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VITA E FILOSOFIA. Per una rivoluzione antipastorale ....

“Governare la vita”. Il lascito di Foucault, la filosofia come diagnosi del potere - selezione di Federico La Sala

Una raccolta di saggi di autori vari curata da Sandro Chignola sui due corsi che il filosofo tenne al Collège de France tra il 1978 e il 1979. Istruzioni per l’avvenire più che lavori compiuti
domenica 11 giugno 2006 di Vincenzo Tiano
di Girolamo De Michele (Liberazione, 09.06.2006)
Tra il 1978 e il 1979 Michel Foucault tiene due corsi al Collège de France: si tratta, per il filosofo che negli stessi anni lavora alla Storia della sessualità, di esporre delle ipotesi di lavoro, di saggiare la validità di progetti in corso di definizione. Di ripensare lo stesso disegno di un potere disciplinare. Non è casuale che questa ricerca sia abbozzata nel corso di quella sorta di impasse che prende Foucault dopo la stesura de La (...)

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> “Governare la vita”. Il lascito di Foucault, la filosofia come diagnosi del potere - l’arte di vivere senza verità. Perché oggi ha vinto il cinismo (di Michel Foucault).

mercoledì 1 luglio 2009


-  Un testo di Michel Foucault sulla tradizione dell’Occidente

-  L’arte di vivere senza verità
-  Perché oggi ha vinto il cinismo

-  Con Manet, Bacon Baudelaire, Beckett ciò che sta in basso irrompe nelle forme artistiche elevate
-  La dottrina cinica nel mondo antico era popolare, oggi è un atteggiamento elitario e marginale

-  di MICHEL FOUCAULT (la Repubblica, 01.07.2009)

C’è una ragione che ha portato l’arte moderna a farsi veicolo del cinismo: parlo dell’idea che l’arte stessa, che si tratti di letteratura, di pittura o di musica, deve stabilire con il reale un rapporto che vada al di là del semplice abbellimento, dell’imitazione, per diventare messa a nudo, smascheramento, raschiatura, scavo, riduzione violenta dell’esistenza ai suoi elementi primari. Non c’è dubbio che questa visione dell’arte si sia andata affermando in modo sempre più marcato a partire dalla metà del XIX secolo, quando l’arte (con Baudelaire, Flaubert, Manet) si costituisce come luogo di irruzione di ciò che sta in basso, al di sotto, di tutto ciò che in una cultura non ha il diritto o quanto meno non ha la possibilità di esprimersi. A tale riguardo, si può parlare di un antiplatonismo dell’arte moderna. Se avete visto la mostra su Manet, quest’inverno, capirete quello che voglio dire: l’antiplatonismo, incarnato in maniera scandalosa da Manet, rappresenta a mio avviso una delle tendenze di fondo dell’arte moderna, da Manet fino a Francis Bacon, da Baudelaire fino a Samuel Beckett o a Burroughs, anche se non si identifica attualmente come elemento caratterizzante di tutta l’arte possibile.

Antiplatonismo: l’arte come luogo di irruzione dell’elementare, come messa a nudo dell’esistenza. Di conseguenza, l’arte ha stabilito con la cultura, le norme sociali, i valori e i canoni estetici, un rapporto polemico, di riduzione, di rifiuto e di aggressione. È questo l’elemento che fa dell’arte moderna, a partire dal XIX secolo, quel movimento incessante attraverso il quale ogni regola stabilita, dedotta, indotta, inferita sulla base di ciascuno dei suoi atti precedenti, è stata respinta e rifiutata dall’atto successivo. In ogni forma d’arte si può trovare una sorta di cinismo permanente nei riguardi di ogni forma d’arte acquisita: è quello che potremmo chiamare l’antiaristotelismo dell’arte moderna.

L’arte moderna, antiplatonica e antiaristotelica: messa a nudo, riduzione all’elementare del l’esistenza; rifiuto, negazione perpetua di ogni forma già acquisita. Questi due aspetti conferiscono all’arte moderna una funzione che in sostanza si potrebbe definire anticulturale. Bisogna opporre al conformismo della cultura il coraggio dell’arte, nella sua barbara verità. L’arte moderna è il cinismo nella cultura, il cinismo della cultura che si rivolta contro se stessa. Ed è soprattutto nell’arte, anche se non solo in essa, che si concentrano nel mondo moderno, nel nostro mondo, le forme più intense di quella volontà di dire la verità che non ha paura di ferire i suoi interlocutori. Restano naturalmente molti aspetti ancora da approfondire, e in particolare quello della genesi stessa della questione dell’arte come cinismo nella cultura.

Si possono vedere i primi segnali di questo processo, destinato a manifestarsi in modo clamoroso nel XIX e nel XX secolo, ne Il nipote di Rameau e nello scandalo suscitato da Baudelaire, Manet, (Flaubert?). Ci sono poi i rapporti tra cinismo dell’arte e vita rivoluzionaria: affinità, fascinazione reciproca (perpetuo tentativo di legare il coraggio rivoluzionario di dire la verità alla violenza dell’arte come irruzione selvaggia del vero); ma anche il loro non essere sostanzialmente sovrapponibili, dovuto forse al fatto che, se questa funzione cinica è al cuore dell’arte moderna, il suo ruolo nel movimento rivoluzionario è solo marginale, almeno da quando quest’ultimo è dominato da forme di organizzazione, da quando i movimenti rivoluzionari si organizzano in partiti e i partiti definiscono la "vera vita" come totale conformità alle norme, conformità sociale e culturale. È evidente che il cinismo, lungi dal costituire un legame, è un motivo di incompatibilità tra l’ethos dell’arte moderna e quello della pratica politica, sia pure rivoluzionaria.

Si potrebbe formulare lo stesso problema in termini diversi: perché il cinismo, che nel mondo antico aveva assunto le dimensioni di un movimento popolare, è diventato nel XIX e nel XX secolo un atteggiamento elitario e marginale, anche se importante per la nostra storia, e il termine cinismo viene utilizzato quasi sempre in riferimento a valori negativi? Si potrebbe aggiungere che il cinismo ha molti punti di contatto con un ’altra scuola greca di pensiero: lo scetticismo - anche in questo caso, uno stile di vita, più che una dottrina, un modo di essere, di fare, di dire, una disposizione a essere, a fare e a dire, un’attitudine a mettere alla prova, a esaminare, a mettere in dubbio.

Ma con una grandissima differenza: mentre lo scetticismo applica sistematicamente al campo scientifico questa attitudine, trascurando quasi sempre l’esame degli aspetti pratici, il cinismo appare incentrato su un atteggiamento pratico, che si articola in una mancanza di curiosità o in un’indifferenza teorica, e nell’accettazione di alcuni princìpi fondamentali. Ciò non toglie che, nel XIX secolo, la combinazione tra cinismo e scetticismo sia stata all’origine del "nichilismo", inteso come modo di vivere basato su un preciso atteggiamento nei confronti della verità. Dovremmo smetterla di considerare il nichilismo sotto un unico aspetto, come destino ineluttabile della metafisica occidentale, a cui si potrebbe sfuggire solo facendo ritorno a ciò il cui oblio ha reso possibile questa stessa metafisica; o come una vertigine di decadenza tipica di un mondo occidentale divenuto ormai incapace di credere ai suoi stessi valori.

Il nichilismo deve essere considerato in primo luogo una figura storica particolare appartenente al XIX e al XX secolo, ma deve anche essere inscritto nella lunga storia che l’ha preceduto e preparato, quella dello scetticismo e del cinismo. In altre parole, deve essere visto come un episodio o, meglio, come una forma, storicamente ben definita, di un problema che la cultura occidentale ha cominciato a porsi già da molto tempo: quello del rapporto tra volontà di verità e stile di esistenza.

Il cinismo e lo scetticismo sono stati due modi di porre il problema dell’etica della verità. La loro fusione nel nichilismo mette in luce una questione essenziale per la cultura occidentale, che può essere formulata in questo modo: quando la verità è rimessa continuamente in discussione dallo stesso amore per la verità, qual è la forma di esistenza che meglio si accorda con questo continuo interrogarsi? Qual è la vita necessaria quando la verità non lo è più? Il vero principio del nichilismo non è: Dio non esiste, tutto è permesso. La sua formula è piuttosto una domanda: se devo confrontarmi con il pensiero che "niente è vero", come devo vivere? La difficoltà di definire il legame tra l’amore della verità e l’estetica dell’esistenza è al centro della cultura occidentale. Ma non mi preme tanto definire la storia della dottrina cinica, quanto quella dell’arte di esistere. In un Occidente che ha inventato tante verità diverse e che ha plasmato tante differenti arti di esistere, il cinismo serve a ricordarci che ben poca verità è indispensabile per chi voglia vivere veramente, e che ben poca vita è necessaria quando si tenga veramente alla verità.

Traduzione di Stefano Salpietro


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