che lo imponga - che il Quirinale si rivolge per primo in caso di crisi, se si richiede un mandato esplorativo o un ulteriore tentativo di chiarimento. Inoltre, non è dato al presidente del Senato (e neppure a quello della Camera per la verità) esprimere valutazioni politiche che non derivino da dirette e formali constatazioni dell’andamento dei lavori parlamentari.

E insomma, quando Schifani parla di mancanza di compattezza della maggioranza, viene da chiedersi in base a cosa lo faccia, dal momento che in Senato il governo ha potuto fin qui procedere abbastanza tranquillamente, superando difficoltà e incognite che si presentano normalmente nella vita parlamentare, e portando lo stesso presidente a esprimere, anche di recente, il proprio compiacimento.

Schifani, poi, s’è dichiarato insoddisfatto della scarsa produttività di riforme da parte del Parlamento. Ma non è in Senato che per la prima volta s’è verificata la convergenza tra maggioranza e opposizione sul federalismo fiscale? E non è il Senato che è stato scelto, dopo la caduta del lodo Alfano - nell’ora più difficile dei rapporti tra politica e giustizia, e tra governo e magistratura -, per avviare il percorso del disegno di legge sul «processo breve»?

Davvero non si capisce cosa abbia spinto Schifani a un così brusco cambio di rotta. Stando a voci mediocri che circolavano nei corridoi parlamentari, l’uscita della seconda carica dello Stato sarebbe dovuta a un diktat di Berlusconi: che tace, non potendo parlare in prima persona, per non certificare la dissoluzione della sua maggioranza. Insinuazioni che hanno dell’incredibile, conoscendo il geloso attaccamento del presidente del Senato alla propria autonomia.

No, c’è da scommetterci: dietro Schifani c’è solo Schifani. E se ha deciso di rompere la corteccia istituzionale che lo ha vincolato finora, e compiere un gesto così grave, non è stato certo solo per lanciare un avvertimento al suo irrequieto vicino di Montecitorio. C’è dell’altro e c’è di più: rompendo il riserbo sulle elezioni anticipate, Schifani ha alzato la mira su Napolitano.


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