Ciao, don Andrea, buon prete della cattiva strada
di Luigi Cancrini (l’Unità, 24 maggio 2013)
Ho conosciuto Don Gallo nel 1980. Aveva aperto un ristorante in cui lavoravano i suoi ragazzi. I «drogati» cui aveva aperto la sua parrocchia e di cui tutti avevano paura e di cui nessuno allora si voleva occupare.
Il lavoro è la prima risposta da dare, diceva, a drogarsi sono quelli che si sentono (e spesso sono) rifiutati da una società ingiusta che non li accetta. Gli emarginati. Gli ultimi. Quelli cui questo «prete di strada» ha dedicato tutta la sua vita. Centrando su di loro la sua passione di uomo e la sua missione di sacerdote. Capace, come forse Gesù, di condividere il sapore del cibo, il piacere del vino e della compagnia.
La vita potrebbe essere molto più bella, sembrava dire, con il sorriso arcigno e con l’ironia dei suoi grandi occhi malinconici, se gli uomini fossero un po’ meno stupidi. Se capissero che l’unico modo per essere felici è quello di esserlo con gli altri. Di ritrovare ciò che si ha in comune invece di dannarsi per sottolineare le differenze. Di potere e di ricchezza.
È una società stupida, diceva, quella in cui tutti si spingono e lottano per nulla e qualcuno cade e si fa male e a volte muore e a volte semplicemente non capisce più il senso di quella vita e gliene vorrebbe dare un altro.
Come lui ha fatto per tanti anni. Cercando le parole del Vangelo negli occhi e nelle mani dei ragazzi e dei non più ragazzi che si perdevano nelle strade di una città difficile e bella. Cantata tante volte con le sue stesse passioni da Fabrizio De André.