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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
giovedì 25 aprile 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". --- L’identità? Ecco cosa scriveva Freud nel 1915 (di Jérôme Ferrari - testo per il "Premio Strega europeo")

martedì 1 luglio 2014


Premio Strega europeo

L’identità? Un’illusione

Stasera ciascuno dei cinque candidati leggerà un testo. Ecco quello di Ferrari

di Jérôme Ferrari (l’Unità, 01.07.2014)

ANCHE SENZA PARLARE DI EUROPA, L’IDENTITÀ FRANCESE MI È SEMPRE SEMBRATA UN’ASTRAZIONE. Nel 2009 un ministro di cui preferisco tacere il nome ha avuto l’idea geniale di lanciare un dibattito sull’identità nazionale, rendendosi così colpevole di un doppio crimine: contro l’onore e contro l’intelligenza.

Perché l’identità non è una cosa, non si compone di un certo numero di elementi ben determinati di cui basterebbe stilare la lista per rilasciare certificati di fratellanza o, più probabilmente, giustificare sentenze di ostracismo.

L’identità è invisibile. Solo le differenze saltano agli occhi. Basta spostarsi da Tolosa a Lille o, come ho fatto spesso, da Parigi ad Ajaccio per rendersene immediatamente conto. Quindi cosa dovrebbe essere un’identità europea? La prima volta che sono andato in Spagna mi sono sentito spaesato come se fossi atterrato su un pianeta affascinante e sconosciuto.

Da allora, però, ho viaggiato molto. E ho appena passato due anni ad Abu Dhabi, una grande città nuova di zecca appena sorta dal deserto come un enorme organismo in piena crescita, una metropoli che prefigura probabilmente il mondo di domani, con le macchine di lusso e la miseria dei lavoratori immigrati, con grattacieli e centri commerciali, con l’orizzonte irto di gru e di pannelli pubblicitari.

È strano, da lontano lo sguardo si trasforma: le differenze si attenuano, e quello che non riuscivamo a vedere da vicino ci appare improvvisamente in piena luce. Ogni volta che torno in Europa, poco importa se a Würzburg, Madrid, Parigi o Torino, ho la sensazione di tornare a casa. Prendere un caffè all’aperto, seduto al tavolino di un bar, diventa una delizia incomparabile. Ogni minima pietra antica mi fa quasi venire voglia di piangere, e in questo senso Roma mette a durissima prova le mie ghiandole lacrimali.

A proposito dei privilegi di cui gode l’uomo europeo ho trovato un testo che descrive perfettamente quello che sto cercando di esprimere. Mi si permetta di citarlo:

«(...) Colui che non era trattenuto stabilmente in un luogo determinato dalle necessità della vita, poteva costituirsi grazie ai vantaggi e alle attrattive dei paesi civili una nuova patria più ampia, dove poter circolare indisturbato e senza suscitare sospetti. Poteva in tal modo bearsi del mare azzurro e di quello grigio, delle bellezze dei monti nevosi e di quelle delle verdi praterie, dell’incanto della foresta nordica e dello splendore della vegetazione meridionale, dell’atmosfera dei paesaggi legati ai grandi ricordi storici e della quiete della natura inviolata. Questa nuova patria era per lui anche un museo, pieno di tutti i tesori che gli artefici dell’umana civiltà hanno creato e tramandato nei secoli».

E, poco dopo: «Fra i grandi pensatori, poeti e artisti di tutte le nazioni, era andato scegliendo coloro ai quali pensava di dovere il meglio di ciò che gli era servito per gustare e capire la vita. (...) Nessuno di questi grandi gli era apparso straniero solo perché aveva parlato in una lingua diversa dalla sua, (...) e mai aveva creduto di doversi sentire per questo colpevole di tradimento verso la nazione o verso l’amata lingua madre».

Freud scriveva queste cose nel 1915. L’Europa che descrive era devastata dalla guerra, il museo si era trasformato in un gigantesco mattatoio, l’umanità civilizzata inventava nuove raffinate tecniche di ferocia e l’ampiezza della disillusione era tale che oggi non siamo in grado di farcene un’idea.

Noi forse non saremo al sicuro da disillusioni analoghe, ma finora, come giustamente ricordava Javier Cercas in un discorso del 2013, grazie all’unità europea siamo la prima generazione che non ha mai conosciuto la guerra. Non è cosa da poco. Anzi, è un fatto straordinario.

Ancora una volta, per convincersene basta spingere lo sguardo un po’ più in là, neanche troppo. Per esempio verso est, nei Balcani, dove vivono persone a cui non è stato concesso di dimenticare che la Storia, per citare un’altra volta Freud, «è più che altro una successione di omicidi» commessi da assassini che vivono accanto a noi, che vivono dentro di noi.

Ricordo ancora lo stupore incredulo che ho provato quando ho visto le prime foto dei conflitti in Iugoslavia. La guerra evadeva dagli archivi, diventava reale, emi rendo conto di quanto sia stato fortunato a potermi concedere il lusso di stupirmi. Forse questo ci permette di capire perché l’Unione europea, che in Francia e probabilmente in altri paesi suscita solo una cupa indifferenza venata di disprezzo, sia un oggetto di desiderio per le nazioni che vogliono entrare a farne parte.

È così: il benessere, quando diventa abituale, smette di essere percepito. Oltre alla pace, e grazie alla pace, usufruiamo di una libertà di spostamento che Freud non avrebbe neanche potuto concepire e che, mentre tanta gente vive all’interno delle proprie frontiere come dietro mura di una prigione, a noi sembra normale. Ma questo è l’ordine delle cose, non c’è motivo di sentirsi in colpa, come non c’è ragione di lasciarsi andare a un beato ottimismo.

L’Europa della cultura, quella descritta da Freud, l’unica che importi davvero, quella che ci permette di gioire non della nostra irreperibile identità, ma delle nostre differenze sullo sfondo di una storia comune, forse non sopravvivrà allo tsunami di uniformazione che si sta abbattendo sul mondo. Le differenze sono buone e apprezzabili in quanto tali, ed estremamente interessanti. Esistono ancora. Per il momento non siamo diventati in tutto e per tutto clienti intercambiabili di un gigantesco supermercato, ma temo che sia solo questione di tempo.

Preferisco attenermi all’Europa di Freud con il mare azzurro e quello grigio, i tesori, la coesistenza di uomini che parlano lingue diverse, la grande patria e le piccole patrie, ma non posso dimenticare che il quadro descritto da Freud è soprattutto quello di una dolce e meravigliosa illusione.


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