anticipazioni
Europa, la forza di una storia antica
Dai Greci alla rivoluzione cristiana: ragione critica, pluralismo, valore sacro della persona hanno formato i tratti costitutivi dell’identità europea. Una riflessione sul futuro della nostra civiltà
DI DARIO ANTISERI (Avvenire, 09.08.2008)
Non pochi intellettuali, sicuramente ben intenzionati, hanno a più riprese sottolineato il fatto che l’Europa non ha avuto e non ha oggi e ancor più non avrà domani una filosofia unica, una fede unica, un’unica morale. Ed hanno visto e vedono in ciò la debolezza dell’Occidente, la fragilità dell’Europa.
L’Europa, insomma, sarebbe debole senza una simile «idea portante ed unitaria, una fede unica» da contrapporre con orgoglio ad altre culture ben più monolitiche e dogmatiche. Siffatta opinione, largamente diffusa è, in qualche modo, comprensibile.
Tuttavia, ha scritto non molti anni fa Karl Popper: «Io la reputo fondamentalmente errata. Dovremmo essere orgogliosi di non possedere un’unica idea, bensì molte idee, buone e cattive, di non avere una sola fede, un’unica religione, quanto piuttosto parecchie fedi, buone e cattive. È un segno della superiore energia dell’Occidente il fatto che ce lo possiamo permettere. L’unità dell’Occidente su un’unica idea, su un’unica fede, su un’unica religione, sarebbe la fine dell’Occidente, la nostra capitolazione, il nostro assoggettamento incondizionato all’idea totalitaria» L’Europa è la sua storia. E la storia d’Europa non è la storia di un’unica idea, di una tradizione monolitica. La storia dell’Europa è piuttosto la storia - certo punteggiata anche di errori, di soprusi, di massacri - di una tradizione in cui nascono, si sviluppano, si incontrano e si scontrano più idee filosofiche e più idee religiose, svariate proposte politiche e più visioni del mondo: buone e cattive.
L’Europa è la sua storia. E questa storia non è la storia di un’idea che permette una sola tradizione, ma è la storia di una tradizione che permette le idee più diverse ed azzardate. Non è la storia di una prigione mentale; è piuttosto la storia - talvolta dolorosa, talvolta impazzita - della provincia del mondo che ha conosciuto la fioritura più varia e ricca di idee (buone e cattive) spesso in contrasto tra di loro. Ed è proprio questo ciò che distingue l’Europa e la sua storia dalla storia di altre culture.
Qui sta, appunto, il destino comune dell’Europa: ragione critica, pluralismo, tolleranza. La nostra civiltà - è Popper a parlare ancora - è la migliore perché la più capace di autocorreggersi. Si autocorregge perché guidata dal valore della ragione critica - e perché critica è anche tollerante. Ragione critica, pluralismo, rispetto delle diversità, e tolleranza sono elementi che, in una storia travagliata, hanno contribuito a delineare i tratti dell’identità europea. Una consapevolezza, questa, che va da Strabone, il quale parlava dell’Europa come di «una nazione dai cento volti»; a santo Stefano, il re di Ungheria, che nei Monita ai suoi eredi faceva presente che « unius linguae uniusque moris regnum fragile est »; giù giù sino a Jakob Burckhardt.
Ragione critica, pluralismo e tolleranza - linee portanti della nostra tradizione. Esiti essi stessi di tentativi e di errori, non sempre egemoni, questi valori, qui o là, per periodi più o meno lunghi, sono stati avversati, messi in ombra, calpestati. Ma sono di continuo riemersi. L’albero tagliato è rinato; le sue radici erano solide. Ed esse affondano nella cultura greca da una parte e nel messaggio cristiano dall’altra. È un pensatore laico come Popper a riconoscere il valore che la tradizione cristiana attribuisce alla coscienza dei singoli individui. Per un umanitario, e soprattutto per un cristiano, egli scrive «non esiste uomo che sia più importante di un altro uomo». E ancora: la coscienza di ogni singola persona, unita con l’altruismo, «è diventata - scrive Popper la base della nostra civiltà occidentale ». È la dottrina centrale del Cristianesimo («ama il prossimo tuo», dice la Scrittura, e non «ama la tua tribù») ed è il nucleo vivo di tutte le dottrine etiche che sono scaturite dalla nostra civiltà e l’hanno alimentata.
È anche, per esempio, la dottrina etica centrale di Kant («devi sempre riconoscere che gli individui umani sono fini e che non devi mai usarli come meri mezzi ai tuoi fini»). Non c’è alcun altro pensiero che abbia avuto tanta influenza nello sviluppo morale dell’uomo.
Ho richiamato questi pensieri di Popper sul valore che il Cristianesimo dà alla libera e responsabile coscienza di ogni singola persona, perché l’idea cristiana di uomo «fatto ad immagine e somiglianza di Dio» ha creato, a livello politico, una tensione che attraversa tutta la storia. Si tratta, infatti, di un ideale che, pur tra vicissitudini compromissorie anche torbide, tra tentazioni «teocratiche» o rifiuti satanocratici del potere politico, ha esercitato, nell’evoluzione storica, una pressione a volte travolgente sull’elemento mondano antitetico. «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio»: con ciò entrava nella storia il principio che Káysar non è Kýrios - il potere politico veniva desacralizzato, l’ordine mondano relativizzato, e le richieste di Cesare sottoposte ad un giudizio di legittimità da parte di una inviolabile coscienza.
Káysar non è Kýrios: una spina nella carne nelle pretese onnivore del potere politico, principio religioso ed insieme etico, sorgente inesauribile di una miriade di corpi intermedi (ospedali, orfanotrofi, associazioni di carità, ordini religiosi, confraternite, monti frumentari, scuole cattedrali, università, scuole professionali, cooperative, movimenti politici, casse di risparmio, giornali diocesani, organizzazioni giovanili, ecc.) che, pur tra cedimenti e collusioni, hanno rappresentato nella storia dell’Occidente il presidio di iniziative libere di libere persone.
Da questa prospettiva il Cristianesimo è stato l’evento politico più importante dell’Occidente: per decreto religioso lo Stato non può essere tutto. La teocrazia, in questo modo, non fa parte del destino dell’Europa. Ê questo un tratto che distingue quella dell’Europa da altre civiltà. È, appunto, nel messaggio cristiano che affondano le radici di quel grande principio di libertà che è il principio di sussidiarietà. D a parte sua, un pensatore laico come Benedetto Croce ha precisato, «per semplice osservanza della verità», che «il cristianesimo è stata la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto» - e ciò «per la ragione (...) che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino ad allora era mancata all’umanità». In realtà, con il Cristianesimo viene al mondo il concetto di uomo come persona: persona libera, responsabile, con una coscienza inviolabile. I Greci avevano avvicinato, tramite l’idea di psyche, una simile prospettiva, ma non l’avevano raggiunta. E il valore infinito, sacro, di una persona, di un uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio implica e trascina con sé il ridimensionamento dell’ordine politico.
Considerazioni del genere - ed altre se ne potrebbero aggiungere rendono impossibile dar torto a Thomas S. Eliot allorché scrive che «se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora si dovranno attraversare molti secoli di barbarie». Stando così le cose, è davvero incomprensibile, da una prospettiva puramente culturale e «per semplice osservanza della verità», la posizione di quanti si sono ostinati a non voler inserire nella Costituzione europea il richiamo alle radici cristiane dell’Europa. Chi, quale cultura rappresentano costoro? In quale storia si sentono inseriti?
Certo, la nostra Europa è già plurietnica e multiculturale e sempre più lo sarà nei prossimi decenni. Ma perché simile realtà possa dare i frutti di un fecondo dialogo e magari di «felici contaminazioni», è più che mai urgente non perdere la consapevolezza della nostra identità. Come ha insegnato Hans Georg Gadamer, «ci si può comprendere soltanto se si è diversi», unicamente se si è consapevoli dei tratti della nostra identità. Il rispetto nei confronti degli altri, il dovuto rispetto nei confronti delle tradizioni «altre» non implica la cancellazione della nostra tradizione. Rispettare gli altri non equivale ad annientare noi stessi. E gli altri, alcuni «altri», dovrebbero capire che sono rispettati anche e soprattutto perché c’è chi ha accettato e accetta il messaggio di Colui che è morto in croce