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sabato 12 gennaio 2013

IL MONDO NATURALE

La meraviglia

Tenendo presente l’immagine della Terra vista dallo spazio, consideriamo quattro aspetti di questo pianeta e il suo posto nell’universo.

-  Primo, l’universo è antichissimo. In termini di miliardi di anni, i numeri chiave sono il 14, il 5 e il 4. L’universo ebbe origine con un’esplosione originaria chiamata, in modo piuttosto prosaico, Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa (più precisamente 13 miliardi e 700 milioni di anni fa, secondo l’attuale consenso scientifico). Dalla deflagrazione di quell’istante fino a oggi l’universo ha continuato a espandersi, mentre le galassie e le loro stelle nascevano e morivano. Il nostro sole e i suoi pianeti fecero la loro comparsa circa 5 miliardi di anni fa, prodotti dall’aggregazione del pulviscolo e dei gas liberati dalle precedenti generazioni di stelle esplose nei loro spasmi di agonia. Sul pianeta Terra, circa 4 miliardi di anni fa, ebbe luogo una nuova esplosione, la vita, affacciatasi nelle comunità di organismi monocellulari delle profondità dei mari primordiali ed evolutasi nel milione e più di specie oggi esistenti. Nel suo libro I draghi dell’Eden, Carl Sagan utilizza la scansione di un anno per rappresentare la sequenza degli eventi. Se il Big Bang è avvenuto a Capodanno, il nostro sole e i pianeti sono nati il 9 settembre. La vita sulla Terra ha avuto origine il 25 settembre e i primi esseri umani hanno fatto la loro comparsa il 31 dicembre alle 22,30. (...). Noi esseri umani siamo i neonati dell’universo, quelli appena arrivati.

-  Secondo, l’immensità dell’universo è inimmaginabile. Ci sono più di cento miliardi di galassie, ciascuna con miliardi di stelle, e non si sa quante lune e pianeti, e tutta questa materia visibile e udibile è solo un frammento della materia dell’universo che, non essendo conosciuta fino in fondo, è detta “oscura”. La Terra è un piccolo pianeta che orbita intorno a una stella di media grandezza nei pressi dell’estremità di una galassia a spirale. Siamo solo un granellino.

-  Terzo, l’universo è completamente interconnesso, tutto è in qualche modo in relazione con tutto il resto. A proposito del colore rosso del sangue, ad esempio, lo scienziato-teologo inglese Arthur Peacocke scrisse: «Ogni atomo di ferro nell’emoglobina del nostro sangue non sarebbe lì se non fosse stato prodotto in una qualche esplosione galattica miliardi di anni fa e se alla fine non si fosse condensato per formare il ferro della crosta terrestre dal quale siamo nati noi». Gli esseri umani e tutte le creature di questo pianeta sono fatti, letteralmente, di polvere di stelle. La storia dell’evoluzione biologica, inoltre, evidenzia che noi umani condividiamo con tutte le altre creature viventi un patrimonio genetico comune che risale agli organismi monocellulari primordiali dei mari antichi. Batteri, pini, mirtilli, cavalli, le imponenti balene grigie: nella grande comunità della vita siamo tutti parenti. (...).

-  Quarto, l’universo è profondamente dinamico. Anche mentre leggete queste parole, si sta formando nuovo spazio, dal momento che l’universo continua a espandersi. Le galassie ruotano attorno al loro buco nero centrale; il nostro pianeta compie ogni anno un giro attorno alla nostra stella e ruota ogni giorno intorno al proprio asse; intere specie nascono, crescono e muoiono, così come accade agli individui il cui tempo disegna un arco dalla nascita alla morte. La natura in sé è storica.

Questo dinamismo spiega anche la comparsa della specie umana. Dall’evoluzione del ciclo vitale degli organismi monocellulari fluì una corrente vitale in progressione: creature che vivono in conchiglie, pesci, anfibi, rettili, insetti, fiori, uccelli e mammiferi, tra i quali ebbero origine gli esseri umani, noi primati il cui cervello è strutturato in modo così complesso da consentirci di sperimentare coscienza introspettiva e libertà o, detto in termini intelletto e volontà. La materia, eccitata di energia, evolve nella vita, poi nella coscienza, poi nello spirito (dal sassolino alla pesca, al barboncino, alla persona). Il pensiero e l’amore umano non sono stati iniettati nell’universo dall’esterno, ma rappresentano lo sbocciare in noi di energie profondamente cosmiche, suscitate dal dinamismo propriamente fisico del cosmo, che è già autorganizzato e creativo. In questa epopea, gli umani non sono alieni atterrati in uno strano mondo materiale, ma parte integrante di una storia in evoluzione. Secondo la suggestiva definizione di Sallie McFague, siamo «terricoli», creature che appartengono a questo luogo. Le nostre aspirazioni personali e la nostra creatività culturale racchiudono la vitalità energetica del cosmo stesso; la nostra piccola pepita di tempo storico concentra in sé l’impresa impetuosa ed eccitante in corso nella natura stessa. Tutto questo ci rende distinti ma non separati, un unico filo nel cosmo, ma al tempo stesso un filo del cosmo.

Da un lato, lo stupore. Dall’altro, invece, l’angoscia, perché questa storia è entrata in un nuovo capitolo che costituisce una minaccia per il pianeta che è la nostra casa.

Lo spreco

Noi umani stiamo danneggiando in modo irreversibile e a un ritmo sempre più accelerato il nostro pianeta, mettendo a rischio la sua identità di luogo dove risiede la vita. Sovraconsumo, riproduzione incontrollata, sfruttamento selvaggio delle risorse, aumento spropositato dell’inquinamento stanno rapidamente impoverendo i sistemi vitali di terra, mare e aria. Ogni anno, ad esempio, il 20% della popolazione della Terra che vive nelle nazioni ricche utilizza il 75% delle risorse mondiali e produce l’80% dei rifiuti di tutto il mondo. Un caso esemplare: Chicago, con 3 milioni di abitanti, consuma in un anno tanta materia prima quanto il Bangladesh, che ha una popolazione di 97 milioni. Questo sovraconsumo è il frutto di un’economia che deve costantemente crescere per continuare a esistere. (...). Altro esempio: nel 1950 la popolazione mondiale ammontava a due miliardi di persone. All’inizio del nuovo millennio eravamo sei miliardi. Se le previsioni si realizzeranno, nel 2030 ci saranno 10 miliardi di persone sul pianeta. Chi, nato nel 1950, arriverà a ottant’anni, avrà visto la popolazione umana mondiale quintuplicata nel corso della sua vita. Per tradurre queste statistiche in un’immagine più immediata, ogni sessanta giorni si aggiunge una nuova Città del Messico; ogni anno, nel pianeta, c’è un nuovo Brasile.

La capacità di carico della Terra si sta esaurendo per colpa di questo uso che ne fa l’essere umano; la nostra specie consuma risorse in tempi più rapidi di quelli che il pianeta impiega per reintegrarle. L’aggressione al pianeta, voluta o meno, causa un danno ecologico di proporzioni enormi. La terribile litania è nota: riscaldamento globale, buchi nello strato di ozono, deforestazione, prosciugamento delle zone paludose, impoverimento del suolo, inquinamento dell’aria, avvelenamento dei fiumi, collasso della pesca negli oceani e, soprattutto, la minaccia di una conflagrazione nucleare. Il dato scioccante è che la conseguenza della diffusa distruzione degli ecosistemi è l’estinzione delle specie vegetali e animali che vivono in questi habitat. Il nostro è un tempo di grande agonia. Secondo stime prudenti, nell’ultimo quarto del XX secolo si è estinto il 10% delle specie. Quando questi esseri viventi, questi magnifici animali o piccole piante si estinguono, non tornano più. Stiamo cancellando il futuro di creature come noi, che si sono evolute nel corso di milioni di anni. La loro scomparsa è un primo segnale di avvertimento della morte del pianeta come luogo vitale. (...).

Il quadro s’incupisce quando prendiamo in esame la profonda connessione tra ingiustizia sociale e devastazione ecologica. I poveri patiscono in modo sproporzionato le conseguenze dell’impoverimento ambientale: devastazione delle popolazioni e devastazione della terra dalla quale la loro vita dipende procedono di pari passo. (...).

Quando si comincia a pensare a Dio in relazione a questo mondo, lo stupefacente mondo naturale che suscita in noi meraviglia ma che viene distrutto dal nostro spreco, ci si presenta un approccio totalmente nuovo. Anticamente, la concezione più elementare del mondo sosteneva che fosse stato creato in principio e che fosse un’entità statica; l’attività di Dio sarebbe consistita in primo luogo nel conservare ciò che era stato già creato. Adesso che comprendiamo che il mondo è in divenire, che grazie all’evoluzione e ad altri processi nascono elementi del tutto nuovi, sono necessarie idee inedite sulla presenza e sull’azione divina. Finora esse sono state centrate sullo Spirito di Dio, chiamato Spirito Creatore nel grande inno medievale Veni, Creator Spiritus. Innestando l’esperienza rivelata di un Dio personale in un assetto cosmologico in espansione, l’ecoteologia, completamente pervasa dal tema della giustizia sociale e da prospettive ecofemministe, sonda un’altra nuova frontiera.

LA PRESENZA DI DIO

Il lavoro sull’idea dello Spirito Creatore pone in primo piano la convinzione che il mondo sia pervaso dalla presenza e dall’azione di Dio e che, quindi, il mondo naturale sia il luogo in cui Dio dimora. Questa presenza divina può essere esaminata in base a tre principi: è costante; è caratterizzata dal modello della croce; è sempre presente come promessa.

Una presenza costante

Al termine del suo celebre libro Dal Big Bang ai buchi neri, il fisico Stephen Hawking si pone il famoso interrogativo: «Che cos’è che infonde vita alle equazioni e che crea un universo che possa essere descritto da esse?». Da ateo convinto, lascia aperta la questione. La fede biblica offre una diversa opzione, osando credere che sia proprio lo Spirito di Dio a infondere vita alle equazioni, facendo nascere così questo universo esuberante. Il mistero del Dio vivente, del tutto trascendente, è anche la potenza creatrice presente nel cuore del mondo, che lo sostiene in ogni fase della sua evoluzione.

Il modello intellettuale che consente di interpretare nel modo più comprensibile questa presenza è il panenteismo (tutto in Dio). Negli ultimi secoli la teologia si è servita soprattutto del modello del teismo, secondo il quale Dio è al vertice della gerarchia dell’essere, insistendo sulla differenza e sulla distanza di Dio rispetto al mondo e prestando ben poca attenzione alla sua prossimità. Il modello opposto è quello del panteismo (tutto è Dio), che cancella la differenza tra creato e increato, facendo sprofondare Dio e il mondo l’uno nell’altro. A differenza di quest’ultimo modello, il panenteismo individua una relazione in cui tutto risiede in Dio, che a sua volta tutto circonda, poiché «è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6). Ciò che ne consegue è una reciprocità nella presenza, della quale il corpo della donna incinta offre un’ottima metafora. (...).

Alla luce di questa costante presenza divina, il mondo naturale, invece di essere scisso da ciò che è sacro, assume un carattere sacramentale. (...). La materia porta il segno del sacro e ha essa stessa uno splendore spirituale. A sua volta, la presenza divina viene mediata a livello sacramentale all’interno e per mezzo del mondo nella sua concretezza, non necessariamente né in modo assoluto, ma misericordiosamente e in modo reale.

Lo Spirito di Dio in noi si muove al di sopra del vuoto, respira nel caos, accelera, riscalda, libera, benedice e crea continuamente il mondo, rendendo possibile il suo progresso evolutivo. Riconducendo, così, lo Spirito all’interno del quadro, l’ecoteologia colloca Dio non al culmine della piramide dell’essere - o più in alto ancora - come nel teismo moderno, ma dentro e intorno al cerchio della vita che nasce, lotta, vive, muore e si rinnova, e all’universo intero.

IL MODELLO DELLA CROCE

C’è, tuttavia, molto altro da dire. Perché il mondo naturale non è solo meraviglioso nelle sue armonie, ma ci mostra anche un volto implacabilmente violento e sanguinario, pieno di sofferenza e di morte. La corporeità di ogni creatura vivente esige che questa si cibi di altre creature, che siano animali o piante. Predazione e morte fanno inevitabilmente parte del modello della vita biologica. Su grande scala, la storia della vita dipende dalla morte: senza di essa, non vi sarebbe uno sviluppo evolutivo di generazione in generazione. Dov’è Dio, in questo scenario di sofferenza e di morte che dura da milioni di millenni? La tentazione di negare la violenza e di rifugiarsi in una visione romantica del mondo naturale è forte. Ma esiste un’altra possibilità, quella, cioè, di affrontare il dolore e di interpretarlo alla luce del Vangelo.

Coloro che credono che Gesù è la Sapienza di Dio incarnata considerano la sua vita e il suo destino la lente per antonomasia attraverso cui interpretare la natura del Dio vivente, non in modo esauriente, giacché il mistero rimane, ma in modo autentico. Che cosa cogliamo attraverso questa lente? Se parliamo della relazione di Dio con gli esseri umani, cogliamo un amore misericordioso che non conosce limiti. Il ministero di Gesù, con cui egli continuamente guarisce, esorcizza, dà da mangiare, perdona e predica il regno di Dio, ha reso l’amore di Dio concretamente accessibile a tutti, soprattutto agli emarginati. La sua ingiusta esecuzione sulla croce ha stabilito un legame profondo tra la compassione di Dio e la colpevolezza di questo mondo, pieno di penosa sofferenza e di morte terrificante. La sua resurrezione rivela che lo Spirito di Dio, penetrando queste profondità, dischiude la promessa di una nuova vita attraverso e oltre la morte. (...).

Il fatto di vedere nel Dio vivente il Creatore non solo degli esseri umani, ma del mondo intero del quale noi umani siamo parte, autorizza l’ecoteologia ad attraversare il confine tra le specie e a estendere questa solidarietà divina a tutte le creature. Essa avanza l’ipotesi che lo Spirito Creatore sia empaticamente solidale con ogni essere vivente che soffre, dai dinosauri spazzati via da un asteroide al piccolo impala divorato da una leonessa. (...). Il grido d’aiuto della natura trova risposta nello Spirito, che geme con le doglie del parto di tutta la creazione, nel dare alla luce il nuovo (Rm 8,22). In questo modo il modello della croce e della resurrezione viene riscoperto su scala cosmica.

Sempre presente come una promessa

Il resoconto scientifico del cosmo in espansione e dell’evoluzione della vita su questo pianeta fa comprendere che l’universo, anziché essere un fenomeno dotato di stabilità, può essere oggi descritto soltanto nei termini di un’avventura dal finale aperto. All’inizio si trattava di un mare omogeneo di radiazioni. Lungi dal rimanere a uno stadio molecolare, l’universo si è evoluto, nel tempo, in modo affascinante emergendo in una varietà sempre più elaborata di forme via via più complesse e meravigliose. Alcuni biologi, come Stephen Jay Gould, suggeriscono di non interpretare questa storia come un percorso necessariamente dotato di una direzione precisa, lineare, dal Big Bang all’umanità. La storia della vita è simile, piuttosto, a un arbusto pieno di rami; l’umanità ne rappresenta un giovane ramoscello. Pur accettando questa considerazione, Peacocke e altri affermano che, poiché è vero che l’universo, nel suo complesso, ha seguito, fin dalle sue origini cosmiche, una certa direzione, è naturale che tenda a una sempre maggiore complessità, bellezza e novità, pur nella coerenza. Sul lungo termine, possiamo constatare che sin dall’inizio l’universo è stato seminato di promesse, gravido di sorpresa. È normale che dal “meno” venga il “più”. (...).

Questa vastità indefinita di fenomeni naturali pone il mondo esattamente all’interno dei parametri della fede biblica. Questa fede, infatti, incontra sempre un Dio della promessa che si avvicina dal futuro con l’invito a “venire avanti”. Dall’esortazione ad Abramo a partire per una nuova terra, suggellata dal dono sorprendente di un figlio per lui e Sara, anziani e sterili, all’invito al popolo ebraico in schiavitù a uscire dall’Egitto, ormai libero, all’incarico conferito alle discepole di Gesù che si trovavano presso la tomba vuota di andare e raccontare la buona novella della resurrezione: la presenza di Dio nella storia umana è foriera di continue sorprese.

Riflettendo sulla vicenda evolutiva del mondo insieme a queste storie di fede, la teologia propone di interpretare lo Spirito Creatore come fonte generosa del nuovo non solo per gli esseri umani, ma anche per il mondo naturale nel suo insieme. Dimorando nel mondo con potenza creatrice, lo Spirito lo avvia verso una grande avventura, ordinando al Big Bang: «Vai, diventa, esplora, dai alla luce il nuovo, perché di più è ancora possibile. E io sarò con te». (...). Il Dio vivente che sempre nasce è presente nel mondo nel modo più intimo, sotto forma di una promessa: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5).

Insomma, l’ecoteologia suggerisce che lo Spirito Creatore abita nel cuore del mondo naturale, dando energia dall’interno alla sua evoluzione con la propria benevolenza, sorreggendo in modo compassionevole tutte le sue creature nella loro finitezza e nella loro morte e sospingendo il mondo verso un futuro inimmaginabile. (...).

[continua]


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