Atene
Inaugurazione dopo 30 anni. Il British Museum: vi prestiamo i pezzi mancanti se riconoscete che sono nostri
Apre il super museo dell’Acropoli
Oggi il debutto, ma i marmi del Partenone restano in Gran Bretagna
di Antonio Ferrari (Corriere della Sera, 20.06.2009)
ATENE - L’ombra sinistra dello scozzese Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, che nel 1799 fu nominato ambasciatore britannico presso il sultano di Costantinopoli, si allunga e violenta la luce che illumina le vetrate del nuovo museo dell’Acropoli, che verrà inaugurato stamane. È un’ombra sinistra perché Lord Elgin, con il permesso dell’impero ottomano, che allora occupava la Grecia, sottrasse dalla collina più celebre del mondo le statue più preziose, per inviarle a Londra. Dove si trovano ancora, esposte al British Museum.
Decenni di sforzi per ottenerne la restituzione, nei quali si impegnarono da Lord Byron all’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, sono stati vani. Ma i greci non hanno intenzione di rinunciare. Anzi, l’inaugurazione di stamane, di fronte ad alcuni potenti della terra, è diventata l’occasione per rilanciare l’operazione-recupero, con la speranza di vederla realizzata in occasione delle Olimpiadi del 2012, che si svolgeranno a Londra. Far tornare a casa i preziosi marmi, quando il mondo celebrerà l’ennesima festa dello sport, nata nell’antica Grecia, sarebbe davvero un bel gesto. Ma sul risultato è assai azzardato scommettere.
Per Atene le Olimpiadi, il Partenone, l’Ortodossia, la bandiera e i confini nazionali sono valori che non conoscono schieramenti politici né sociali. Per difenderli, l’orgoglioso Paese è pronto a tutto. Pur di cancellare, proprio con la vicenda dei marmi rimossi, quello che è stato definito un «crimine culturale». Un conto, infatti, è l’asportazione di opere d’arte nella loro interezza, come è accaduto durante tutte le guerre, le rivoluzioni, e le occupazioni. Un conto è mutilare un corpo unico delle sue parti, come è accaduto con il Partenone. Ecco perché l’inaugurazione del Museo dell’Acropoli (3 livelli; 21000 metri quadrati, di cui 14000 riservati all’esposizione), ideato dall’architetto franco-svizzero Bernard Tschumi, è diventata la rampa di lancio dell’attacco decisivo a un recupero che i greci ritengono non possibile ma doveroso.
Per ora i contatti con Londra sono gelidi. Il British Museum ha annunciato d’essere disponibile alla restituzione dei marmi, in cambio di un accordo che ne garantisca la proprietà. Come dire: noi ve li prestiamo, ma sono nostri. La risposta è stata un rifiuto secco. La Grecia avanza un nugolo di ragioni, e non soltanto perché quello compiuto da Lord Elgin viene ritenuto quasi un tollerato furto, visto che il sultano di Costantinopoli fu spinto ad accettare la richiesta dell’ambasciatore per piaggeria nei confronti di Londra; ma perché, più volte, la Gran Bretagna aveva opposto alle reiterate pressioni una sola risposta: «Nessun luogo in Grecia è adatto per difendere e proteggere dall’incuria del tempo le statue». Questa poteva essere una comprensibile giustificazione. Ma dopo aver atteso 30 anni, Atene oggi può offrire il più grande e moderno museo del pianeta, ai piedi dell’Acropoli, per offrire un confortevole, sicuro e definitivo rifugio ai suoi preziosi cimeli.
La Grecia è attraversata, in queste ore, da brividi di orgoglio nazionale, che non si avvertivano dal 2004 quando, in pochi mesi, la squadra di calcio vinse a sorpresa l’Europeo, e i giochi olimpici, dopo un’attesa durata oltre cent’anni, tornarono a casa e offrirono un’edizione che tutti gli osservatori, persino coloro che ironizzavano sulle capacità organizzative del Paese, giudicarono perfetti, spendendo giudizi ammirati. Ora la battaglia è sui marmi del Partenone, e se si fa un pensiero all’ostinazione di Atene nell’impedire che la repubblica ex-jugoslava di Macedonia possa fregiarsi del titolo di Macedonia (come il nome storico della regione greca dove nacque Alessandro Magno) si può concludere che pensare a qualche parziale compromesso è quasi impossibile.