Germania
L’essenza politica della colpa
di Giuseppe Bedeschi (Il Sole Domenica, 07.09.2014)
Karl Jaspers, uno dei più eminenti pensatori tedeschi del Novecento, fu duramente colpito quando il regime hitleriano procedette alla nazificazione delle università. Egli, "ariano", aveva sposato una donna ebrea, e, avendo rifiutato di divorziare, nel 1937 gli venne tolta la cattedra all’università di Heidelberg; nel 1938 gli fu imposto il divieto di pubblicare. Il filosofo si ritirò così fra le quattro mura della sua casa, dedicandosi interamente agli studi. La sua fu per parecchi anni una vita catacombale, interrotta da rare visite di amici. I coniugi Jaspers si salvarono in extremis: la loro deportazione era stata fissata per il 14 aprile 1945, ma il 30 marzo le truppe americane entrarono a Heidelberg.
Ricavo queste notizie dal bellissimo libro di Elena Alessiato, Karl Jaspers e la politica. Dalle origini alla questione della colpa (edito da Orthotes). Il terzo capitolo di questo libro è dedicato, appunto, alla Schuldfrage: un tema che suscitò, nel secondo dopoguerra, discussioni appassionate.
Jaspers tenne il suo primo corso di lezioni a Heidelberg, dopo la caduta del regime nazista, nel semestre invernale 1945-46, e lo dedicò alla «situazione spirituale della Germania». L’uditorio era numerosissimo (c’erano anche molti ex-soldati) e attentissimo, ma non manifestava consenso. Anzi, si percepiva, durante le lezioni, una tensione elevata (come Jaspers scrisse ad Hannah Arendt). Questa tensione era dovuta alle tesi che il filosofo veniva esponendo, e che sarebbero poi confluite nel saggio che egli pubblicò nel 1946, Die Schuldfrage.
La colpa che macchiava il popolo tedesco, secondo Jaspers, era soprattutto una colpa politica (che non doveva essere confusa con la colpa giuridica, o con quella morale, o con quella metafisica). «Quando i nostri amici ebrei - egli diceva - furono deportati, noi non siamo scesi nelle strade, non abbiamo gridato fino a farci annientare. Abbiamo preferito rimanere in vita, con la debole, anche se vera giustificazione, che la nostra morte non sarebbe servita a niente. Che noi viviamo, è la nostra colpa».
Le affermazioni del filosofo suscitarono grande scalpore, e vennero interpretate come una criminalizzazione del popolo tedesco: una criminalizzazione indiscriminata, che non teneva conto del fatto che non tutti i tedeschi erano stati nazisti, e che migliaia e migliaia di essi erano stati assassinati o reclusi nei campi di concentramento. Senza contare che alle generazioni più giovani - che nel 1945 avevano vent’anni o poco più - non poteva essere imputato alcunché; e a queste generazioni soprattutto era affidato il futuro della Germania.
Le perplessità che le posizioni di Jaspers suscitarono nel suo paese, furono manifestate anche altrove. In Italia, per esempio, il più illustre esponente della cultura antifascista, Benedetto Croce, liquidò la Schuldfrage in modo sprezzante. «Mi pare un po’ stupido credere - scrisse nel 1947, in occasione della edizione italiana del saggio di Jaspers - che un popolo vinto possa avere mai altro desiderio o coltivare altro dovere che di rimettersi in piedi e fronteggiare di nuovo gli altri popoli». Del resto, aggiungeva il vecchio filosofo, anche gli altri popoli avevano commesso le loro «colpe», se così si voleva chiamarle, perché essi erano «società di poveri uomini», come quello tedesco. «Conclusione: non stare a seccare, con inutili e arroganti rimbrotti e consigli moralistici, la Germania che soffre, perché seccare il prossimo, seccarlo a questo modo, è anch’essa una colpa, e delle meno perdonabili, verso l’umanità».
Questo giudizio di Croce appariva però troppo tranchant. Del resto egli stesso, in un bellissimo saggio scritto nel 1943, Il dissidio spirituale della Germania con l’Europa, aveva ravvisato nel nazismo «una crisi terribile che covava nella secolare storia tedesca», il «portato della storia di tutto un popolo». Il che significava che la nazione tedesca doveva compiere un profondo riesame di tutto il proprio passato. E questo fu fatto da illustri storici: dall’anziano, sommo maestro, F. Meinecke (che scrisse nel 1946 La catastrofe della Germania, in cui metteva sotto accusa la cultura politica nazionalista e militarista tedesca, che aveva reso possibile l’ascesa al potere di Hitler), a F. Fischer, a K. Bracher («è l’eredità della coscienza nazionale tedesca nel suo complesso che deve essere messa in questione, se si vuole comprendere come si è arrivati alla catastrofe»); e da illustri scrittori, come H. Boell e G. Grass, per fare solo alcuni nomi.