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MITO E STORIA, POLITICA E TEOLOGIA: "LUCIFERO!" E LA STELLA DEL DESTINO. Storiografia in crisi d’identità ...

LA STORIA DEL FASCISMO E RENZO DE FELICE: LA NECESSITÀ DI RICOMINCIARE DA "CAPO"! Alcune note - di Federico La Sala

I. BENITO MUSSOLINI E MARGHERITA SARFATTI - II. ARNALDO MUSSOLINI E MADDALENA SANTORO.
mercoledì 24 aprile 2024
[...] "SAPERE AUDE!" (I. KANT, 1784). C’è solo da augurarsi che gli storici e le storiche abbiano il coraggio di servirsi della propria intelligenza e sappiano affrontare "l’attuale crisi di identità della storiografia" [...]
KANT E GRAMSCI. PER LA CRITICA DELL’IDEOLOGIA DELL’UOMO SUPREMO E DEL SUPERUOMO D’APPENDICE.
-***FOTO. Xanti Schawinsky, Sì, 1934
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LA STORIA DEL FASCISMO E RENZO DE (...)

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> LA STORIA DEL FASCISMO E RENZO DE FELICE: LA NECESSITÀ DI RICOMINCIARE DA "CAPO"! --- CON LA "NAVE" (1905) DI D’ANNUNZIO, DA GENOVA (1915) - L’ITALIA PARTE PER LA PRIMA GUERRA MONDIALE.

domenica 5 luglio 2020

CON LA "NAVE" (1905) DI D’ANNUNZIO, DA GENOVA (1915), L’ITALIA PARTE PER LA PRIMA GUERRA MONDIALE. Il "primo duce" traccia la strada... *

      • Cronache di un Monumento ai Mille per Quarto: "[...]Nel corso della cerimonia di Quarto (figg. 8-13), che vide la partecipazione di una folla immensa, l’attenzione fu tutta per D’Annunzio (fig. 7), a scapito dello scultore, e per quel suo discorso che proiettava l’Italia nella prima guerra mondiale, trasformando il ruolo di Genova da “culla della democrazia risorgimentale” a “vera e propria capitale dell’interventismo”, nonché a “città dei cannoni, fulcro della nuova potenza industriale al servizio della guerra (fig. IV); a marcare ancora di più la conversione in quel senso non mancò neanche l’omaggio di un aviatore, il tenente Croce che, volando da Piacenza a Genova con un Caproni, al momento dell’inaugurazione lasciò cadere sopra il monumento tre messaggi, uno per D’Annunzio, uno per Genova e uno per i superstiti dei Mille [...]” (cfr. Maria Flora Giubilei, "Cronache di un Monumento ai Mille per Quarto", "La Berio", n. 1, gennaio-giugno 2010, pp. 37-40 - senza note e senza immagini).


Gabriele D’Annunzio e il delirio della propaganda interventista

di Vanessa Lucarini (InLibertà, 4 Luglio 2020)

È il 5 maggio del 1915, la guerra insanguina l’Europa e in un’Italia che ha appena firmato il Patto di Londra, si celebra l’inaugurazione del Monumento ai Mille. È una scultura in bronzo che raffigura Garibaldi incoronato dalle braccia della dea Vittoria, dietro di lui un gruppo di uomini addossati gli uni agli altri che sembrano emergere dal sottosuolo. L’opera è di Baroni, ma l’ispirazione viene dai primi versi dell’Inno di Garibaldi di Luigi Mercatini: «Si scopron le tombe, si levano i morti, i martiri nostri son tutti risorti».

L’idea della trionfale risurrezione dei martiri della patria offre a Gabriele D’Annunzio la base perfetta per costruire un discorso retorico e infiammato che sia al contempo glorificazione dell’impresa dei Mille e efficace atto di propaganda interventista. Parole che lette a distanza di un secolo suonano come un delirio d’onnipotenza, ma che declamate da un coltissimo istrione davanti a un gigantesco Garibaldi di bronzo fanno l’effetto di una marcia trionfale.

L’elogio a Garibaldi e alla sua stirpe

Durante l’inaugurazione, D’Annunzio non si limita a elogiare l’impresa dei Mille. La trasforma nel simbolo sacro dell’amor di patria che dovrebbe spingere l’uomo contemporaneo a inforcare le armi per affermare l’identità della grande Italia e riconquistare le cosiddette terre irredente. Come spesso avviene in letteratura, si parla di ieri per riferirsi a oggi e nell’oggi il nome di Garibaldi risuona come quello di una divinità: «Braccia d’artiere terribili son le sue braccia. Voi lo vedete. E le sue mani possiedono l’atto come le mani di Dio stringono la folgore. Non si sa se le gonfi di sì grandi vene la possa dell’opera compiuta o di quella ch’è da compiere».

Da un uomo tanto grande non può che venire fuori una stirpe di eroi. D’Annunzio infatti non può certo mancare di esaltare l’esperienza di Peppino Garibaldi, nipote dell’Eroe dei due mondi, che nel 1914 creò con i sei fratelli una Legione Garibaldina che scendesse in guerra a fianco della Francia. La legione combatté valorosamente sul fronte delle Argonne ma due dei fratelli morirono in battaglia. In loro D’Annunzio non vede due giovani da piangere, ma due martiri da assommare a quelli di Belfiore e a molti altri caduti per la patria che in cambio del loro sacrificio hanno ottenuto la gloria della risurrezione.

Il fuoco e la memoria della Roma antica

Nell’ottica dannunziana, se gli eroi del risorgimento tornassero sulla terra vedendo l’Italia scendere in guerra contro gli Imperi Centrali direbbero: «Lode a Dio! Gli italiani hanno riacceso il fuoco su l’ara d’Italia!». Il fuoco è elemento ricorrente nel discorso. È quello che alimenta la grande fornace dell’Italia e che per essere mantenuto sempre acceso non deve mai smettere di forgiare soldati modellati sull’esempio garibaldino: «Accesa è tuttavia l’immensa chiusa fornace, o gente nostra, o fratelli, e che accesa resti vuole il nostro Genio, e che il fuoco fatichi finché tutto il metallo si strugga, finché colata sia pronta, finché l’urto del ferro apra il varco al sangue rovente della resurrezione».

In queste parole riconosciamo una mentalità che (seppur portata all’estremo) affonda le radici nell’antica Roma, dove l’uomo era prima di tutto un cives al servizio dello stato. I Romani hanno conquistato mezzo mondo e creato il più grande impero dell’antichità. D’Annunzio - come poi farà Mussolini - non può che rievocare anche la loro memoria per smuovere l’animo dei presenti. Si pensi al riferimento all’Aventino, ai Dioscuri, alla Lupa e al Toro sannitico. Si pensi alla stessa dea Vittoria che - rispetto alla Nike greca - oltre a rappresentare la vittoria in battaglia simboleggia anche quella contro la morte.

Un finale d’effetto

Ma il Vate va oltre, e pur di rendere la sua propaganda convincente sale fino in cielo, a scomodare il Messia. Il corpo centrale del discorso è disseminato di termini cristiani come comandamento, martiri, preghiera, passione e resurrezione. E che dire del volto di Garibaldi impresso nell’anima della gente che viene paragonato a quello di Cristo impresso sul sudario? Ma la blasfemia di questo delirio nazional-patriottico raggiunge l’apice sul finale che, come afferma Alberto Mario Banti nel manuale L’età contemporanea. Dalla grande guerra a oggi è «estatico, allucinato, baroccamente sacrale, di grande e lugubre suggestione».

Il rovesciamento del messaggio messianico

Rifacendosi al Sermone della Montagna (Matteo 5,1-12), D’Annunzio fa di Garibaldi un novello Messia e ribalta completamente il messaggio d’amore di Cristo. Lo trasforma in un incitamento al sacrificio da compiersi in una nuova guerra all’insegna della gloria e della bellezza. E allora Beati i poveri in spirito diventa Beati quelli che più hanno perché più potranno dare; Beati gli afflitti diventa Beati quelli che hanno vent’anni, una mente casta e un corpo sano; Beati i miti diventa Beati quelli che custodirono la loro forza nella disciplina della guerra.

Nemmeno i misericordiosi saranno più beati perché troveranno misericordia, ma perché «avranno da tergere un sangue splendente, da bendare un raggiante dolore». Mentre il premio per i puri di cuore non sarà più la contemplazione del volto di Dio, ma di quello novello di Roma, della testa di nuovo incoronata di Dante e della bellezza dell’Italia trionfante.

Con il suo discorso D’Annunzio ricorre sapientemente a ogni meccanismo psicologico per veicolare il desiderio di cambiamento dei giovani italiani. Promette loro che liberandosi dall’opprimente «cappa senile» di posizione neutralista potranno finalmente dimostrare il loro valore e sfolgorare sulla scena europea. Forse non si aspetta che poco più tardi quegli stessi giovani verranno mandati a combattere una sfibrante guerra di trincea. Un inferno in terra che darà in cambio solo una vittoria che il Vate stesso definirà mutilata.


CON LA "NAVE" (1905) DI D’ANNUNZIO, DA GENOVA (1915), L’ITALIA PARTE PER LA PRIMA GUERRA MONDIALE. Il "primo duce" traccia la strada... *

SE SI TIENE PRESENTE CHE "La partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale ebbe inizio il 24 maggio 1915, circa dieci mesi dopo l’avvio del conflitto [...]", E ANCORA CHE "Il Patto di Londra (conosciuto anche come "Trattato di Londra") fu un accordo segreto firmato il 26 aprile 1915, stipulato tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa, con i quali l’Italia si impegnò a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali, (...), entro un mese dalla stipula in cambio di cospicui compensi territoriali [...]", L’INAUGURAZIONE DEL MONUMENTO AI MILLE - avvenuta a Genova il 5 MAGGIO 1915 - appare immediatamente non essere affatto un "delirio della propaganda interventista", come niente affatto l’”Orazione per la Sagra dei Mille” di Gabriele D’Annunzio è un discorso improvvisato e d’occasione!

      • Cronache di un Monumento ai Mille per Quarto: "[...] Nel corso della cerimonia di Quarto (figg. 8-13), che vide la partecipazione di una folla immensa, l’attenzione fu tutta per D’Annunzio (fig. 7), a scapito dello scultore, e per quel suo discorso che proiettava l’Italia nella prima guerra mondiale, trasformando il ruolo di Genova da “culla della democrazia risorgimentale” a “vera e propria capitale dell’interventismo”, nonché a “città dei cannoni, fulcro della nuova potenza industriale al servizio della guerra (fig. IV); a marcare ancora di più la conversione in quel senso non mancò neanche l’omaggio di un aviatore, il tenente Croce che, volando da Piacenza a Genova con un Caproni, al momento dell’inaugurazione lasciò cadere sopra il monumento tre messaggi, uno per D’Annunzio, uno per Genova e uno per i superstiti dei Mille [...]” (cfr. Maria Flora Giubilei, "Cronache di un Monumento ai Mille per Quarto", "La Berio", n. 1, gennaio-giugno 2010, pp. 37-40 - senza note e senza immagini).

SE è VERO, COME è VERO CHE, "Con il suo discorso D’Annunzio ricorre sapientemente a ogni meccanismo psicologico per veicolare il desiderio di cambiamento dei giovani italiani" (cfr. Vanessa Lucarini, "Gabriele D’Annunzio e il delirio della propaganda interventista", "InLibertà", 04.luglio 2020)), articolando il discorso che ha fatto come ha fatto (1."L’elogio a Garibaldi e alla sua stirpe", 2."Il fuoco e la memoria della Roma antica", 3."Un finale d’effetto": Garibaldi come Cristo, 4."Il rovesciamento del messaggio messianico") , è DA DIRE CHE EGLI è ARRIVATO BEN PREPARATO al suo appuntamento!

Chi sta per partire non sono i Mille di Giuseppe Garibaldi, ma la sua "giovane" Italia che s’imbarca ("La patria è su la Nave!") su "La nave" (1905) di Gabriele D’Annunzio e parte per l’avventura. Il primo Duce (cfr. Michael A. Leeden, "The First Duce. D’Annunzio at Fiume", 1977), con la "tragedia adriatica" ("tragoedia adriaca"), segna già la sua via e il suo orizzonte, fino all’approdo - dopo la "vittoria mutilata" e l’impresa di Fiume - a Gardone Riviera, al Vittoriale, sul lago di Garda!

Federico La Sala


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