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RICERCHE LOGICO-FILOSOFICHE (E POLITICHE), NELLA SCIA DI KANT (NON DI HEGEL, NON DI DEWEY, E NON DI HEIDEGGER). "L’Io è il mistero profondo", "e non dell’io in senso psicologico"(L. W., Quaderni 1914-1916).

WITTGENSTEIN E "IL MISTERO PROFONDO": UNA QUESTIONE TUTTA DA RIAPRIRE, SUL FILO DELL’ARCHIVIO RITROVATO. Ne parla Arthur Gibson. Un resoconto di Riccardo Staglianò - a c. di Federico La Sala

Prima ha cambiato la storia del pensiero sostenendo di aver trovato la soluzione ultima. Poi l’ha cambiata dicendo il contrario. a sessant’anni dalla morte, a Cambridge salta fuori un baule di scritti che potrebbero cambiare tutto un’altra volta
venerdì 3 giugno 2011 di Federico La Sala
[...] Spiega Gibson: «Da quest’archivio si capiscono cose che illuminano meglio anche scritti successivi. Che la verità per lui non è auto-evidente. Anzi, ciò che sappiamo spesso ci confonde sulla nostra reale ignoranza. Un po’ come illudersi che conoscere le previsioni del tempo per oggi ci dica qualcosa su come sarà tra un mese. E ancora, pur abbandonando l’idea della filosofia come sistema, è come se volesse ricomporre le due parti del suo pensiero. Nelle profondità dell’uso ordinario (...)

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> WITTGENSTEIN E "IL MISTERO PROFONDO" ---- Perché il filosofo, ad un certo punto, si mette a disegnare? I “cartigli” di Carlo Sini (di Rocco Ronchi).

sabato 10 aprile 2021

      • continuazione e fine

I “cartigli” di Carlo Sini

di Rocco Ronchi (Doppiozero, 01 aprile 2021)

      • [...]

È dunque l’insonne attività del cogito quella che viene incessantemente mappata nei cartigli siniani. È la sua trascendenza o eccedenza rispetto a tutto quanto è dato a costituire il solo evento, un evento che è sempre il medesimo e che è sempre mancato nei “significati” del sapere, un “errore” che è però al tempo stesso feconda relazione al vero. La scrittura filosofica, scriveva Sini nel 1997, «si esterna in mappe che sono fogli-mondo allusivi di un foglio-mondo impossibile e nondimeno “cercato”: fogli impossibili da marginare e da scrivere correttamente. La scrittura filosofica è così un’opera che non basta a se stessa e che ogni volta allude ad una costitutiva “assenza d’opera”: atto mancato» (Teoria e pratica..., p, 225).

È convinzione di Sini e dei suoi compagni di avventura che su questa base sia possibile riaprire il dialogo tanto auspicato tra le scienze e la filosofia. Quelle “usano” il mondo generando degli oggetti teorici, di cui perdono di vista la “relatività”, questa produce una comprensione di quell’uso, riferendolo, in ultima analisi, ad un soggetto trascendentale sempre in atto. La filosofia è così molto più di una teoria o di una teoria delle teorie: è una trasformazione etica che rende il soggetto del sapere consapevole delle sue pratiche strappandolo alla superstizione di cui sarebbe invece vittima lo scienziato ingenuo che è soggetto, nel senso di “subordinato”, al sapere, che è agito irriflessivamente dalla sua pratica.
-  Mi sia concesso, in conclusione, di sollevare un dubbio circa questa soluzione elegante e, direi, straordinariamente “classica”, condivisa, per altro, seppure con “modi” differenti, dalla migliore filosofia teoretica italiana contemporanea (penso ad Agamben, ad esempio). Tralasciando la questione veramente spinosa di che cosa comporti questo guadagno di consapevolezza per la pratica scientifica reale (io, temo, nulla), essa sembra legare definitivamente il destino del pensiero pensante a quello della riflessione. Stando al modello della pittura di paesaggio (autoritratto e “autobiografia”), se ne dovrà infatti concludere che sul cartiglio ci sarà tutto ciò che ci può essere tranne il gesto che lo inaugura (“costitutiva assenza d’opera: atto mancato”). Ne risulta che, se applichiamo quel modello all’esperienza, l’esperienza si risolverà in un gioco di scatole cinesi rispetto al quale il soggetto si pone sempre in eccesso come una sorta di cornice irraffigurabile sempre presupposta. Wittgenstein e Lacan hanno utilizzato proprio l’esempio dalla pittura di paesaggio e/o dell’autoritratto per esemplificare l’impossibilità di principio per il soggetto di presentarsi nel quadro.

Ora, questa conclusione è ineccepibile sul piano della riflessione, vale a dire quando l’esperienza è rifratta nel prisma del dire predicativo, quando è passata al vaglio dell’analisi imposta dalla tecnologia alfabetica. “Logicamente” le cose stanno proprio così, inutile negarlo: la filosofia, che come “atto compiuto” è una gigantesca superstizione, la superstizione dell’Assoluto, è nel vero solo se praticata come “atto mancato”. Ma, mi chiedo, facendo appello a un’altra “linea” del pensiero alla quale sono stato introdotto proprio dal magistero di Carlo Sini, perché mai l’esperienza non possa essere in se stessa consistente, perché invece di essere sospesa a un soggetto assente, non possa essere lei stessa il soggetto, senza residui di sorta. Perché, tornando all’esempio paradigmatico della pittura di paesaggio, l’informe delle ninfee o delle marine deve funzionare come traccia, rinvio, allusione a una “costitutiva assenza d’opera”, e non essere quello che sicuramente era per Monet o Turner: una perfetta, cioè non mancante di nulla, impressione di luce? E lo stesso non può allora valere anche per l’agire ingenuo dello scienziato che “usa” il mondo senza “comprenderlo” riflessivamente?


NOTE. Sul tema, nel sito, si cfr.:

L’EUROPA, LE "REGOLE DEL GIOCO" DELL’OCCIDENTE, E LA LEZIONE DI NIETZSCHE [1991].

HUSSERL CONTRO L’HOMUNCULUS: LA ’LEZIONE’ DI ENZO PACI AI METAFISICI VISIONARI (ATEI E DEVOTI) DI IERI (E DI OGGI). Una ’traccia’ dal "Diario fenomenologico")

"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. Relazioni chiasmatiche e civiltà. Lettera da ‘Johannesburg’ a Primo Moroni (in memoriam) [2000].

FLS


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