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UOMINI E DONNE, PROFETI E SIBILLE, OGGI: STORIA DELLE IDEE E DELLE IMMAGINI. A CONTURSI TERME (SALERNO), IN EREDITA’, L’ULTIMO MESSAGGIO DELL’ECUMENISMO RINASCIMENTALE .....

RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE. Sul tema, la prefazione di Fulvio Papi e parte della premessa del lavoro di Federico La Sala

Le Sibille di Contursi hanno parentele più celebri nella Cattedrale di Siena, nell’appartamento Borgia in Vaticano, nel Tempio Malatestiano di Rimini, nella Cappella Sistina di Michelangelo. La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale (...)
martedì 9 aprile 2013
TONDO DONI. Attenzione: nella cornice "raffigurate la testa di Cristo e quelle di quattro profeti" (Galleria degli Uffizi)? Ma, per Michelangelo, non sono due profeti e due sibille?!

[...] La pittura disegna l’ eclettismo ermetico-cabalistico-neoplatonico rinascimentale che colloca la filosofia e la teologia pagana in sequenza con il Cristianesimo. Ne deriva un’immagine del mondo come presenza divina nella quale abita l’uomo cóme unità di corpo (...)

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> RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE. ---- Religione, cultura e potere dal Rinascimento alla Controriforma. E la Chiesa censurò il «Fato» (di Massimo Firpo)

martedì 17 aprile 2012

E la Chiesa censurò il «Fato»

di Massimo Firpo (Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2012)

Quando Michelangelo, dopo quattro anni di massacrante lavoro, portò a termine la volta della cappella Sistina, sul trono papale sedeva Giulio II (Giuliano della Rovere, 1443-1513, papa dal 1503), impegnato a guidare i suoi eserciti nel carnaio delle guerre d’Italia, con il loro seguito di carestie, pestilenze, saccheggi, violenze d’ogni sorta. Lungi dal liberarla dai barbari - come papa Della Rovere auspicava - quelle guerre avrebbero cancellato l’autonomia delle sue piccole corti rinascimentali, ricche d’arte e di cultura ma militarmente impotenti di fronte ai poderosi eserciti dei grandi Stati in costruzione come la Spagna e la Francia, che ambivano a farsi padroni della penisola. Nel 1527 Roma stessa fu presa e messa a sacco, e Clemente VII (Giuliano de’ Medici, papa dal 1523 al 1534) poté solo rinchiudersi per otto mesi in Castel Sant’Angelo mentre i lanzi tedeschi scorazzavano nelle Stanze vaticane, dove qualcuno incise con la punta della lancia il nome di Lutero sugli affreschi di Raffaello.

Alla crisi politica si aggiunse infatti la crisi religiosa, con la Riforma protestante dilagante non solo in Germania e in tutta l’Europa del nord, ma anche in Svizzera, in Ungheria, in Polonia, in Inghilterra, nelle Fiandre e nella stessa Francia. La drammatica frattura della cristianità parve mettere in discussione l’esistenza stessa della Chiesa di Roma.

Alla metà degli anni 30 Michelangelo tornò a lavorare nella Sistina, ma questa volta per dipingervi sulla parete d’altare il Giudizio, voluto da Clemente VII in segno di penitenza, così come segno di penitenza fu la barba che il papa si fece crescere dopo il sacco e che i suoi successori avrebbero portato a lungo. Quel capolavoro fu scoperto nel 1541, e da allora i vicari di Cristo avrebbero celebrato la messa vedendo davanti a se la bocca dell’inferno. Di lì a poco Paolo III (Alessandro Farnese, papa dal 1534 a1 1545) convocò il concilio di Trento per fronteggiare le eresie che si diffondevano anche in Italia, si affacciavano nel sacro collegio e affioravano negli ultimi affreschi di Michelangelo nella cappella Paolina, finiti in gran fretta nel 1549 per ospitarvi il conclave che avrebbe visto il primo successo della neonata Inquisizione.

Dai pontificati di Alessandro VI e di Leone X a quelli di Pio V e di Sisto V, dall’età di Ludovico Ariosto e di Baldassar Castiglione, di Niccolò Machiavelli e di Pietro Bembo a quello di Torquato Tasso e di Giovanni Botero, di san Carlo Borromeo e di san Roberto Bellarmino - dal Rinascimento alla Controriforma insomma -, trasformazioni profonde investirono l’Italia, con conseguenze destinate a protrarsi fino a oggi, nelle strutture economiche e politiche, nell’identità culturale e religiosa, nel costume sociale.

Mentre il Mediterraneo perdeva la sua millenaria centralità economica a vantaggio dell’Atlantico, le grandi monarchie sviluppavano nuove strutture politiche e l’Italia restava sotto il controllo della feudalità meridionale o degli inamovibili patriziati centrosettentrionali. Fenomeni di aristocratizzazione sociale, teorizzati nelle pagine del Cortegiano di Baldassar Castiglione e del Galateo di Giovanni Della Casa (entrambi ecclesiastici), accompagnavano il crescente pauperismo di contadini affamati che si affollavano pericolosamente nelle città. Alla stagione dell’umanesimo e di un dilagante anticlericalismo (che traeva alimento da una Chiesa screditata e corrotta) succedeva quella della censura, della disciplina, dell’obbedienza, della repressione.

Fu in quei decenni che presero corpo non pochi elementi della "fede degli italiani" sulla quale ha più volte insistito Adriano Prosperi, e del loro disagio della libertà, secondo il titolo dell’ultimo libro di Corrado Augias. Al cuore di queste molteplici trasformazioni conducono gli studi di Gigliola Fragnito ora raccolti nel volume Cinquecento italiano. Religione, cultura e potere dal Rinascimento alla Controriforma, esito di uno scavo in più direzioni che restituisce con efficacia e rigore la grande complessità dei problemi che vi sono indagati. Ne emergono passaggi cruciali nella storia della Chiesa e con essa della società italiana, che molti manuali continuano a insegnare come incentrata sul concilio di Trento, senza coglierne anche la valenza ideologica di mito fondatore della cosiddetta riforma cattolica, che trovò invece nell’Inquisizione il suo strumento più efficace.

L’energica ripresa del papato postridentino, con il rapido mutare del ruolo del sacro collegio e delle corti cardinalizie nella Roma cinquecentesca, non tardò infatti a mettere a tacere ogni istanza di autonomia di un episcopato che il concilio aveva richiamato al dovere della residenza per valorizzarne l’impegno pastorale, ma poi depotenziato dal centralismo della curia romana, e dalle strutture preposte a un occhiuto controllo della vita religiosa.

Nei suoi primi decenni di vita, del resto, l’Inquisizione mirò soprattutto a stroncare il dissenso religioso penetrato ai vertici stessi della Chiesa, a combattere cioè ogni istanza di rinnovamento che non fosse quella fondata sul ripristino dell’ortodossia tomistica e del primato petrino, usando senza troppi scrupoli l’arma del sospetto ereticale per colpire i suoi avversari e impadronirsi in tal modo dei meccanismi dell’elezione papale.

Mentre si estinguevano le incoercibili ambizioni temporali e nepotistiche che segnarono il pontificato di Paolo III, il Sant’Ufficio divenne il canale privilegiato per la promozione delle carriere ecclesiastiche. Di qui, anche i persistenti conflitti tra Chiesa e Stato che inficiano la prospettiva di una loro sostanziale concordia nell’imporre quel "disciplinamento" sociale e politico in cui si è voluto vedere un elemento costitutivo del mondo moderno.

Al di là della baldanza apologetica e del compiacimento per le patrie glorie di chi ha voluto presentare l’Italia come un perenne faro di civiltà (artium studiorumque plena recita l’iscrizione sotto un trionfante trono papale posta in copertina del recente libro di Francesco Bruni, Italia. Vita e avventure di un’idea, il Mulino), quella svolta fu decisiva nel definire gli spazi di libertà, la sensibilità e l’identità stessa degli intellettuali.

Un occhiuto sistema censorio si instaurò allora in ogni parte della penisola, dove anche i poeti dovettero guardarsi non solo dall’evocare immagini lascive ma anche dall’usare parole come "fato", che poteva suonare come un’allusione alla dottrina della predestinazione.

Non solo i teologi, dunque, ma anche i letterati, gli scienziati, i filosofi furono censurati e inquisiti, come hanno mostrato gli studi della stessa Fragnito sugli Indici dei libri proibiti nel secondo ’500 e sulle loro conseguenze, a cominciare dall’assoluto divieto fatto ai laici di leggere una sola riga della Bibbia in volgare, presupposto del plurisecolare analfabetismo religioso degli italiani. Studi essenziali per capire 1’Italia moderna: sia l’antico e capillare ruolo non solo pastorale ma anche politico che vi esercita la Chiesa, sia le peculiari modalità di intendere e di vivere la propria fede in un paese più familiare con il clero e con le pratiche devozionali che con la parola di Dio.


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