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GELBISON, GIBSON E LA CHIESA CATTOLICA. DUE PAROLE, UN ’RIVELATIVO’ SEGNO DEI TEMPI. UNA ’MEMORIA’ DEL 2004 - di Federico La Sala

Dedicata al ’monaco florense’, Emiliano Morrone, in viaggio...
sabato 24 giugno 2006
"Il grande Teatro di Oklahoma vi chiama! Vi chiama solamente oggi, per una volta sola! Chi perde questa occasione la perde per sempre! Chi pensa al proprio avvenire, è dei nostri! Tutti sono i benvenuti! Chi vuol divenire artista, si presenti! Noi siamo il teatro che serve a ciascuno, ognuno al proprio posto! Diamo senz’altro il benvenuto, a chi si decide di seguirci! Ma affrettatevi, per poter essere assunti prima di mezzanotte! A mezzanotte tutto verrà chiuso e non sarà più riaperto! (...)

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> GELBISON, GIBSON ... E LA CHIESA CATTOLICA. ---- iconografia e religione. Quando la Madonna divenne l’icona del potere di Bisanzio (di Michele Dolz)

mercoledì 30 giugno 2010

iconografia e religione

Quando la Madonna divenne l’icona del potere di Bisanzio

Un saggio della storica Pentcheva studia l’uso «politico» che delle immagini sacre venne fatto lungo i secoli dagli imperatori e dalla Chiesa d’Oriente

DI MICHELE DOLZ (Avvenire, 30.06.2010)

« L a Vergine è più amata e venerata qui che in ogni altro luogo del mondo. Si dice infatti e si crede che Costantinopoli sia la città personale della Madre di Dio». Così scriveva un pellegrino latino dopo la sua visita a Costantinopoli verso la fine dell’XI secolo. E tale doveva apparire il potentissimo culto che la città imperiale e gli imperatori per primi tributavano alla Madonna. Anzi, il nome stesso di Madonna, mia Signora, proveniente dall’amor cortese, ha poco a che fare con gli appellativi bizantini che cercavano di mettere in risalto il potere di protezione: Theotokos (Colei che ha partorito Dio), Meter Theou (Madre di Dio), Panagia ( Tutta Santa). Tradizionalmente gli studi attribuiscono la nascita di un culto mariano patrocinato dall’impero a la augusta Pulcheria (414-453). Ora uno studio ben documentato di Bissera V. Pentcheva - Icone e potere. La Madre di Dio a Bisanzio , ( Jaca Book, 338 pagine illustrate, 46 euro) -, suggerisce che i veri promotori siano stati gli imperatori Leone I (414-453) e Verina, forse guidati dal desiderio di emulare Roma. Edificarono il monastero delle Blancherne, fuori porta, allo scopo di ospitare la reliquia della tunica di Maria. E ad essa affidarono le sorti dell’impero.

Gli imperatori vi andavano a pregare prima d’intraprendere le campagne militari. Ogni venerdì si celebrava un ufficio mariano seguito da una processione, ed era convinzione popolare che tali cerimonie suscitassero la protezione di Maria. A corroborare il pensiero si istituì una festa annuale per ringraziare la Theotokos delle vittorie sui nemici. Era il rituale chiamato Akathistos, dal nome del famoso inno che vi si cantava. Le icone vennero introdotte gradualmente in tale contesto, sostituendo di fatto la reliquia.

Nel corso dell’XI secolo, una nuova icona si rese più popolare: la Hodegitria ovvero Colei che guida. Essa era venerata in un altro monastero chiamato Hodegon e veniva pure portata in processioni settimanali. Non è difficile capire come simili immagini divennero miracolose esse stesse.

Giovanni II Comneno (1118-1143) edificò un nuovo mausoleo imperiale presso il monastero del Cristo Pantokrator (= che governa ogni cosa) e ne integrò il culto in quello precedente: ogni venerdì la processione si fermava al Pantokrator. A Maria si affidava allora la protezione della dinastia.

I generali Foca e Zimisce, usurpatori del trono, avevano in precedenza organizzato un vocabolario visivo che esprimesse il concetto romano di Vittoria e ne trovarono una sostituzione nella ’potente’ Vergine. Fu Zimisce a ordinare la prima processione trionfale con l’icona di Maria come punto focale.

Il libro della Pentcheva costituisce un contributo molto importante sull’argomento del potere delle immagini nella Bisanzio pre e post iconoclasta. Fino ad ora ci si affidava agli accenni di Freedberg e Belting, pubblicati vent’anni fa e necessariamente limitati in opere di carattere generale. La presente focalizzazione permette l’ingrandimento sufficiente per poter discerne che il culto delle icone come sostituzione delle reliquie si è sviluppato nel periodo posteriore all’iconoclasmo. Si capisce anche come Grabar, oltre a sostenere la teoria di Kondakov sul rapporto tra nome dell’icona e schema visivo, individuò l’esistenza di nomi qualitativi e poetici derivati dall’innologia e riferiti ai poteri della Madre di Dio.

L’autrice analizza in che modo questi nomi definiscono la funzione dell’icona. Sull’uso politico delle icone, non ci sono dubbi, benché ciò nulla tolga all’autenticità religiosa del loro utilizzo. Si conservano monete sul cui recto la Theotokos e il sovrano (Foca) stringono insieme lo stesso scettro, oppure la Theotokos pone la sua mano sulla corona del sovrano (Zimisce). Costantino il grande era considerato modello dell’imperatore e si diceva che, nel fare proprio il segno di Dio, avesse dedicato Costantinopoli alla Madre di Dio.


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