Gli scritti di Simone Weil oltre la tragedia del conflitto mondiale
L’onore perduto d’Europa
di Arturo Colombo (Corriere della Sera, 04.12.2013)
C hi conosce Simone Weil, classe 1909, sa che fra il novembre del 1942 e l’aprile del ‘43 si trasferisce dagli Stati Uniti a Londra: e in quel così breve periodo, che prelude alla sua fine repentina (va negli Stati Uniti e muore, infatti, nell’agosto del ‘43), lascia una serie straordinaria di scritti politici, pubblicati adesso nel volume Una costituente per l’Europa , a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito (Castelvecchi, pp. 380, € 22). Hanno ragione i curatori a chiarire subito che la Weil, «militante di sinistra, operaia in fabbrica, esule e resistente delusa», è stata in grado con questi «scritti londinesi» di dare la misura della sua capacità, quasi incredibile (anche per l’età così giovane), di lasciarci una serie sorprendente di riflessioni sulla politica, la religione, la filosofia.
Il suo desiderio più vivo era di riuscire a combattere, anche con le armi, contro Hitler, il nazismo e ogni forma di potere totalitario. Ma non poteva farlo per le precarie condizioni di salute; e così il contributo più significativo della Weil è affidato a queste pagine, che non offrono solo una diagnosi, lucida e impietosa, della realtà contemporanea, ma diventano un’occasione preziosa per comprendere l’esigenza di quella «costituente per l’Europa», che neppure oggi noi siamo stati capaci di realizzare. Con fermo realismo - a proposito del saggio intitolato Riflessioni sulla rivolta - la Weil non esita a sottolineare che «l’Europa non ha perso solo la libertà, ma anche l’onore e la fede».
Di conseguenza, non basta «smantellare l’organizzazione del nemico»: quello che per la Weil costituisce «una necessità urgente, vitale» è impegnarsi a dare vita a «un certo tipo di unità europea», che sia in grado di «coinvolgere», insieme ai francesi, anche gli altri Stati del nostro continente, dagli spagnoli agli italiani, e «persino quei tedeschi la cui coscienza è stata sinceramente scossa dall’hitlerismo». Il rischio, anzi «l’orrore», è continuare a vivere nell’oppressione, questa specie di malattia mortale, che tutti può investire e travolgere, mentre occorre prendere atto e convincerci - insiste la Weil - che «tutti gli esseri umani sono assolutamente identici» e quindi tutti hanno gli stessi obblighi verso gli identici «bisogni terrestri dell’anima e del corpo», compreso il bisogno «di obbedienza consentita e di libertà».
Possono esserci proposte anche discutibili in queste pagine (come la soppressione dei partiti politici, considerati pericolose macchine per fabbricare consenso); ma la lucidità con cui la giovane Simone Weil osserva, giudica e condanna quei drammatici anni Trenta e Quaranta del secolo scorso, nasconde una tale carica liberal, da rendere le sue osservazioni un patrimonio indispensabile per chi, ancor oggi, non rinuncia a battersi per contribuire a rendere il mondo meno angusto e meno ingiusto.