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PER LA PACE PERPETUA. ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO....

MICHELANGELO, PER UN RITRATTO A PROUST: UNA ILLUMINANTE INDICAZIONE DI WALTER BENJAMIN. Materiali sul tema - di Federico La Sala

"Nel secolo scorso c’era a Grenoble un’osteria che si chiamava «Au temps perdu» (non so se ci sia ancora). Anche da Proust noi siamo avventori che sotto l’insegna oscillante varchiamo una soglia [...]"
giovedì 15 febbraio 2018
MICHELANGELO E LA SISTINA: "PER UN RITRATTO DI PROUST" (DI WALTER BENJAMIN)

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> UNA ILLUMINANTE INDICAZIONE DI WALTER BENJAMIN. ---STORIA E TEOLOGIA-POLITICA: LA MEMORIA DI UNA "NAPOLI" POROSA DI WALTER BENJAMIN E ASIA LACIS (di A. Cortellessa - "Antinomie")

domenica 16 luglio 2023

STORIA DI NAPOLI, STORIOGRAFIA, E RIFORMA TEOLOGICO-POLITICA (DI IERI E DI OGGI):

LA "NAPOLI POROSA" DI WALTER BENJAMIN E ASJA LACIS *


BENJAMIN

Napoli porosa

WALTER BENJAMIN - ASJA LACIS

a c. di Andrea Cortellessa *

      • Napoli, a firma di Walter Benjamin e della teatrante lettone Asja Lacis, esce sulla Frankfurter Zeitung nel 1925: a un anno dalla sua stesura. Sono poche pagine ma Benjamin vi annette grande importanza, e non solo perché testimoniano di uno degli incontri più felici di una vita così di rado visitata dalla gioia; nel ’31 ne realizzerà anche una versione radiofonica. Nel 1963 Peter Szondi aprirà con questo pezzo l’antologia delle sue Immagini di città, scritte da Benjamin fra il ’25 e il ’30, che a loro volta preludono al suo capolavoro di scrittore, Infanzia berlinese: dove non a caso lampeggia, a un certo punto, la memoria dell’estate luminosa passata a Capri nel ’24. Come dice bene Elenio Cicchini il concetto di «porosità» diverrà, nella riflessione del Benjamin maturo, un paradigma di “compenetrazione” fra tempi e luoghi distanti che, se è verosimilmente ereditato da Proust (e un po’ condito di surrealismo), diverrà l’«immagine dialettica» delle Tesi sul concetto di storia e di Parigi capitale del XIX secolo. [...]
      • Il testo, tradotto e finemente commentato dallo stesso Cicchini, è appena uscito presso la storica sigla editoriale napoletana Dante & Descartes (pp. 79, € 7), e se ne presenta qui - per gentile concessione di editore e curatore - un cospicuo estratto. [...]"
      • Andrea Cortellessa

***

Qualche anno fa un sacerdote, per aver infranto il codice morale[1], fu portato in giro per le strade di Napoli su un carretto. La folla lo accompagnava lanciando formule di malaugurio. Quando poi a un angolo s’intravide un corteo nuziale, il sacerdote si levò in piedi e fece segno di benedire. In quello stesso istante, tutti coloro che seguivano il carro si genuflessero.

È così che il cattolicesimo cerca in questa città di ristabilire a ogni occasione il proprio ordine. Se dovesse scomparire dalla faccia della terra, i suoi ultimi sospiri non giungerebbero da Roma, bensì da Napoli. Da nessun’altra parte, infatti, questo popolo potrebbe sopravvivere indenne alla sua ricca, congenita, barbarie, se non nel grembo della Chiesa: il popolo ha bisogno del cattolicesimo, perché con esso una leggenda, il giorno di un martire sul calendario, agiscono come istanza di legittimazione dei suoi eccessi. [...]

Il viaggiatore borghese che fino a Roma aveva sfiorato, come dita sui pali di uno steccato, l’una dopo l’altra le opere d’arte italiane, deve ora fermarsi e abbandonare le sue pretese. [...]

Ma anche il comune viaggiatore non si sente al posto giusto. Persino il Baedeker[2] non riuscirebbe a rabbonirlo. א [(Questo manuale del perfetto viaggiatore è riuscito, in modo così unico nella sua perizia, a proteggere da ogni inconsapevole avventura la borghesia da viaggio europea. Prima ancora che si potesse pensare a una trasformazione del paesaggio in questa direzione, quello già ne calcolava gli effetti con fantasiosa scrupolosità. Nella sua pedanteria si celava la profezia delle autostrade [3]). E tuttavia,] Qui le Chiese non si lasciano trovare, le sculture che sulla guida sono contrassegnaste da stelle[4] sono puntualmente collocate nell’ala del museo chiusa al pubblico, e la parola “manierismo” mette in guardia dalle opere della pittura locale. [...]

Come la pietra, così anche l’architettura di Napoli è porosa. Costruzione e azione si permeano in un susseguirsi di cortili, portici e scaloni. Tutto è fatto per custodire la scena in cui costellazioni sempre nuove, sino ad allora imprevedibili, possano accadere. א [Quando a raggrupparsi in un locale sono i tedeschi, questi devono sempre separare e mettere in fila tavoli e siede. Gli italiani, invece, si spargono ovunque, chiacchierano ai tavoli e reclamano sempre più spazio. Eppure, essi si comportano in modo molto più discreto che non i tedeschi nel loro buon cantuccio.] Si scansa il definitivo, il consolidato. Nessuna situazione, per come essa appare, è pensata una volta per sempre. Nessuna figura reclama il suo “così e non altrimenti”. [...]

Poiché nulla è concluso e fatto per sempre, in angoli come questi si riconosce a malapena fra quel che deve essere ancora costruito e quel che già è caduto in rovina. Porosità significa non solo, o non tanto, l’indolenza meridionale nell’operare, bensì piuttosto, e soprattutto, l’eterna passione per l’improvvisare. All’improvvisazione deve essere in ogni modo riservato lo spazio, deve essere sempre garantita l’occasione. I fabbricati sono usati come teatri popolari permanenti, le cui parti si dividono in una miriade simultanea di palchi animati: balconi, androni, pianerottoli, finestre, scaloni, gli stessi tetti - tutto è, insieme, palcoscenico e platea. Anche l’esistenza più miserabile è sovrana nell’ambigua, oscura consapevolezza di far parte, con tutto il suo degrado, di una di quelle irripetibili scene di vita di strada napoletana; e di poter godere, nel pieno della sua povertà, dell’ozio necessario per il grandioso scenario. [...]

Diffusa, porosa, disseminata è la vita privata. Ciò che distingue Napoli da tutte le altre città ha a che fare con il kraal degli Ottentotti[5]: ogni comportamento e affare privato è inondato dalle correnti della vita pubblica come da una marea. L’esistenza, che per i nordeuropei è la più intima delle faccende, qui a Napoli diventa un fatto collettivo, come nel kraal degli Ottentotti. [...]

Così come l’abitazione si riversa in strada con seggiole, fornacella e altarino, allo stesso modo, ma molto più chiassosamente, la strada irrompe nel basso. Anche quello più misero è pieno di candele, statuine di santi in biscuit, cespi di fotografie alle pareti e brande di ferro, così come la strada lo è di carretti, uomini e luci. La miseria ha portato a un’espansione dei confini, riflesso della più accesa libertà di spirito. Dormire e mangiare sono occupazioni senza orario, spesso prive anche di un luogo. [...]

Come è possibile prendere sonno in una stanza dove si contano tanti letti quanto lo spazio ne consenta? [...] Questo agognato sonno, che anche gli adulti recuperano appena possono in un cantuccio d’ombra, non ha nulla del preservato sonno nordico. Si tratta, ancora una volta, di una porosità, una compenetrazione di giorno e notte, rumore e silenzio, luce esterna e buio interno, strada e domicilio.

Leggi anche il testo di Elenio Cicchini, Porosità.

* Fonte: "Antinomie", 03/05/2020 (ripresa parziale, senza le note).


* STORIA DI NAPOLI, STORIOGRAFIA, E RIFORMA TEOLOGICO-POLITICA (DI IERI E DI OGGI):

      • LA MEMORIA DI UNA "NAPOLI" POROSA DI WALTER BENJAMIN E ASJA LACIS ...

A ben rileggere, l’inizio del testo di Walter Benjamin e Asja Lacis, dove si sottolinea che, "[...] Da nessun’altra parte, [...] questo popolo potrebbe sopravvivere indenne alla sua ricca, congenita, barbarie, se non nel grembo della Chiesa: il popolo ha bisogno del cattolicesimo, perché con esso una leggenda, il giorno di un martire sul calendario, agiscono come istanza di legittimazione dei suoi eccessi [...]", a mio parere, è possibile comprendere meglio la portata della "porosità" napoletana e benjaminiana.
-  Se si riflette su quanto egli dice e si allarga il campo dell’orizzonte storico, forse, è possibile da una parte capire perché, a Napoli (intorno al 1925), a Benjamin il tempo sembra essersi fermato (il fascismo al potere è già sulla via della Conciliazione con la Chiesa) e, al contempo, perché oggi può essere criticamente importante "compenetrare" il filo spezzato dalla svolta autoritaria di Carlo V e don Pedro di Toledo del cattolicesimo riformatore della Napoli e della Salerno di Juan Valdes, del Principe Ferrante Sanseverino, e dell’arcivescovo Girolamo Seripando e ricollegarlo al vicolo cieco del cattolicesimo dell’attuale presente storico.
-  Se non ora, quando? Non solo per Walter Benjamin, il nemico non ha smesso di vincere...

Federico La Sala


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