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Lentamente muore....

L’ITALIA, IL PAESE DEI GIOVANI IN FUGA. Una breve sintesi del Rapporto Annuale ISTAT.

"6,3 mln di senza lavoro, oltre 1 mln over 50 cerca il posto". E’ la fotografia del nostro Paese nel 2013. In 5 anni via da Italia quasi 100 mila giovani
mercoledì 28 maggio 2014 di Federico La Sala
[...] L’Italia si conferma uno dei Paesi più vecchi al mondo. Con 151,4 persone over-65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni, presenta uno degli indici di vecchiaia più alti al mondo. Tra i Paesi europei solo la Germania ha un valore più alto (158) mentre la media Ue28 è 116,6. Lo scrive l’Istat nel Rapporto annuale. La speranza di vita è di 79,6 anni per gli uomini e 84,4 per le donne. Anche in questo caso l’Italia è sopra la media europea. (...)

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> L’ITALIA, IL PAESE DEI GIOVANI IN FUGA. -- L’ISTAT e l’esodo dall’Italia. Un Paese vecchio e statico. I giovani se ne vanno e la povertà si allarga.

giovedì 29 maggio 2014


-  I giovani se ne vanno e la povertà si allarga
-  Rapporto Istat: recessione finita, ma lascia segni profondi nella società
-  Natalità ai minimi storici. Le donne sopportano il peso della crisi

-  l’Unità 29.05.2014

Milano. Un Paese in stallo, dove la recessione lascia sul tappeto 6,3 milioni di persone senza lavoro. Il Rapporto Istat 2014, presentato dal presidente Antonio Golini, fotografa un Paese che ancora non riesce a ripartire, ed è sempre più frammentato: il Sud aumenta ulteriormente la distanza dal resto del Paese, la disuguaglianza rimane consistente, la povertà aumenta, solo il 30% delle imprese negli ultimi due anni ha migliorato occupazione e fatturato, l’occupazione femminile migliora, ma solo perché servono più baby sitter e badanti per supplire alla cronica inadeguatezza dei servizi sociali. E l’Istat informa che ci vorrebbero 15 miliardi per ridurre la povertà.

Dall’inizio della crisi, l’occupazione ha conosciuto solo il segno meno, e nell’ultimo anno il calo è stato ancor più marcato: nel 2013 l’occupazione è diminuita del 2,1% (-478mila). In 2,3 milioni di famiglie lavorano solo le donne. Tra disoccupati (3 milioni e 113mila) e persone che sarebbero disposte a lavorare (3 milioni e 205mila) nel 2013 si contano 6,3 milioni di «potenzialmente impiegabili», uno spreco di risorse colossale che riguarda soprattutto i giovani. Tra il 2008 e il 2013 sono usciti dal mercato del lavoro 1.803.000 giovani tra i 15 e i 34 anni: il loro tasso di occupazione corrispondente è sceso di 10 punti, dal 50,4% all’attuale 40,2%. Nel 2013 i giovani che non lavorano né studiano (Neet) sono arrivati a 2,4 milioni, oltre mezzo milione in più rispetto al 2012. Come diretta conseguenza, nel 2012 sono stati oltre 26mila i giovani che hanno lasciato l’Italia, 10mila in più rispetto al 2008. In totale, ad andarsene negli ultimi cinque anni sono stati 94mila. Vanno nel Regno Unito, in Germania e in Svizzera, oppure, fuori dall’Europa, negli Stati Uniti e in Brasile. Se ne vanno anche gli over 34enni: nel 2012, 68mila persone, il numero più alto degli ultimi dieci anni, cresciuto del 35,8% rispetto al 2011. E nel frattempo la natalità è ai minimi storici: nel 2013 le nascite sono state poco più di 500mila. Tra l’altro, anche i migranti preferiscono altre mete: tra il 2007 e il 2012 i loro arrivi sono calati del 27%.

Le prospettive non appaiono rosee: secondo l’Istat, il Pil tornerà a crescere dello 0,6% quest’anno e dell’1% nel 2015. Il governo cercherà di arginare la tendenza. Come dice il ministro all’Economia Pier Carlo Padoan: «Stiamo prendendo misure che produrranno lavoro in maniera crescente nei prossimi trimestri - L’occupazione è l’attuale priorità del governo. Purtroppo la crescita stenta ma si rafforzerà e quindi una combinazione di crescita più sostenuta e misure di riforma strutturale del mercato del lavoro produrranno più posti di lavoro».

Il fatto è che la mancata crescita limita molto anche gli effetti delle manovre di contenimento del debito pubblico. Ed è a sua volta causata anche da una scarsa produttività. Le due cose insieme hanno controbilanciato negativamente gli effetti delle manovre fiscali da 182 miliardi attuate dai governi negli ultimi tre anni, e su cui si sono concentrate le poche risorse disponibili: «Il nostro è stato l’unico Paese della Ue a non aver attuato nel complesso politiche espansive», scrive l’Istat.

Ormai spendono solo i pensionati. La contrazione dei livelli di consumo delle famiglie si è verificata nonostante l’ulteriore diminuzione della propensione al risparmio (11,5%) e il crescente ricorso all’indebitamento: nel 2012 le famiglie indebitate superavano quota 7%. Tra il 2007 e il 2013 il potere d’acquisto è sceso del 10,4%, nel 2013 però la caduta è solo dell’1,1%, grazie a un modesto aumento dello 0,3% del reddito disponibile. Ma il 2013 potrebbe essere un anno di svolta, in cui la riduzione dei consumi risulta superiore a quella del reddito. Tra il 2007 e il 2012, rileva l’Istat, solo i pensionati hanno conservato livelli medi di consumo mensile positivi, «grazie alla sicurezza fornita dai redditi da pensione».

La crisi ha accresciuto anche i divari territoriali. Il Sud è diventato sempre più povero, per la cronica mancanza di lavoro. Infatti il tasso di occupazione maschile è sceso al 53,7%, oltre 10 punti più basso della media nazionale. Quanto alle donne, lavora una su tre. Campania, Calabria, Puglia e Sicilia presentano valori del tasso di occupazione femminile pari a meno della metà di quello della Provincia di Bolzano. Le famiglie in cui non è presente alcun occupato al Sud sono passate dal 14,5% del 2008 al 19,1% del 2013. Non solo il rischio di povertà è molto più alto che nel resto dell’Italia, ma la mancanza di prospettive per i giovani ne favorisce l’esodo, per cui il Mezzogiorno sta anche invecchiando più rapidamente del resto d’Italia.


L’ISTAT e l’esodo dall’Italia

-  L’81% dei giovani non sperano più: “Trovi lavoro solo da raccomandato”
-  Giovani rassegnati: 4 su 5 cercano la raccomandazione
-  Rapporto ISTAT: paese vecchio e statico. Dai 15 ai 34 anni chi è senza occupazione si rivolge a conoscenti o parenti e, in cinque anni, sono emigrati in 100.000

di Giulia Merlo (il Fatto, 29.05.2014)

Negli ultimi 5 anni, 100 mila ragazzi sono emigrati all’estero. E, pur di ottenere un’occupazione, i laureati sono ormai disposti a tutto, anche a “demansionarsi”. L’Italia prova a ripartire ma il mercato del lavoro stagna e a stare peggio sono i giovani: disoccupati, in cerca di raccomandazioni e in fuga per l’estero. È questo il ritratto del Paese secondo il rapporto annuale dell’Istat: trovare impiego è difficile, quando ci si riesce è grazie a conoscenze e se nemmeno queste bastano l’unica soluzione è l’emigrazione.

Negli ultimi 5 anni sono stati 1,8 milioni i giovani espulsi dal mercato del lavoro e il tasso di occupazione per gli under 35 è sceso al 40,2%, 10 punti in meno rispetto al 2012. Rimane forte il divario tra uomini (trova lavoro il 45,5%) e donne (34,7%), ma anche tra nord (50%) e sud (27,6%). In aumento sono anche i cosiddetti Neet (not in education, employment or training), i giovani che non studiano nè lavorano, che in Italia sono 2,4 milioni, di cui 500mila solo nel 2013.

LA CRISI ha allungato anche i tempi di ricerca, per chi il lavoro lo sta cercando: dai 17,7 mesi del 2008 oggi un giovane impiega 19 mesi per trovare un impiego. Tra i fortunati che il lavoro riescono a trovarlo, però, i dati fotografano una situazione tutt’altro che rosea: l’81,9%, infatti, dichiara che per trovare un posto si è rivolto a reti di conoscenza informale di parenti e conoscenti, e un terzo dei giovani neo-occupati riconosce l’importanza di questi contatti per ottenere l’agognata busta paga. Non solo, chi viene assunto deve accontentarsi di un ruolo inferiore rispetto alla propria qualifica professionale e anche i laureati - che pure risentono meno della crisi - devono accettare il demansionamento. La cosiddetta “sovraistruzione” riguarda il 34,2% degli under 35, e i più penalizzati sono i dottori in scienze sociali e umanistiche, anche se la crisi ha colpito anche ingegneri e medici, sempre considerate categorie ad impiego sicuro.

Dati, questi, che ci allontanano sempre di più dagli obiettivi europei, che fissano per il 2020 il raggiungimento dell’82% di occupazione per i giovani tra i 20 e i 34 anni, che hanno concluso il loro percorso di formazione. In Italia si parla di circa un milione di ragazzi, il cui tasso di occupazione è sceso al 48,8%, lontanissimo dall’obiettivo e 27 punti in meno rispetto alla media europea.

NON SORPRENDE, quindi, l’impennata dell’emigrazione giovanile: negli ultimi cinque anni hanno detto addio all’Italia 94mila ragazzi, 26mila solo nel 2012. Una perdita netta di 18mila giovani, di cui ben 4mila laureati, che preferiscono cercare fortuna lavorativa in Regno Unito, Germania, Svizzera e Stati Uniti. L’esodo però non è solo verso oltreconfine: la crisi ha aggravato il divario tra nord e sud Italia, che sta diventando sempre più vecchia perchè i giovani risalgono la penisola in cerca di lavoro. Il tasso di occupazione nelle regioni meridionali, infatti, è sceso al 42%, contro il 64,9% del nord-est e 14 punti in meno rispetto al dato nazionale, con Sicilia, Calabria e Campania fanalino di coda.

I giovani sono la categoria più maltrattata, ma ad essere bloccato è l’intero mercato del lavoro. I disoccupati nel 2013 sono poco più di 3 milioni, ma il numero più che raddoppia se si calcolano anche le forze di lavoro potenziali ma inattive: 6,3 milioni di senza lavoro, e i dati più preoccupati si registrano nelle regioni del sud. Se in Italia il tasso di disoccupazione è del 12,2% - quasi il doppio rispetto al 2008 - nel sud Italia si arriva al 19,7%, meglio solo di Grecia e Spagna. Un divario evidente anche nel reddito medio, che in Campania è di 15.600 euro - pari a quello della Polonia - contro i 19.600 euro di media nazionale.

La recessione ha fatto aumentare anche il numero delle famiglie monoreddito: nel 2013 sono 7,3 milioni, l’11,7% in più in 5 anni. In questi casi, sono in aumento le donne “capofamiglia”, oggi il 12,2% e cresciute del 34,5% in 5 anni, contro il 26,5% in cui a guadagnare è solo l’uomo. Il fenomeno è diffuso soprattutto al sud, dove le mogli “breadwinner” sono aumentate del 10%, spesso per sopperire alla perdita di lavoro del partner.

Non solo fughe all’estero e disoccupazione giovanile, però. La recessione ha fatto registrare un nuovo minimo storico per le nascite. All’anagrafe sono stati iscritti 515mila bambini, 12mila in meno rispetto al minimo storico del 1995.


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