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Appello

Cattolicesimo, fascismo, nazismo, stalinismo: il sogno del "regno di ‘dio’" in un solo ‘paese’ è finito. UN NUOVO CONCILIO, SUBITO. 95 TESI? NE BASTA UNA SOLA!

UNA MEMORIA DI "VECCHIE" SOLLECITAZIONI. Il cardinale Martini, da Gerusalemme, dalla “città della pace”, lo sollecita ancora!!!
martedì 5 giugno 2007 di Federico La Sala
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
IL NOME DI DIO. L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
LEZIONE DI PIETRO: "Ὁμοίως γυναῖκες (...)

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> UN NUOVO CONCILIO, SUBITO. UNA MEMORIA ---- DOPO LA PAURA, LA SPERANZA. Se domani il mondo riparte (di Andrea Riccardi).

venerdì 11 maggio 2012


Se domani il mondo riparte

di Andrea Riccardi (Corriere della Sera, 11 maggio 2012)

      • Pubblichiamo un estratto del volume di Andrea Riccardi “Dopo la paura la speranza” (Edizioni San Paolo, pp. 128, € 14,50).

Siamo a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II. In quella stagione si insisteva molto sull’esigenza di leggere i «segni dei tempi», per usare un’espressione evangelica fatta propria da Giovanni XXIII. Quel Papa alludeva alla capacità di leggere il proprio tempo o gli aspetti più significativi ed emblematici della storia del presente. Negli anni del post-concilio l’insistenza sui segni dei tempi era divenuta quasi eccessiva. Oggi avviene il contrario. Sembra che si abbia timore di sforzarsi di leggere il proprio tempo. Qualche volta anche i cristiani vivono chiusi nel loro mondo e nelle loro istituzioni, timorosi di buttare uno sguardo fuori dalla finestra. Per tutti, cristiani o non, il mondo è divenuto così vasto che ignorarlo diventa una sicurezza.

Paura e solitudine camminano insieme. Abbiamo bisogno che rinasca un modo familiare di vivere, che si ricrei un tessuto comunitario nelle periferie delle città, che si sviluppi un legame fiducioso tra la gente.

In questa prospettiva la famiglia va sostenuta, perché su di essa pesano, proprio per la crisi, tanti carichi aggiuntivi. Del resto, gli ambienti cristiani, quelli delle parrocchie, come le tante e diverse forme comunitarie del vivere cristiano in Italia, sono reti preziose che salvano, con la fede, anche l’umanità dei rapporti e la solidarietà con i più deboli.

La domenica, giorno della liturgia eucaristica e della gratuità, rappresenta un tempo carico di un messaggio di libertà e di speranza. Bisogna far crescere ambienti liberi dalla paura. Già il ritrovarsi insieme è un’uscita dal condizionamento pesante della solitudine e della paura.

Negli ultimi mesi la mia attività di presenza nel dibattito pubblico si è incrociata con una nuova prospettiva esistenziale che mi ha portato a partecipare come ministro della cooperazione internazionale e dell’integrazione al governo presieduto da Mario Monti. Non ho qui alcuna intenzione di esprimere valutazioni politiche di quest’esperienza governativa. Posso però dire che, in pochi mesi di intenso lavoro da parte del governo, nonostante scelte che potrebbero apparire impopolari per il carico che impongono alla gente, ho avvertito nella società italiana fiducia nell’azione del governo.

Mi sembra anche che sia rinata una qualche fiducia nei confronti della politica.

Troppo breve è il tempo trascorso per dare giudizi definitivi, ma ho la sensazione che siamo in una stagione in cui sta maturando un linguaggio nuovo con cui parlare delle cose comuni, cioè del bene nazionale, ma anche delle altre parti politiche. Infatti il linguaggio aggressivo, che ha caratterizzato quasi due decenni della nostra politica, ha avuto effetti negativi. Non esprimeva una speranza nel futuro.

Oggi dobbiamo forse aver meno paura del futuro e riprendere a parlare di politica per dire quale futuro vogliamo. Non è il tempo delle utopie, perché ogni giorno ci misuriamo con le ristrettezze di bilancio. Mi sembra, però, che sia possibile parlare di futuro e di politica.

Non siamo in una stagione facile per l’Italia, per l’Europa e per il mondo. La storia recente però ha conosciuto stagioni più brutte. Siamo in un tempo di grandi cambiamenti sociali ed economici. Sta cambiando rapidamente e profondamente il modo di lavorare: questo inciderà sempre più sugli stili di vita, riducendo gli spazi liberi. D’altra parte il precariato cresce. La competitività segna profondamente la vita contemporanea ed esalta i caratteri individuali dell’esistenza, spesso sentita come una sfida.

La mobilità allenta i legami. La globalizzazione fa sì che siamo sempre più interdipendenti da scelte e comportamenti di altri mondi, di cui ci sfugge il controllo. Stiamo cambiando - e non sempre ce ne accorgiamo - forse senza traumi, ma in profondità. È il turbine del cambiamento.

In questa grande trasformazione dobbiamo immettere la speranza. Anzi dobbiamo far fiorire la speranza. La speranza è che ci sia un futuro degno per ognuno di noi, ma anche per le nostre famiglie e comunità e per quella comunità nazionale che si chiama Italia. La speranza sorge da una radice profonda, ma diventa poi un intreccio di parole, comportamenti, attese, volontà, sogni. Ci sono nel nostro Paese tanti ambienti in cui si conserva una speranza forte. Il mondo cristiano italiano non ha rinunciato alla speranza. Bisogna allora coltivarla in questo nostro tempo. È un tempo in cui si aprono nuove opportunità a tanti e diversi livelli in Italia, in Europa e nel mondo. È oggi possibile costruire qualcosa di degno per tutti. Ma soprattutto è un tempo da guardare con una simpatia, capace di intelligenza.

Il futuro che abbiamo di fronte non è solo difficile - lo ripeto. La storia è anche piena di sorprese. I grandi mutamenti storici, come la caduta del comunismo nel 1989 o la primavera araba del 2010, non sono stati previsti nemmeno dai più fini analisti. Non si tratta solo di essere ottimisti o pessimisti di fronte al domani. C’è un atteggiamento da far maturare tra di noi, nutrito di simpatia per gli uomini e le donne del nostro tempo, ma anche radicato in qualcosa che non delude e che non teme le smentite quotidiane della vita.

Scrive l’apostolo Paolo: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è dato» (Rm 5,5). La radice di una speranza che non delude ci fa capire fino in fondo che vuol dire non lasciarci dominare dalla paura. L’esperienza storica e umana di generazioni ci conferma che la via della paura finisce per portarci a scenari e situazioni pesanti, senza sbocco.

La speranza è esigente, laboriosa, paziente, e anche capace di far emergere il meglio da noi stessi e dagli altri. Per questo, dopo la paura, è il tempo della speranza.


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