l’Unità, 02.07.2014
Beethoven preso a calci
«Abbracciatevi, moltitudini. Questo bacio vada al mondo intero, fratelli». Quando, nel 1985, si decise che la Comunità europea doveva avere un inno e che l’inno doveva essere il movimento finale della Nona Sinfonia di Beethoven, noto ai più come l’Inno alla Gioia, si decise pure che lo si sarebbe eseguito senza parole. La decisione fu presa per non far torto a nessuno e anche perché - diciamolo - sul fatto che l’originale sia in tedesco qualcuno avrebbe potuto storcere il naso. Così le parole dell’ode «An die Freude» scritte da Friedrich Schiller nel 1785 e messe in musica da Ludwig van Beethoven, già sordo e malato, nel 1823 nelle cerimonie ufficiali dell’Unione europea non vengono cantate.
Peccato, perché sono molto belle, esprimono l’anelito del Poeta alla fratellanza universale e furono scritte sotto la suggestione delle idee dell’illuminismo, quando tra gli artisti e i filosofi dell’Europa era diffusa l’idea che il progresso dell’umanità avrebbe portato pace e benessere in questa valle di lacrime. Magari.
Schiller è morto nel 1805 e Beethoven nel 1827 e così il poeta e il compositore si sono risparmiati parecchie amarissime delusioni. Altro che lo sgarbo dei seguaci di quell’inglese con il cognome francese che con la corte dei suoi a Strasburgo ha mostrato il culo, più che all’Europa, alla musica e alla buona educazione. Chiediamo scusa per loro. Sono trascorsi due secoli ma per gli imbecilli gli anni non passano.