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CHI INSEGNA A CHI CHE COSA COME?! QUESTIONE PEDAGOGICA E FILOSOFICA, TEOLOGICA E POLITICA

INSEGNAMENTO E COSTITUZIONE: "CHI INSEGNA AI MAESTRI E ALLE MAESTRE A INSEGNARE?"! Una nota - di Federico La Sala

Una ’risposta’ e un omaggio a una ragazza napoletana frequentante la classe prima della scuola media, incontrata a Certaldo, in occasione del “Premio Nazionale di Filosofia” (VI Edizione, 20.05.2012), che ha posto la domanda
venerdì 14 settembre 2012
SONNAMBULISMO STATO DI MINORITA’ E FILOSOFIA COME RIMOZIONE DELLA FACOLTA’ DI GIUDIZIO. Una ’lezione’ di un Enrico Berti, che non ha ancora il coraggio di dire ai nostri giovani che sono cittadini sovrani. Una sua riflessione
KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI").
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CERTALDO: PREMIO NAZIONALE DI FILOSOFIA (VI EDIZIONE - LE FIGURE DEL (...)

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> INSEGNAMENTO E COSTITUZIONE: CHI INSEGNA A INSEGNARE?! --- Non esaminare ma scambiare doni - un’indicazione da “La gaia educazione” (di Paolo Mottana)

giovedì 10 dicembre 2015

Non esaminare ma scambiare doni

di Paolo Mottana (Comune-info, 10 dicembre 2015) *

L’esame scolastico, istituzionale, è figlio di una cultura della misura e del controllo. Una cultura dell’educazione che ritiene che la procedura dell’insegnamento sia realizzata quando il sapere, considerato come qualcosa che preesiste al momento dell’istruzione stessa, possa essere poi in qualche modo misurato dopo che è stato trasferito. Operazione meccanica quant’altre mai, che vede l’insegnamento come una trasmissione come un transito o come un inculcamento.

Anche laddove vi è consapevolezza della processualità dell’opera educativa, laddove si predica con aplomb sacerdotale la metaforica platonica della maieutica o dello svelamento, l’esame resta confinato nella sua struttura di procedura di controllo, a volte rivestito dell’abito della ricerca o dell’ascolto, ma pur sempre finalizzato a vedere ciò che è stato prodotto, a sorvegliare e a delucidare l’effetto. Questo sistema è legato ad una logica produttivistica, efficientista e fisicalista della cultura, che nell’epoca contemporanea si tecnicizza in procedure sempre più sofisticate e modulate variamente, sul piano strumentale, ma non meno univoche su quello strutturale.

A questa logica voglio contrapporre l’idea di formazione come dono, di apertura del sapere e di condivisione della conoscenza. Un’idea partecipativa che mira all’attrazione appassionata e alla coltivazione di una ricettività diffusa e fluida, curiosa e non giudicante. L’azione dell’insegnamento come potlacht o come dissipazione, come debordamento e come dispersione, come deriva e come prassi simbolica, fa cadere ogni esigenza di controllo. Anche perché non c’è più nulla da controllare. Il campo del sapere, non più presupposto come dominabile e segmentabile, è sempre aperto e fluido. Il contributo che offre chi insegna, presenta implicitamente falle e punti di pescaggio da dove chiunque vi partecipi può derivare imprevedibili direzioni di sviluppo, trasformando continuamente, non tanto il modo in cui l’insegnante propone la sua forma, quanto la configurazione in fieri che ne trae come discente. Da questo punto di vista nessuna esigenza di controllo e di misura e neppure l’esigenza del tutto autoriferita di verificare se qualcosa è successo.

Il gesto compensatore di una pratica di formazione come dono e condivisione è invece quella della restituzione, come ritorno di qualcosa di non predefinito (al dono si corrisponde con il dono) e della riconoscenza/riconoscimento, nella forma del ringraziamento e dell’accoglimento. Per chi insegna è il fatto stesso dell’ascolto, della partecipazione e della ri-conoscenza che si fa atto di conferma, e che costituisce di per sé indizio di un’auspicabile moltiplicazione esperienziale. In tal senso restituzione e riconoscimento possono essere espressi in modi diversi e imprevedibili che possono non avere affatto a che vedere con il sapere trasmesso, ma semmai con la configurazione che l’esperienza ha assunto. La restituzione può essere un oggetto fisico o un’idea, una danza o un canto, uno scritto o un’immagine, un biglietto o un gesto d’amore.

L’esperienza formativa non ha nessuna intrinseca necessità di essere misurata, essa si dà quando si dà, come perfettamente compiuta all’atto della sua effettuazione. L’atto del controllo e della misurazione è solo un gesto disciplinare che la inscrive in una finalizzazione estrinseca di tipo ideologico o istituzionale. Intrinsecamente ogni esperienza di insegnamento è invece semmai tramata da gesti di interrogazione e di intesa, di confronto e, laddove ve ne sia necessità, di prova, di gioco e di simulazione. Ma questo modo di cercare non è mai ordinato nella forma del controllo esterno, semmai della conferma interna, del bisogno di percepire la reciprocità della comprensione. Si conclude all’interno dell’esperienza di insegnamento e non chiede supplementi, a meno che questi non siano indotti dal desiderio di ripetere e andare più a fondo.

*

-  Tratto da “La gaia educazione” (Mimesis, 126 pag. 10 euro): il nuovo libro di Paolo Mottana dissolve, senza paura di abitare l’incertezza, molte barriere dell’educazione tradizionale. L’autore, docente di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Milano-Bicocca si occupa da anni dei rapporti tra immaginario, filosofia e educazione.
-  In questo libro ripensa l’apprendimento e la scuola in modo profondo. Si tratta, in primo luogo, di “riportare bambini e ragazzi sulla scena del mondo, della natura, delle strade, dei luoghi dove si vive e si traffica e si imapara sul serio...”. È la società, la città, la campagna che possono divenire sfere di un apprendimento diverso quanto vitale, non gli edifici scolastici, troppo spesso luoghi che separano (mondi, persone, saperi). Serve un apprendimento che rifiuta la dittatura del denaro e il feticismo del lavoro, che sia in grado di proporre una ricostruzione delle idee.
-  Abbiamo bisogno, dice Mottana, non di esami, interrogazioni, voti, schede ma di un sistema di apprendimento esteso, articolato quanto creativo, abbiamo bisogno di una gaia educazione di mente e corpo, dove l’imparare è esperienza che si radica nella vita.


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