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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
giovedì 25 aprile 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". --- La paura degli altri, il localismo esasperato sono sintomi di vere patologie (di Luigi Zoja)

giovedì 6 giugno 2013


-  Se l’Europa unita diventa una terapia psicoanalitica

-  La paura degli altri, il localismo esasperato sono sintomi di vere patologie trattate anche da Jung

di Luigi Zoja (l’Unità, 06.06.2013)

L’IDEA DI EUROPA HA RADICI CHE RISALGONO SINO A ERODOTO E ATTRAVERSANO LE OPERE DI DANTE E GOETHE, DUNQUE NON SARANNO CERTO VICENDE CONTINGENTI COME LA CRISI DELL’EURO A METTERLA IN DISCUSSIONE. La storia di quest’idea ha a che fare sin dalle sue origini con una nozione fondamentale, il pluralismo. Narrare l’Europa significa descrivere il tentativo di condivisione, e quindi di organizzazione, di gestione spesso conflittuale di uno spazio comune da parte di soggetti diversi, che si esprimono con voci diverse e provano desideri diversi.

Sotto questo profilo la storia europea si riflette bene nella vicenda assai più breve di una disciplina, la psicanalisi, sorta proprio nel cuore della Mitteleuropa durante il secolo lungo, quello che si è chiuso con la grande guerra e con l’esplosione dei nazionalismi novecenteschi. Grazie a Carl Gustav Jung, infatti, si è compreso che ciascuno di noi è animato da una molteplicità di voci: Jung fece luce sulla nostra natura intimamente plurale, superando il monoteismo materialista della sessualità d’impostazione freudiana.

Il pluralismo è dunque, ad un tempo, un concetto politico e psicologico: al pluralismo della nostra psiche corrisponde, o potrebbe corrispondere, uno spazio politico, quello europeo, intimamente polifonico e politeista.

Nella mia personale esperienza di vita, ho potuto apprendere a fondo il valore di un autentico pluralismo vivendo e lavorando come psicanalista nel paese federalista per eccellenza, la Svizzera. Negli anni di Zurigo ho capito come per gli svizzeri l’esperienza stessa della cittadinanza rechi con sé un’idea di appartenenza molteplice.

Qualcosa di analogo, in fondo, accade anche per il concetto di cittadinanza negli Stati Uniti. Ma in molti altri paesi europei le cose vanno diversamente, perché il feticcio delle identità nazionali cresciuto nel secolo scorso gioca ancora un ruolo di primo piano.

È il caso di noi italiani, che siamo stati tra i più convinti europeisti solo finché ci è convenuto dal punto di vista economico, mentre oggi, di fronte alla complessità della globalizzazione e al continuo superamento dei confini che essa impone, ci spaventiamo.

E così, di fronte ad un’Unione Europea che è una sorta di sperimentazione su scala ridotta e controllata della globalizzazione, non rispondiamo promuovendo un pluralismo di stampo federalista. Al contrario, reagiamo provando una gran paura, che ci fa chiudere le porte e ripiegare sui localismi e sugli interessi privati.

Ebbene, questa chiusura, magari in nome della difesa della sovranità nazionale dalle misure di politica economica imposte dall’esterno, costituisce un problema anche dal punto di vista psicologico: rifiutare di sentirsi pienamente europei corrisponde, sul piano politico, al rifiuto di accettare che anche ciascuno di noi è molteplice, pieno di desideri che, come scriveva Platone, lo tirano in direzioni contrarie.

L’intuizione junghiana è che il sintomo nevrotico deriva proprio da una riduzione della nostra complessità. Ciascuno di noi, ad esempio, è naturalmente androgino: ci pensano poi la cultura e l’educazione a incanalare e arginare le nostre pulsioni, portando i maschi a esprimere più aggressività rispetto alle donne, un dato che è ancora vero per l’Italia di oggi e che il femminismo con tutti i suoi sforzi contro le differenze di genere non è riuscito a modificare. La sofferenza e la depressione si generano così, sono un sintomo di parzialità, di riduzione della nostra natura.

Il rifiuto della pluralità dentro e fuori di noi, prodotto in Italia e altrove dalla paura di un mondo complesso, ci chiude a un rapporto autentico e appagante con gli altri uomini e donne che attraversano la nostra vita.

Se la morte di Dio annunciata da Nietzsche fece risuonare lo spirito di fine ‘800, oggi è giusto decretare anche la fine di un altro comandamento biblico: l’amore del prossimo. Il prossimo è scomparso, frammentato dalle tecnologie di comunicazione e allontanato come una minaccia.

In questo scenario, i cittadini europei immemori della loro pluralità originaria si rendono sempre più disponibili a seguire le sirene dei populismi, che fanno leva sulla chiusura e sulla riduzione della complessità. Ma anche il populismo è legato a una patologia psichica dell’Europa: la paranoia, la follia lucida che ha pervaso il ‘900 e che, semplificando all’eccesso, oggi spinge a dar tutte le colpe agli altri, a inesistenti complotti di Berlino o di Bruxelles. Un’Europa politicamente più unita potrebbe forse costituirne la terapia, ma oggi ci appare troppo conservatrice e basata sul primato dell’economia.


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