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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
giovedì 25 aprile 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’ EUROPA!!! --- L’Ue cambi se vuole un futuro. Il progetto europeo è morto. Che cosa rischia di diventare l’Eurozona?!

martedì 14 luglio 2015

Il progetto europeo è morto

di Paul Krugmaan (la Repubblica, 14.07.2015)

Supponiamo che consideriate Tsipras uno stupido incompetente. Supponiamo che vi piaccia con tutto il cuore vedere Syriza lasciare il governo. Supponiamo che accogliate la prospettiva di cacciare questi indisponenti greci fuori dall’euro. Anche se tutto ciò fosse vero, l’elenco di richieste dell’Eurogruppo resterebbe una follia. L’hashtag di tendenza #ThisIsACoup ha assolutamente ragione. Qui si va oltre l’inflessibilità, si va nella pura ripicca, nell’annientamento assoluto della sovranità nazionale, senza nessuna speranza di sollievo. Plausibilmente, si tratta di un’offerta formulata in modo tale che la Grecia non possa accettarla; ma, anche così, si tratta di un grottesco tradimento di tutto ciò che si supponeva dovesse affermare e sostenere il progetto europeo.

C’è nulla che possa far arretrare l’Europa rispetto all’orlo del baratro? Si dice che Mario Draghi stia cercando di ricondurre un po’ alla ragione, che Hollande stia finalmente dando prova di un po’ di quell’opposizione al gioco delle Moralità che l’economia tedesca ama fare e che in passato egli ha vistosamente mancato di impedire. Ma molto danno è già stato arrecato. Dopo tutto ciò, chi mai si fiderà più delle buone intenzioni della Germania?

Da un certo punto di vista, l’economia è diventata qualcosa di secondario. Cerchiamo di essere chiari una volta per tutte, però: nelle ultime due settimane abbiamo imparato che far parte della zona euro significa che se sgarri i creditori possono annientare la tua economia. Tutto ciò non ha attinenza alcuna con l’implicita economia dell’austerità. Più che mai adesso è vero che imporre una rigida austerità senza un alleggerimento del debito significa scegliere una politica predestinata al peggio, a prescindere da quanto il paese sia disposto ad accettare tormenti. E ciò, a sua volta, significa che perfino una capitolazione assoluta della Grecia sarebbe un punto morto.

La Grecia riuscirà a organizzare con successo un’uscita dall’euro? La Germania cercherà di ostacolare una ripresa? (Mi dispiace, ma questo è il tenore delle domande che dobbiamo porci adesso). Al progetto europeo - un progetto che ho sempre esaltato e sostenuto - è stato appena inferto un colpo terribile, forse mortale. E, a prescindere da quello che pensate di Syriza o della Grecia, a infliggerlo non sono stati i greci.

-  © The New York Times Traduzione di Anna Bissanti


L’Ue cambi se vuole un futuro

di Marta Dassù (La Stampa, 14.07.2015)

Ha perso la Grecia, ma ha perso anche la Germania. E abbiamo perso, come Europa, credibilità e tempo: sei mesi buttati via in un tira e molla inconcludente fra debitori strafottenti e creditori supponenti. Mentre il prezzo del salvataggio aumentava. Per i greci e per gli europei. Alexis Tsipras ha calcolato - sbagliando - che il resto d’Europa avrebbe accettato il suo «azzardo morale» a qualsiasi costo, pur di salvare l’euro: in verità, è un costo molto alto. Wolfgang Schäuble ha preteso - sbagliando - di ottenere con quindici anni di ritardo quello che non era riuscito ad ottenere agli esordi dell’euro: una moneta unica riservata solo ai più forti e ai virtuosi. Una resa dei conti che gli ha fatto perdere l’appoggio di Parigi, non così forte e virtuosa da essere tranquilla sul futuro.

La tenuta pragmatica di Mario Draghi e l’incrinatura fra Germania e Francia hanno in qualche modo facilitato l’accordo della 17a ora. A dimostrazione che il tandem fra Berlino e Parigi ha senso - per l’Europa nel suo insieme, Roma inclusa - solo quando la Francia non rimane totalmente schiacciata da una Germania troppo spesso sicura di essere nel «giusto». E ancorata, come in passato, a una visione morale dell’economia in cui è una stessa parola - schuld - a definire sia debito che colpa.

Fra l’arroganza del debole e quella del forte, le istituzioni europee hanno funzionato da argine. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha osservato che l’estenuante ricerca di un compromesso incarna proprio il «metodo europeo»: interpretazione al ribasso un po’ sconfortante, riuscita solo in extremis ad evitare lo scenario peggiore. Il principio che le decisioni monetarie siano anche politiche, non solo tecniche, ha alla fine prevalso: vedremo se reggerà alla prova dei fatti, siamo solo agli inizi.

Letta dall’interno del Vecchio Continente, la lunga battaglia di Grecia ha confermato le tesi di chi ritiene che l’unione monetaria non potrà sopravvivere a lungo senza un’Unione fiscale e senza un vero e proprio bilancio dell’Ue. Peccato che nessuno abbia chiaro come potere costruire consenso attorno a passi in avanti verso l’Unione politica - in parte contemplati nel «Rapporto» dei presidenti, già sul tavolo del Consiglio europeo. Che da una crisi di fiducia del genere debba nascere lo stimolo verso un’Unione federale può essere una conclusione razionale; ma non è certo un riflesso istintivo per cittadini europei che mancano di punti di riferimento e che in numeri crescenti (basta leggere i sondaggi di opinione) non riescono più a cogliere il valore aggiunto dell’Ue. Mentre le forze politiche a vario titolo euro-scettiche, a destra e a sinistra, alzano la voce nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento di Strasburgo.

La sfida è semplice da capire ma non lo è da risolvere: per avere un futuro, l’Ue deve cambiare (e abbastanza rapidamente); ma per potere cambiare, deve anzitutto recuperare un appoggio democratico che ha ormai perso. La lezione greca - che in realtà si può leggere come una dura e surreale lezione sulla crisi europea - mi pare questa, prima di altre.

Vista dall’esterno, la vicenda greca è stata in parte una drammatica farsa; in parte è diventata oggetto di competizione geopolitica fra i nostri alleati - gli Stati Uniti - e la Russia. Con un po’ di Cina in aggiunta. In una logica geopolitica, salvare la Grecia - Paese Nato e cerniera sensibile con l’Est, un Mediterraneo in fiamme e Balcani in crisi di ritorno - era indispensabile. Specie dopo la semi-perdita della Turchia. Se ciò fosse stato chiaro fin dall’inizio, avremmo forse evitato qualche telefonata di Barack Obama, qualche ammiccamento russo e qualche nuova dimostrazione della fragilità dell’Ue come attore internazionale. La lezione greca, su questo versante, suona così: una clamorosa «distrazione» degli europei dai problemi esterni che premono alle porte di casa, a Est come a Sud. E che da problemi esterni stanno diventando interni, sfruttando proprio la debolezza delle economie periferiche del Vecchio Continente.

In un libro di qualche tempo fa sulla globalizzazione e i suoi paradossi, Dani Rodrik parlava di un «trilemma politico» alla base dell’integrazione economica internazionale: è ormai molto difficile, per le ragioni spiegate dall’economista di Harvard, tenere insieme democrazia, sovranità nazionale e apertura economica. Tenere insieme tutti e tre i poli del «trilemma». La lunga crisi greca ne è una conferma, in salsa europea: con l’Unione economica e monetaria, la sovranità nazionale è per definizione limitata («perduta» per gli euroscettici, «condivisa» per i filo-europei) e si apre una nuova questione democratica. E’ il momento di discutere apertamente questo problema essenziale; e di fare - su questo, non altro - la battaglia vera per il domani.


Se l’Eurozona dimentica il pensiero dei fondatori

di Vittorio Da Rold (Il Sole-24 Ore, 14.07.15)

Che cosa rischia di diventare l’Eurozona se passa l’idea di un Paese debitore che deve fare i compiti a casa pena l’esclusione? Un nucleo economico e monetario più omogeneo e solido o una zona dove i Paesi creditori hanno un potere maggiore dei Paesi debitori? E cosa rischia di diventare questa Eurozona dove chi ha debiti diventa sempre più debole e chi vanta crediti sempre più forte?

I padri fondatori avevano pensato l’Eurogruppo come una zona dove si produceva ricchezza che sarebbe stata distribuita ai partecipanti al club monetario. Invece accade che chi è forte e produce più dei partner raccoglie i benefici di un creditore, mentre chi è svantaggiato e si deve indebitare deve a sua volta pagare e si indebolisce sempre di più.

Una zona comune che non salva i debitori interni ma li tratta come Paesi stranieri dove la troika ha diritto di pieno accesso ai ministeri e con il diritto di veto sulla legislazione oggetto delle trattative, sono intrusioni nella sovranità nazionale che difficilmente sarebbero accettate anche da chi è fuori da un’unione monetaria.

È come se negli Usa la Fed giudicasse di non intervenire a favore dell’Arkansas, uno stato povero che ha dato un presidente e poco più agli altri 49 stati della confederazione, chiedendo di diventare una nuova Silicon Valley californiana, altrimenti sarebbe espulso dal sistema del dollaro.

Ogni Stato dell’Eurozona ha le sue caratteristiche e cercare di trasformare la Grecia in un Land tedesco è un’operazione impossibile economicamente e culturalmente. Ogni Stato deve rispettare le regole: e la Grecia ha molte colpe da farsi perdonare, dai conti truccati alle spese fuori controllo.

Detto questo, escludere il Paese che più ne necessita dal Quantitative easing appare poco comprensibile. Punire chi ha sbagliato va bene, ma in un’unione monetaria si aiuta il partner a migliorare, non lo si mette in un angolo. Altrimenti il partito della dracma torna al potere e riduce l’euro a un’unione di cambi fissi, dove ogni membro può decidere di uscire a suo piacimento.


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