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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
giovedì 25 aprile 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. --- Minareti. Perché l’Occidente non deve averne paura (di Piero Coda).

giovedì 3 dicembre 2009

Minareti. Perché l’Occidente non deve averne paura

L’atteggiamento sbagliato di chi vuole godere tutti i benefici materiali della globalizzazione, ma non ha alcuna intenzione di affrontare i rischi che questa porta con sé

La coabitazione tra popoli culture, esigenze sociali e religioni è un fenomeno che è sempre esistito Ma oggi assume un ritmo molto più accelerato e connotati inediti

La proibizione sancita dal referendum svizzero e le posizioni della Lega riaccendono lo scontro sui temi della tolleranza e della coesistenza tra religioni diverse

di Piero Coda (la Repubblica, 03.12.2009)

L’esito del referendum svoltosi in Svizzera la scorsa domenica circa la costruzione di nuovi minareti è il risultato eclatante della superficialità culturale con cui le nostre società stanno affrontando uno dei fenomeni più ingenti e sfidanti del nostro tempo. Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi - e le analisi sociologiche e i dati statistici, insieme alla cronaca quotidiana, ce ne danno evidente documentazione - è un profondo rimescolamento delle carte per quanto concerne la relazione e la coabitazione tra i popoli, le culture, le esperienze sociali, le religioni. Un fatto che c’è sempre stato, ma che oggi assume dei connotati inediti e pervasivi, oltre che un ritmo accelerato. Il disagio nell’affrontare questa sfida, molto concreta e oltremodo impegnativa, è comprensibile. Ma non lo è l’assenza, a livello pubblico, di un approfondimento e di un dialogo serio e responsabile, capace di aiutarci ad andare al di là della reattività immediata e di leggere il significato profondo di quanto accade e ci interpella, al fine d’individuare strategie culturalmente attrezzate e operativamente praticabili. L’esito e, prima ancora, la proposizione di un referendum come quello di domenica in Svizzera denuncia in modo grave e inequivocabile quest’assenza. E c’è solo da augurarsi che provochi quello choc salutare capace d’innescare un processo ponderato di discernimento della vera questione che è in ballo.

L’esperienza di questo referendum ci dice infatti che cosa non dobbiamo e non possiamo fare, in virtù della tradizione culturale e giuridica su cui si regge la civiltà occidentale e in riferimento all’inedito che bussa alla nostra porta e che chiede di dar nuova forma - senza rinnegare assolutamente il positivo delle acquisizioni con fatica sin qui raggiunte - alla convivenza civile e all’assetto giuridico delle nostre società. Innanzi tutto, non è più possibile -- pena il ritorno a un passato che è improponibile - legiferare impedendo la legittima espressione pubblica delle diverse fedi religiose. Le quali non possono in nulla derogare dalle norme fondamentali e riconosciute della società in cui si esplicano, ma che altrettanto non possono esser relegate nella sfera del privato. È questo un guadagno irrinunciabile della civiltà occidentale, cui non è estraneo l’apporto per molti versi decisivo della fede cristiana e della cultura che ad essa s’ispira.

C’è voluto tempo e si sono combattute aspre battaglie, con chiusure e resistenze su ambedue i fronti, ma alla fine il principio secondo cui occorre dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare è diventato, per lo Stato moderno e per la Chiesa, un principio almeno formalmente inderogabile. Tanto che il Concilio Vaticano II ha emanato una dichiarazione sulla libertà civile e sociale in materia religiosa, la Dignitatis humanae. Dichiarazione per nulla scontata, sino a quel momento, nello stesso ambito cristiano, e che proprio per questo - al dire di Paolo VI - «resterà senza dubbio uno dei più grandi documenti di questo Concilio». Un’altra cosa che è non solo strategicamente sbagliata, ma culturalmente del tutto inadeguata oltre che controproducente, è contrapporre rozzamente Occidente e Islam, facendo loro vestire i panni di due civiltà inconciliabili.

Certo, le differenze non mancano e sono anche rilevanti: ma la contrapposizione escludente non favorisce mai l’evoluzione dei dati positivi presenti in un dato sistema culturale e sociale. Senza dire che l’identità sana e matura non si promuove contro quella dell’altro, chiunque egli sia, ma nella fatica di stabilire con lui il giusto rapporto. E senza sottovalutare il fatto che una presa di posizione come quella che si è espressa nel referendum sui minareti segnala un’insuperabile contraddizione: quella di chi vuol godere di tutti i benefici della globalizzazione a livello materiale, senza aprirsi al rischio ma anche al guadagno culturale che essa può produrre.

Detto questo, si può guardare con serenità e spirito costruttivo alla delicata questione di che cosa necessitino gli atteggiamenti fondanti della nostra cultura e le regole procedurali e sostanziali della nostra convivenza per farsi capaci di apparecchiare uno spazio pubblico condiviso e accogliente. Insomma, se, per me che sono cristiano, il campanile e il suono delle campane fanno casa e nutrono il sentimento della mia identità, perché non debbo riconoscere che il minareto e l’invito alla preghiera del muezzin fanno altrettanto per gli amici musulmani?

L’essenziale è che il suono della campana e l’invito del muezzin non siano assordanti e impositivi. Del resto, non sono stati pochi né brevi i periodi della storia passata né a tutt’oggi sono del tutto spariti i luoghi ove sinagoghe, chiese e moschee convivono pacificamente e arricchiscono le rispettive identità del dono prezioso che viene dall’altro.

Dobbiamo senz’altro essere realisticamente consapevoli che tutto ciò non è scontato né facile. Ma è questa la frontiera culturale che dobbiamo attraversare insieme. Aiutandoci gli uni gli altri, con apertura e insieme con rigore, a disinnescare in radice ogni forma di tentazione fondamentalista e omologatrice. Promuovendo, di concerto con coloro - e non sono pochi - che non aderiscono a nessuna tradizione religiosa, una laicità matura che si faccia spazio propizio di dialogo e incontro, nella cornice del rispetto della dignità e dei diritti/doveri inalienabili della persona.

Senza indulgere a quel falso irenismo che mettendo sullo stesso piano tutte le convinzioni, in realtà le rende indifferenti l’una verso l’altra inibendo quell’inesausta ricerca di bene, di verità e di pace che muove la coscienza e la libertà verso orizzonti sempre più ricchi e condivisibili. Riuscire a convivere così, nei Paesi europei così come in quelli islamici, non è, per chi aderisce a una fede religiosa, abdicare alla propria identità né sognare idealisticamente un’utopia, ma testimoniare con coerenza e senza sconti la propria apertura verso Dio e la propria responsabilità verso l’altro.


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