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IMMAGINAZIONE E STORIA. ALCHIMIA E PSICOLOGIA: PARACELSO. "Melusina, simbolo dell’anima, espressione della parte femminile dell’anima, è il femminino presente in ogni essere umano" (Carl G. Jung).

MELUSINA: RITROVAMENTO DI SIRENE (E SIBILLE) NELLA CITTÀ DI CONTURSI TERME (SALERNO). Un’occasione per ripensare tali figure della tradizione culturale europea. Materiali sul tema - a c. di Federico La Sala

Esistono diverse versioni della leggenda di Melusina, che si inserisce nella tradizione medioevale dell’incontro tra fate e umani, ma la codifica definitiva si ha intorno al 1400, per volontà di due nobili famiglie (...)
martedì 26 giugno 2012
PREMESSA
FOTO: MELUSINA - con una coroncina con croce al collo. Una sua bella e sorprendente presenza nella Città di Contursi Terme, in provincia di Salerno, nella valle del Sele (Foto di Orazio Marotta)
Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale (Fulvio Papi) (...)

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> MELUSINA: RITROVAMENTO DI SIRENE (E SIBILLE) --- "MORFOLOGIA DELLA FIABA". La voce e il corpo della Sirena: archeologia di una fiaba (di Erika Maderna).

giovedì 23 maggio 2024

La voce e il corpo della Sirena: archeologia di una fiaba

di Erika Maderna (Written by Amici di LibriCalzelunghe, 01.12.2021).

Una fiaba non è mai scritta per la prima volta, è sempre una riscrittura di qualcosa che è stato già narrato tanto tempo fa. Molti pensano alle fiabe classiche come a racconti obsoleti, stereotipati, lontani dallo spirito del nostro tempo; in realtà, nessun altro genere di narrazione ci invita più di questo a uscire dallo stereotipo. Per entrare nell’archetipo.

      • [Foto: "Ulisse e le Sirene". Stamnos attico trovato a Vulci, V sec. a.C., British Museum]

Certe storie nascono nel sottosuolo della memoria, e andare a scavare fra le stratificazioni è un lavoro simile a quello dell’archeologo: si trovano cocci, si ripuliscono, si prova pazientemente a farli combaciare. Non sempre il restauro risulta perfetto, e bisogna allora esporre i frammenti in vetrine separate; ma anche quei pezzi sono una parte importante dell’opera di ricostruzione.

Partiamo dalla fine, cioè dal finale, che in realtà segna sempre, paradossalmente, un inizio. Di solito, dopo il “felici e contenti” i protagonisti sembrano svanire nel nulla, come se il seguito non fosse degno di essere raccontato; e invece, dove finisce la narrazione, lì comincia la nostra esistenza, la vita della nostra anima. Perché sempre dell’anima e all’anima parlano le fiabe. La fanciulla che soffre, che cerca, che si perde, che osa, che diventa preda, non è una ragazzina in carne e ossa: siamo noi quella ragazzina, sempre e soltanto noi. È sempre Psiche la protagonista, come suggerisce una delle più belle storie mai scritte, e l’anima non è nemmeno maschio o femmina; è anima e basta, e questo spazza via anche tante obiezioni al presunto sessismo di racconti tradizionali di principi e principesse, fidanzamenti e sposalizi.

      • [Foto: "Sirena bicaudata, palazzetto medievale a Siena, via dei Rossi"

Anche la fiaba de La Sirenetta parla dell’anima. Forse, prima di tutto, di quella dell’uomo che l’ha pensata, Hans Christian Andersen, che in quel racconto struggente ha messo se stesso, la sofferenza per un amore impossibile, il senso di isolamento, il suo sentirsi profondamente “diverso”.

Si tratta di un racconto d’autore, per l’appunto: non attinge, dunque, al sostrato archetipico del folclore popolare e del mito come avviene per altre fiabe della nostra infanzia. Eppure, Andersen è riuscito a recuperare temi e simboli universali che appartengono all’immaginario. Sceglie come protagonista una sirena, creatura mitologica e antichissima che da sempre abita le fantasie dell’uomo, e intesse una storia che ha inizio nelle profondità marine, e dalle profondità procede verso la superficie. Potremmo intenderlo come un percorso inverso rispetto a quello che solitamente l’eroe compie visitando gli inferi per poi tornare nel mondo dei vivi. Qui è la superficie il luogo dell’iniziazione e una creatura degli abissi ne è attratta fino a essere disposta a perdere tutto.

La giovane protagonista sogna da sempre di scoprire cosa c’è oltre il mare e finalmente al compimento dei suoi quindici anni potrà spingersi al di là di quella soglia. È l’età giusta per innamorarsi, la sua, e infatti, fatalmente, si innamora. Per quel bellissimo giovane è disposta a rischiare tutto: a lasciare l’oceano, a separarsi dal padre, dalla nonna che l’ha cresciuta, dalle amate sorelle. Ma di quel mondo c’è anche altro che la attrae irresistibilmente: il destino degli umani, che vivono un’esistenza breve ma amano intensamente e possiedono un’anima immortale. Si convince che in quell’immortalità debba esserci un grande bellissimo segreto.

Per sperimentare la felicità umana, però, il prezzo da pagare è alto: la strega, che può darle il corpo di donna che lei tanto desidera, in cambio vuole la sua voce. Ma la voce per una sirena è tutto, si sa, perché nel canto risiede l’incanto. L’amputazione della lingua segna una riduzione definitiva al silenzio, una menomazione che la storia ha inflitto infinite volte alle donne. Ma non solo. Per ottenere le agognate gambe dovrà accettare di soffrire enormemente: sarà come se una spada la tagliasse in due e a ogni passo le sembrerà di camminare su affilate lame di coltello, ma lei dovrà sorridere e nascondere il tormento anche quando i piedi sanguineranno. Infine, la sentenza più crudele: se non riuscirà a farsi amare da lui... tutto sarà perduto e lei morirà, trasformandosi in schiuma marina. Ma come si può riuscire a farsi amare, quando non si ha voce?

      • [Foto: Concerto acquatico, Livre des échecs amoureux moralisés, XV sec., Parigi, Biblioteca nazionale]

In questa fiaba, il tema della voce è potente: riconduce all’immaginario della sirena, ma evoca anche, in uno schema rovesciato, le figure delle antiche profetesse, delle sibille, delle pizie. Della sibilla cumana, per esempio, che aveva chiesto ad Apollo l’immortalità dimenticandosi di reclamare anche l’eterna giovinezza: invecchiò, e il suo corpo si consumò inesorabilmente, come quello di una cicala, fino a scomparire lasciando di lei solo la voce. Apollo le promise di farla tornare giovane, ma solo se si fosse data a lui. La sibilla rifiutò, scegliendo il disfacimento. In apparenza, ma solo inizialmente, nella nostra fiaba sembra avvenire il contrario, ma pur sempre si tratta di scegliere fra voce e corpo, di accettare una menomazione, una scissione dall’esito necessariamente tragico.

Nel mito, quello della sibilla non è l’unico corpo femminile che si dissolve in voce. C’è anche la ninfa Eco, che come la Sirenetta sperimenta un amore disperato per il bellissimo Narciso, che esattamente come l’uomo amato dalla Sirenetta non riesce a cogliere la profondità dei suoi sentimenti. La voce di Eco non verrà soppressa, ma si ridurrà a riverbero delle parole dell’altro, distorte e mutilate. C’è un destino comune in queste due fanciulle, quasi una ferita archetipica che si replica per linea femminile: e sono la voce e il corpo a narrarla. Per Eco, un corpo consumato dalla sofferenza d’amore; per la Sirenetta, costretto in una trasformazione innaturale e dolorosissima. Quante altre donne Eco ci sono state e ci sono, innamorate di Narciso? Invisibili, inascoltate, prive di una voce intatta... Così come Narciso non vede Eco, il principe non ode la voce della sirena: accomuna entrambi un’incapacità di stabilire un vero contatto emozionale.

Le sirene sono creature leggendarie, antichissime. Possiedono una natura chimerica ma non sono sempre state entità acquatiche: in origine avevano busto di donna e zampe e piume di uccello, e con voce suadente incantavano i marinai per poi condurli alla follia e alla morte. Più tardi vennero associate ai culti funerari: si pensava indugiassero sulla soglia degli Inferi per consolare con la dolcezza del canto le anime dei defunti, e un loro simulacro proteggeva le tombe.

Soltanto nel medioevo si trasformarono in bellissime fanciulle dotate di una luccicante coda di pesce, simili alla misteriosa Melusina, che era per metà donna e per metà pesce, ma sulla terraferma sfoggiava una coda serpentina. Tutte queste creature, eternamente dimezzate, sembrano esprimere una scissione insanabile. Nel tempo sono state serpenti, pesci e uccelli: appartengono alla terra, all’acqua e all’aria.

      • [Foto: Il ponte delle Sirenette di Milano nella sua originale collocazione: oggi si trova al Parco Sempione]

Nella figura della nostra Sirenetta rivivono tutte le sue antenate: qui l’archeologo può condurre con una certa soddisfazione il suo lavoro di scavo e ricognizione. Ma è con la fiaba danese che questa creatura perde per la prima volta la natura di monstrum, grazie ai tratti che la rendono umana: ama, soffre, e per amore è pronta al sacrificio estremo.

L’antica scissione si manifesta nella sua profonda inquietudine: ogni sua decisione prevede una lacerazione del corpo e dell’anima. Forse l’immagine che la rappresenta al meglio è proprio quella che ci è più famigliare: intenta a scrutare l’orizzonte da uno scoglio, sospesa fra i due mondi. Fra mare e cielo.

Oggi siamo abituati a pensare a questa fiaba nella riscrittura edulcorata elaborata dalla Disney nel 1989. È ingiusto che l’ultima versione di un racconto debba essere quella che lo cristallizza e lo consegna alla memoria. Ingiusto e strano, quando tutta la ricchezza si raccoglie intorno alle radici. Il finale Disney risponde a un bisogno di rassicurazione attraverso un lieto fine, dimenticando che la potenza di questo racconto sta nel brivido tragico che riesce a trasmetterci. Andersen certamente voleva che ne rimanessimo turbati e commossi, che sostassimo nella sospensione di una domanda, di un dubbio, di una riflessione: non sempre abbiamo bisogno di tirare un sospiro di sollievo al termine di una storia.

      • [Foto: La Sirenetta, film Disney, 1989]

La poetica di questa fiaba sta infatti nella nostalgia struggente della protagonista, nel suo desiderio, nel suo dolore; nel lieto fine disneyano, tutto ciò che vi è di sublime e di metafisico viene svilito. Il finale di Andersen invece è coerente con la vena malinconica che attraversa tutto il racconto, ma gli restituisce anche un senso profondo. La Sirenetta scopre che se colpirà al cuore il giovane che ama potrà tornare nel mondo acquatico e vivere ancora per centinaia di anni: ma lei aveva fatto la sua scelta per amore, non per vendetta. Deciderà dunque di lasciarlo vivere, accettando di dissolversi in spuma marina, ma questa volta libera dall’attaccamento che è stato causa di tanta infelicità. Il suo non sarà un sacrificio di se stessa, ma un sacrificio per se stessa.

È solo a questo punto che, inaspettatamente, il suo corpo invece di sciogliersi in schiuma si fa leggero ed etereo, trasformandola in una figlia dell’aria, come la ninfa Eco, come la sibilla cumana. Questo è il vero riscatto, il sorprendente lieto fine: anche lei potrà avere un giorno un’anima, ma la ricompensa non sarà subordinata all’amore di un uomo.


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