L’Ue ha cancellato le sue radici spirituali. Ma se cade la Grecia, crolla l’intero edificio europeo
di Mauro Maldonato
Professore universitario e autore di "Quando decidiamo" *
Comunque vada a finire, il dramma greco è solo un sintomo di un male profondo che attanaglia l’Europa. Il rischio di bancarotta non riguarda solo la nazione greca, ma l’intero edificio europeo: una mastodontica struttura, ininfluente sugli equilibri geopolitici planetari, nel contrasto al terrore, preoccupata solo di immunizzarsi contro epocali flussi migratori e di coltivare i propri ottusi egoismi.
Un panottico più che una casa comune. Ed è davvero di stupefacente interesse l’inadeguatezza delle nostre classi dirigenti di fronte agli sconvolgimenti che avvengono minuto per minuto, all’enorme movimento di faglia della nostra civiltà. Una fitta nebbia e una tremenda incertezza. Come se lo sfinimento febbrile delle ’leggi’ della storia avesse spinto tutti verso una sorta di catatonia intellettuale.
A pensarci bene, non è nemmeno sorprendente. All’indomani del crollo del vecchio ordine bipolare, intere generazioni di intellettuali e politici occidentali sono apparse confuse, incapaci di formulare una prognosi credibile sull’avvenire della politica europea. Da un lato è prevalsa una formidabile strategia di rimozione; dall’altro, è emersa una fervente quanto acritica adesione all’unico modello rimasto in piedi: quello liberaldemocratico. Neppure l’ombra di un’analisi della catastrofe.
Non un tentativo di comprendere le ragioni, di ripensare valori, regole e istituzioni. La liberaldemocrazia si è affermata, così, come l’unico paradigma sopravvissuto ai totalitarismi di destra e di sinistra. Come terza utopia novecentesca, non solo ha preso il posto delle ideologie precedenti, ma si è estesa con ansia omologatrice oltre i tradizionali confini d’Europa, senza considerare specificità geografiche, tradizioni storiche, culture e identità nazionali.
Per tale obiettivo il progetto liberaldemocratico si è dotato di un’intelaiatura istituzionale e di sistemi raffinati e apparentemente neutrali.
L’irrazionalità dell’eurozona e il dilemma euro-moneta nazionale sono solo aspetti di superficie di un problema più profondo. Quello, cioè, di una costruzione nata da una innaturale uniformazione, non da una unificazione spontanea e volontaria. Del resto, a cosa poteva portare l’europeismo ideologico con i suoi feticci della coesione, dell’armonizzazione e della sussidiarietà forzata?
Non era difficile immaginare che le conseguenze sarebbero state, da un lato, una valanga di direttive burocratiche su ogni minuzia; e, dall’altro, un vuoto tremendo, proprio là dove c’è bisogno di decisioni cruciali: esteri, difesa, migrazioni. Davanti a noi vi sono domande inaggirabili. Innanzitutto, che legittimità hanno le istituzioni europee? Cosa vuol dire, oggi, "sovranità popolare"? Essere sovrani di se stessi? E chi è sovrano, e su chi?
Eppure, gli effetti più preoccupanti di tutto questo non sono solo l’infiacchimento della vitalità della civiltà europea, della sua dinamica pluralità, della fiducia e della speranza in una comunità di destino. Non è nemmeno aver generato una patetica cultura della resa e del piagnisteo. L’aspetto più inquietante è l’aver messo ai margini la potenza delle sue radici spirituali (greche, bibliche, rinascimentali, illuministe) e, infine, aver provocato odio di sé. Hanno origine qui le ombre sinistre che si allungano sul futuro dell’Europa.