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sabato 11 gennaio 2014

E Gesù disse: non cancello la Toràh

di Marco Cassuto Morselli (Corriere della Sera, 10 gennaio 2014)

Caro direttore,

cinquanta anni fa lasciavano questo mondo due persone che hanno avuto un ruolo di fondamentale importanza nel rinnovare le relazioni tra ebrei e cristiani: Jules Isaac (1877-1963) e Giovanni XXIII (1881-1963).

Nel giorno di Pentecoste del 1960, nella Basilica di San Pietro Giovanni XXIII annuncia la creazione di un Segretariato per l’unità dei cristiani. Una settimana dopo riceve in udienza Jules Isaac, autore di uno dei grandi libri del Novecento (Gesù e Israele, Marietti 2001) e principale ispiratore della creazione dell’Amitié Judéo-Chrétienne de France. È solo dopo tale incontro che papa Giovanni decide che il Concilio si sarebbe occupato delle relazioni con gli ebrei.

Due giorni dopo, Jules Isaac si reca a parlare con il cardinale Augustin Bea, il quale riceverà l’incarico di seguire l’iter di un documento che dopo diverse traversie verrà approvato dal Concilio nel 1965: la dichiarazione Nostra Aetate.

Rivedendo il suo rapporto con Israele, la Chiesa cattolica si apre al dialogo con le altre religioni: l’Induismo, il Buddhismo, l’Islam, «anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero». Il dialogo ebraico-cristiano scaturisce dall’approfondimento del dialogo ecumenico e dà inizio al dialogo interreligioso.

L’ebraismo è vita nella Toràh. Ma che cos’è la Toràh ? Il termine significa insegnamento, e designa in primo luogo cinque libri, il Pentateuco: In principio/Genesi , Nomi/Esodo , Chiamò/Levitico , Numeri/Nel deserto , Deuteronomio/Parole . A questi libri vanno aggiunti i libri dei Profeti e gli Agiografi. Se eliminiamo la divisione in libri, capitoli e versetti, abbiamo 304.805 lettere/numeri che possono essere studiati anche da un punto di vista strettamente matematico.

Occorre però tenere presente che non vi è solo la Toràh scritta, vi è anche la Toràh orale, che precede e accompagna la Toràh scritta. In una situazione di estremo pericolo per l’esistenza stessa del popolo ebraico - mi riferisco a quelle che i Romani chiamarono la I e la II Guerra Giudaica - la Toràh orale venne messa per iscritto, e abbiamo così la Mishnàh . I commenti alla Mishnàh costituiscono il Talmùd .

Elie Wiesel ha definito il Talmùd «un oceano vasto, turbolento eppure confortante, che suggerisce l’infinita dimensione dell’esistenza e l’amore per la vita, oltre che il mistero della morte e dell’istante che la precede». Il Talmùd fa parte della storia degli ebrei da millenni, se consideriamo la sua storia dalle tradizioni orali alla Mishnàh , alla discussione della Mishnàh , al Talmùd orale, al Talmùd manoscritto, poi stampato, poi su Internet. Nelle sue discussioni, il qui e l’ora sono intimamente connessi con altri tempi e altri luoghi, i Maestri del I secolo discutono con i Maestri del XXI secolo, i Rabbini babilonesi con quelli francesi. Più che un libro, è un approccio all’esistenza, nel quale la ricerca e la discussione collegano le realtà di questo mondo alle realtà del mondo a venire.

Abbiamo poi il Midràsh : il termine deriva da daràsh , ricercare. Vi sono moltissimi punti oscuri nella Bibbia, incomprensibili senza il riferimento a una tradizione esegetica che precede, accompagna e segue il testo. La Qabbalàh è la mistica ebraica. La realtà è un’unità in cui il visibile e l’invisibile, la materia e lo spirito si compenetrano. Il progressivo disvelamento della Qabbalàh ha valenze escatologiche.

Nell’anno 1240, corrispondente all’anno 5000 nella datazione ebraica, ha avuto inizio il sesto millennio, e ha fatto la sua comparsa lo Zohàr , il principale testo cabbalistico.

Siamo ora nell’anno 5774.

Qual è il rapporto tra Yeshùa/Gesù e la Toràh ? Egli è venuto ad abolirla o a diffonderla nella sua pienezza? «Non pensiate che io sia venuto ad abolire la Toràh e i Profeti. Non sono venuto ad abolirli ma a diffonderli nella loro pienezza. In verità infatti vi dico che finché non passeranno i cieli e la terra, neppure una yod (la più piccola delle lettere dell’alfabeto ebraico.nda) o un taam (un segno che aiuta nella lettura del testo) saranno cancellati dalla Toràh, fino al compimento di tutte le cose. Perciò chi scioglierà il più piccolo dei precetti e insegnerà così agli uomini, sarà il più piccolo nel Regno dei cieli chi invece le farà e le insegnerà sarà chiamato grande nel Regno dei cieli» (Mt 5,17-19).

Se accostiamo queste parole a quelle di un maestro di una generazione precedente a quella di Yeshùa, Hillèl, che era solito dire: «Sii dei discepoli di Aharòn, uno che ama la pace e la ricerca, ama le creature e le avvicina alla Toràh » (Pirqé Avot 1,12), ci accorgiamo di quanto esse siano concordi: a quel tempo lo scisma tra ebraismo e cristianesimo non era ancora avvenuto.

Un grande maestro dell’ebraismo italiano, Rav Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900), pensava che proprio la Toràh ha il potere di sanare la divisione tra Israele e l’umanità.

* Presidente dell’Amicizia ebraico-cristiana di Roma


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