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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
giovedì 25 aprile 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". --- VIVIAMO TRE CRISI. Dopo la crisi finanziaria è esplosa una crisi monetaria ed economica, che si è rivelata una crisi politica (di Alain Tourain - La terza crisi dell’Europa rimasta senza futuro).

mercoledì 29 settembre 2010

La terza crisi dell’Europa rimasta senza futuro

di Alain Touraine (la Repubblica, 29.09. 2010)

Viviamo tre crisi. Questa formula sembra una costruzione artificiale, ma non lo è. Dopo la crisi finanziaria è esplosa una crisi monetaria ed economica, che si è rivelata una crisi politica. Ma i nostri Paesi europei si mostrano incapaci di pensare e di organizzare il proprio futuro - e qui sta la terza crisi. La prima, la più visibile, è stata la crisi finanziaria (preparata da una serie di crisi regionali e settoriali, e dall’esplosione della bolla di Internet): quella dei subprimes.

La crisi del credito ipotecario, culminata nel 2008 col tracollo della banca Lehman Brothers a New York, ha colpito più duramente gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ma anche l’Europa continentale. Per converso, le altre parti del mondo hanno ripreso quota in brevissimo tempo, riuscendo persino a conseguire alti livelli di crescita.

C’era chi credeva la crisi ormai superata e la ripresa assicurata quando, all’inizio del 2010, è esplosa una crisi economica e di bilancio, soprattutto europea. È incominciata con un boato: la Grecia era sull’orlo del fallimento. Si è dovuto ricorrere alla mobilitazione dei grandi Paesi europei e dell’Fmi, per scongiurare una catastrofe che rischiava di estendersi ad altri Paesi.

Abbiamo così scoperto la gravità delle nostre malattie: i giganteschi deficit di bilancio, il rapido aumento del debito pubblico, e quasi ovunque l’incapacità di ridurre gli alti livelli della disoccupazione. Questa crisi è innanzitutto politica, dato che pone in luce l’impotenza dei Paesi europei, incapaci di gestire le loro economie, ridurre la spesa pubblica, migliorare il gettito fiscale, e soprattutto di far ripartire la crescita, senza la quale nessun risanamento dei bilanci è possibile. Se la Gran Bretagna, il cui sistema bancario è stato praticamente nazionalizzato dopo il 2008, ha saputo lanciare un rigoroso programma di austerità, non si può dire altrettanto della Francia e dell’Italia - per non parlare della Spagna, schiacciata da una disoccupazione del 20%.

Italia e Francia non hanno commesso errori giganteschi in politica economica; le cause della loro incapacità di ripresa sono essenzialmente politiche. I governi si sono dimostrati impotenti; hanno mancato di elaborare un’analisi solida con progetti precisi. I due presidenti, Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy, sono attaccati sul piano personale più che per la loro gestione economica. Ma sia in Italia che in Francia, i partiti d’opposizione si sono rivelati non meno deboli dei governi. E la debolezza delle sinistre politiche ha aiutato i governi di destra ad accollare ai lavoratori dipendenti il peso delle misure da adottare.

La terza crisi dell’Occidente è l’assenza di un progetto di civiltà. Per secoli l’Occidente europeo ha concentrato tutte le sue risorse nelle mani di un’élite dirigente: quella delle monarchie assolute, e quindi del grande capitalismo. E ha potuto così, nell’arco di pochi secoli, conquistare gran parte del mondo. Questo modello vincente si reggeva però su due situazioni pericolose. In primo luogo, su una società che nel suo insieme era brutalmente assoggettata al potere dei dirigenti. Dai sudditi del re agli operai delle industrie, dai colonizzati alle donne e ai bambini, tutte le categorie della popolazione hanno subìto forme di dominio estreme. Altra sua debolezza: è servito alla formazione degli Stati nazionali per secoli in guerra tra loro, finché nel 900 l’Europa si è autodistrutta con le due guerre mondiali e l’ondata dei regimi totalitari.

Le lotte tra gli Stati nazionali europei sono cessate solo con l’egemonia americana e la creazione di un’Unione europea che si reggeva sull’indebolimento degli Stati. Il sistema sociale europeo si è indebolito più lentamente. I popoli avevano rovesciato i re, i lavoratori avevano conquistato diritti sociali, le colonie si erano liberate, le donne avevano ottenuto alcuni diritti, pur senza riuscire a porre fine alle disuguaglianze a loro danno. Ma ora l’Europa si ritrova senza un modello di sviluppo, senza un progetto per il suo futuro.

Eppure non sarebbe impossibile. Conosciamo fin d’ora le grandi priorità del secolo a venire: gli ecologisti ci hanno convinto della necessità di far convergere i diritti dell’economia con quelli della natura; alcuni movimenti culturali ci hanno insegnato che occorre non solo portare al governo la maggioranza, ma anche rispettare i diritti delle minoranze. Le donne, su un piano più privato che pubblico, hanno iniziato a costruire una società il cui principale obiettivo è riconciliare gli estremi opposti, dando la priorità all’integrazione interna e non alla conquista esterna. Ma questi grandi progetti hanno più forza presso l’opinione pubblica che in seno ai governi. Siamo troppo consapevoli delle disastrose conseguenze delle idee spengleriane sul declino dell’Occidente, che a suo tempo alimentarono la politica nazista, per riesumare quell’espressione; ma in un mondo in crescita, con nuove grandi potenze in via di formazione, la stagnazione, se non il regresso dell’Europa rappresenta un dato di fatto.

L’Unione europea ha affrontato il compito necessario di integrare un continente che la volontà di Stalin aveva spaccato in due; ma non ha saputo offrire agli europei un progetto per il futuro, e neppure nuove idee e nuove urgenze, un nuovo posto nel mondo. Eppure, in Europa come negli Stati Uniti, la vita esiste ancora, non già al disopra, ma sotto il livello dei governi; ed è sul web che si sono formati i grandi movimenti più entusiasti, quali Move on negli Stati Uniti o i Viola in Italia.

Ma se è possibile inventare un futuro, oggi non abbiamo più gli strumenti politici, e ancor meno intellettuali, che servirebbero per superare le crisi. Nel mondo economico c’è un unico settore che è riuscito a riprendersi rapidamente e con forza: quello del capitale finanziario. Al tempo stesso però, le disuguaglianze sociali sono nuovamente in aumento; l’economia produttiva è trascinata fuori dall’Europa; il dibattito politico non ha ripreso vita in nessuno dei Paesi europei.

Non possiamo più addebitare alla crisi la nostra impotenza politica e persino intellettuale, che di fatto ne costituisce la principale causa. Questa constatazione ci indica chiaramente le nostre priorità: non usciremo dalla crisi economica se prima non saremo usciti dalla crisi politica e da quella culturale. Da qui l’urgenza di un riassestamento politico, e più ancora di una rinascita intellettuale e culturale. Il Belgio e l’Olanda sono devastati dal populismo sciovinista e dalla xenofobia. In Italia e in Francia la vita politica è allo sfascio, e va completamente ricostruita.

Dato il ruolo dominante degli Stati Uniti, abbiamo tutti bisogno di una vittoria di Obama su un partito repubblicano trainato dalla sua area più reazionaria e ottusa. Sono stati i migliori economisti ad insegnarci l’importanza prioritaria delle soluzioni sociali e politiche per superare le crisi economiche; ma sembra che i politici siano ben lontani dall’ascoltarli. Non possiamo più avanzare a piccoli passi, anche perché non sappiamo neppure se stiamo avanzando o indietreggiando. Abbiamo urgente bisogno di immaginare, di pensare, di costruire il nostro avvenire, al di là delle nebbie e dei silenzi che ci impediscono di scoprire gli strumenti politici indispensabili alla sua costruzione.

Traduzione di Elisabetta Horvat


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