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> GUARIRE LA NOSTRA TERRA --- Valutare bene la posta in gioco. Saper ascoltare il silenzio degli intellettuali (di Jean-Luc Nancy)

mercoledì 30 settembre 2015

Radio Kapital: Jean-Luc Nancy

Saper ascoltare il silenzio degli intellettuali

di Jean-Luc Nancy

-  (trad.effeffe)

Ci rammarichiamo della scomparsa degli intellettuali organici della Repubblica, in grado di dire il giusto, il buono e il vero - anche se a volte criticando la stessa Repubblica. Deploriamo che al loro posto riecheggino bagliori sospetti, derive mal identificate e battage a tutto spiano, dispensatore di prediche ad ogni grado. Genera dibattito, foto, fa rumore. Ma non bisogna farsi indurre in errore. Bisogna ascoltare il silenzio e guardare quanto non si mostri.

Ci sono tanti intellettuali - per meglio dire: persone che pensano - alle prese con cose più serie dei proclami ripetuti delle certezze acquisite. Ce ne sono molti più di quanto non si pensi, alcuni noti, altri meno o per nulla: tutti quelli per cui le vere questioni contano più della firma ( il benedetto nome!) in calce agli articoli o petizioni. Non v’è dubbio che a volte bisogna riaffermare delle cose evidenti che paiono offuscate per alcuni, mentre per altri sembrano ripetitive: bisogna ( per quel che significhi “bisogna”) dare asilo ai rifugiati, che la loro fuga è causata dalle convulsioni di un mondo che non protegge più nulla dai propri appetiti più feroci, e di conseguenza dalle proprie devastazioni, e che dare rifugio significherebbe anche accogliere le questioni che vengono con il disastro ambulante.

Però bisogna innanzitutto valutare bene la posta in gioco. Non si tratta di un po’ più o un po’ meno di sovranità, d’Europa, di umanismo e di fratellanza. Si tratta di questo, del fatto che ognuna di queste parole, una per una, e di molte altre dopo di esse, non abbiano più alcun significato intelligibile. Oppure che non abbiamo più l’intelligenza del loro senso. Noi, tutti noi, tutti coloro che pensano (che se ne compiacciano o meno, che lo sappiano o meno) e per primi quelli la cui qualità d’”intellettuale” deve mettersi al servizio del senso e delle condizioni in cui un senso è possibile o meno.

Anche il pensiero conosce migrazioni, esilii, mutamenti, tracolli, fughe e asili. La postura sicura di sé della soluzione è quella di colui che decide, non del pensatore. Ci devono essere certo delle persone che decidono- ci deve essere anche chi sia in grado di criticarli. Ma non bisogna far passare come decisioni possibili vecchi significati che non sappiamo più argomentare - tanto “umanismo” che ” sovranità” o “popolo” o perfino “politica”.

Alcuni lo hanno detto e lo hanno scritto ormai sono molti anni: siamo entrati in un mutamento di civiltà. Vale a dire di questa civiltà occidentale diventata l’armatura globale di un’espansione tecnica e ideologica a cui si oppongono, nient’altro che i furori generati dallo sconvolgimento globale. È con questo che dobbiamo fare i conti: con un mondo che sei secoli di progresso hanno fatto crescere al punto che ogni crescita raggiunge: il punto di apoplessia o obsolescenza.

Altre civiltà ci sono passate. Maya, Ittiti, Micenei, Romani, Mongoli, molti altri hanno vissuto gli orrori della decomposizione e dello smarrimento. Le loro forze profonde hanno subito una metamorfosi. Questi mutamenti sono così ampi e lunghi che non si potranno cogliere che a posteriori. Ma è possibile, è necessario pensare a partire da questo orizzonte o prospettiva.

Il che non impedisce di pensare al presente. Al contrario. Questo offre per esempio ottime ragioni per vedere nei rifugiati dei messaggeri non solo di crisi e di guerra, ma anche e soprattutto di storia, della nostra storia, di quel che accade a noi e spinge noi stessi in una migrazione silenziosa, attiva e vigilante.


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