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MICHELANGELO E LA SISTINA (1512-2012). I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROSSO PROBLEMA ....

DOPO 500 ANNI, PER IL CARDINALE RAVASI LA PRESENZA DELLE SIBILLE NELLA SISTINA E’ ANCORA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO. Materiali sul tema, per approfondimenti

mercoledì 7 novembre 2012 di Federico La Sala
TONDO DONI. Attenzione: nella cornice "raffigurate la testa di Cristo e quelle di quattro profeti" (Galleria degli Uffizi)? Ma, per Michelangelo, non sono due profeti e due sibille?!

In un bel documentario dal titolo «1512. La volta di Michelangelo nella Sistina compie 500 anni» mandato in onda, ieri, 31 ottobre 2012 (giorno dell’anniversario) su TV2000 alle ore 13.05 (e replicato alle 23.05) con Antonio Paolucci, Gianluigi (...)

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>PERUGIA. Il Rinascimento classico e cristiano: il "Padre Eterno con sibille e profeti" (1498-1500). Il Perugino negli affreschi del Collegio del Cambio (di F. Giannini e I. Baratta).

domenica 28 maggio 2023

      • CONTINUAZIONE DAL POST PRECEDENTE E FINE.

Il Perugino negli affreschi del Collegio del Cambio: il Rinascimento classico e cristiano

Capolavoro del Perugino, gli affreschi della Sala delle Udienze nel Collegio del Cambio a Perugia sono uno dei vertici del Rinascimento, soprattutto per la commistione di temi classici e cristiani.

di Federico Giannini, Ilaria Baratta *

      • [...]

Le altre due scene sono raffigurate sulla parete di fronte. Entrambe seguono lo stesso schema: vi troviamo due delle quattro virtù cardinali assise in cielo, identificate, oltre che dai loro tipici attributi iconografici, dalle tavole sorrette da coppie di putti, e sotto di loro sei eroi dell’antichità. A sinistra, la Prudenza e la Giustizia (con i loro attributi: lo specchio e la spada) sono raffigurate sopra Fabio Massimo, Socrate, Numa Pompilio, Furio Camillo, Pittaco e Traiano, mentre a destra, la Fortezza e la Temperanza (scudo e bastone la prima, le due brocche per “temperare” l’acqua la seconda) compaiono sopra altri sei eroi, ovvero Lucio Siconio, Leonida, Orazio Coclite, Publio Scipione, Pericle e Cincinnato.

La prudenza (prudentia) è per Cicerone “la conoscenza delle cose buone e cattive” e si compone di tre parti: memoria, intelligenza e capacità di previsione, incarnate rispettivamente da Fabio Massimo, Socrate e Numa Pompilio. L’iscrizione suggerisce di non fare cose di cui ci si potrebbe pentire, e di cercare piuttosto la verità. La giustizia (iustitia) viene invece definita nel De inventione come un “abito mentale che tutela il bene comune”, e risulta dallo ius naturae (il diritto naturale, ovvero quello che non discende dall’opinione, ma da un istinto innato che è fondato su religio, pietas, gratia, vindicatio, observantia e veritas: lo ius naturae è impersonato da Furio Camillo), dalla consuetudine, che stabilisce le cose utili (Pittaco), e dalla legge scritta (Traiano). Nell’iscrizione si legge che se al mondo nascessero uomini come i tre che impersonano le tre qualità della giustizia, non ci sarebbero più azioni malvagie. La fortezza (fortitudo) è secondo Cicerone “la capacità di affrontare i pericoli e di sopportare la fatica”. Le sue parti sono magnificentia (magnanimità, generosità), fidentia (sicurezza e fiducia in se stessi) patientia (pazienza) e perseverantia (perseveranza). La magnificentia è rappresentata da Lucio Siconio, la fidentia da Leonida, la patientia e la perseverantia da Orazio Coclite. Nell’iscrizione si può leggere che chi pratica la fortezza non ha niente da temere. Infine, la temperanza (temperantia) è nel De inventione descritta come “il controllo fermo e moderato della ragione sulla lussuria e su altri impulsi impropri”. Si compone di continentia (continenza), clementia (clemenza) e modestia (modestia), valori ai quali corrispondono i personaggi di Scipione l’Africano, di Pericle e di Cincinnato. Nell’iscrizione, la temperanza è identificata come una “dea” che può insegnare il controllo di se stessi.

Secondo il summenzionato Elvio Lunghi, l’idea di interpretare gli affreschi come allusioni alle sette virtù cristiane potrebbe guardare al noto precedente dei dipinti che Sandro Botticelli e Piero del Pollaiolo eseguirono tra il 1469 e il 1470 per il Tribunale della Mercanzia di Firenze, l’istituto che giudicava i reati di carattere commerciale (ci si muove dunque nell’ambito in cui operava anche l’Arte del Cambio di Perugia), oggi tutti conservati agli Uffizi.
-  E si tratterebbe di un programma pienamente conforme, come ha ben riassunto Stefania Gialdroni nel suo saggio Perugino’s Justice. The Frescoes for the Collegio del Cambio between Legal History, Iconography, and Iconology del 2022, all’ideale di Maturanzio del christianus vir “che deve perseguire virtù sia cardinali che teologali, sulla base del presupposto che il cristianesimo ha mostrato al mondo la vera giustizia e ricostruito la vita umana sui due pilastri fondamentali della pietas e dell’humanitas”.
-  Secondo Gialdroni, il ciclo trasmette l’idea di giustizia dei banchieri perugini del Quattrocento: non tanto punire i delinquenti, quanto assicurare l’applicazione della legge in modo veloce e sulla base delle consuetudini mercantili e dell’equità. Lo Statuto del Cambio, approvato nel 1377, prevedeva infatti che i giudizi venissero applicati con rapidità, in maniera semplice e senza difficoltà (“summarie, simpliciter et de plano”) e secondo diritto, verità, equità e buone consuetudini (“de iure, veritate et equitate et secundum bonam consuetudinem”).
-  La figura di Catone era dunque funzionale a invitare i membri del Collegio a “lasciarsi alle spalle le passioni personali per seguire la retta via. Questo”, scrive Gialdroni, “è il messaggio che i mercanti volevano dare, questa è l’immagine del diritto mercantile e della giustizia che volevano proiettare: niente scene violente, niente punizioni, niente riferimenti ai ‘libri della legge’ (cioè allo ius commune), ma piuttosto una sorta di armonia, un invito alla moderazione, o meglio alla ‘temperanza’”.

      • Perugino, Prudenza e Giustizia con Fabio Massimo, Socrate, Numa Pompilio, Furio Camillo, Pittaco e Traiano (1498-1500; affresco; Perugia, Nobile Collegio del Cambio, Sala dell’Udienza)
        -  Perugino, Fortezza e Temperanza con Lucio Sicinio, Leonida, Orazio Coclite, Publio Cornelio Scipione, Pericle e Cincinnato (1498-1500; affresco; Perugia, Nobile Collegio del Cambio, Sala dell’Udienza)

      • Perugino (e collaboratori), volta con i Pianeti e decorazioni a grottesche (1498-1500; affresco; Perugia, Nobile Collegio del Cambio, Sala dell’Udienza)
        -  La Trasfigurazione e la Natività
        -  Dettaglio della figura di Venere

Si rivolge infine lo sguardo verso l’alto a vedere le raffigurazioni dei sette pianeti, il cui influsso, secondo le credenze del tempo, poteva condizionare le attività umane. Nella raffigurazione dei pianeti, Hiller von Gaertringen, nel suo saggio pubblicato nel catalogo della mostra sul Perugino del cinquecentenario del 2023, ha ipotizzato la possibile presenza del Pinturicchio, che avrebbe collaborato alla realizzazione di queste immagini (e a suo avviso si potrebbe anche ravvisare l’aiuto del giovane Raffaello nel disegno della scena coi profeti e le sibille, che palesano posizioni più variate rispetto a quelle solite del Perugino, e un raggruppamento più denso: nei suoi collaboratori abituali non si riscontrano variazioni così marcate rispetto allo stile del maestro). Ecco dunque il Sole al centro (con il dio Apollo, associato a questo astro), Saturno, Giove e Marte sulla parete di fondo, e Mercurio, la Luna (con la dea Diana) e Venere che invece decorano la parte che sta sopra la finestra. Le divinità che presiedono i pianeti vengono tutte raffigurate su carri trainati da animali, come da una diffusa iconografia. Nelle cornici si dispiega inoltre tutta l’inventiva dell’artista che per gli “altri ornamenti” indicati dal contratto immaginò animali veri e fantastici, mascheroni, motivi vegetali, che tuttavia furono per la più parte eseguiti materialmente dai suoi collaboratori.

Il Perugino aveva terminato il suo lavoro impiegandoci più del tempo previsto, ma riuscì nell’impresa di dipingere uno dei più significativi lavori del Rinascimento, una delle opere che meglio incarnano l’idea umanistica di commistione tra elementi classici ed elementi cristiani, e seppe farlo senza offrire contributi particolarmente originali o novità dirompenti: dalla sua aveva la capacità di dar forma al pensiero più aggiornato del suo tempo con una pittura pacata, serena, elegante (i detrattori direbbero anche “ripetitiva”), tanto nelle figure quanto nel paesaggio, che non sconvolgeva né inquietava la sua clientela ma al contempo si dimostrava in linea con la modernità, grazie alla sua capacità, ha scritto Vittoria Garibaldi, “di trasporre i concetti letterari, umanistici e classici in immagini figurate, armoniche e pacate, fatte di silenzi ritmicamente alternati”.
-  Per questo un grande studioso come Lionello Venturi definì il Perugino, nel suo volume sugli affreschi del Collegio del Cambio, come “il più tradizionale tra i pittori moderni e il più moderno fra i pittori tradizionali”. Si torna dunque da dove si era partiti: all’autoritratto del pittore. Non è l’immagine di un artista pieno di sé che si autocelebra in un’opera da lui eseguita. Il Perugino, come ha osservato Laura Teza, diventa intanto simbolo del riscatto d’un’intera città, ruolo sostanzialmente inedito per un artista, almeno a Perugia.
-  Maturanzio, in una sua Oratio in qua laudes et origo Perusiae tractantur, presentava il Perugino “come celeberrimo esempio delle virtù intellettuali e fattive della patria perugina”, scrive Teza, “possibile exemplum per i sopiti ingegni della città, che non vive pienamente la sua grande stagione intellettuale perché inconsapevole del proprio valore”: l’artista diviene così, negli affreschi del Cambio, un “modello di virtù patria, la personificazione di un’arte ritrovata”, e ancora “espressione vivente di quelle virtù di sapienza, di forza, di dominio di sé necessarie all’esercizio del bene pubblico, richiamate all’attenzione di una città distratta”.
-  Inoltre, l’autoritratto va letto come la testimonianza più evidente dell’apprezzamento che l’Arte del Cambio riservò al ciclo, tanto che gli uditori evidentemente concessero al Perugino, a pitture ultimate, di lasciare la sua effigie, proprio perché erano estremamente soddisfatti di come l’artista aveva portato a termine l’opera. E avevano ragione: poche altre opere di Pietro Vannucci raggiungono i vertici toccati nella Sala delle Udienze. E pochi altri cicli affrescati del tempo riescono a trasmetterci con altrettanta precisione le idee, le conoscenze, le aspettative e le speranze degli uomini del Rinascimento.

* Fonte: Finestre sull’Arte, scritto il 27/05/2023 (ripresa parziale, senza immagini).


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