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LA COSTITUZIONE, LE REGOLE DEL GIOCO, E IL MENTITORE ISTITUZIONALE . LA LUNGA E BRILLANTE CAMPAGNA DI GUERRA DEL CAVALIERE DI "FORZA ITALIA" CONTRO L’ITALIA(1994-2011)!!!

"PARLAR CHIARO" E NON ESSER CAPITI: "FACCIO CAUSA ALLO STATO"! Signor Presidente del Consiglio, "perché vuol fare causa allo Stato?". Ma devo ancora dirlo: chi è il "vero" Presidente della Repubblica?! Sono Io: "Forza Italia"! - ’Complimenti’ sig. Gaetano Azzariti, bello il pezzo sul "sovrano surreale"! - a cura di Federico La Sala

(...) Vista la nota propensione a raccontar barzellette del nostro Presidente del Consiglio si può pensare che si sia trattato solo di una malriuscita battuta di spirito. (...)
sabato 12 febbraio 2011 di Federico La Sala
[...] A noi non rimane che prendere sul serio quanto è stato detto. La dichiarazione è grave e inquietante perché tende a negare ogni autonomia ai poteri dello Stato, a quello giudiziario in particolare. Se si ha un minimo di rispetto per la divisione dei poteri (carattere fondativo della civiltà costituzionale moderna) si dovrebbe sapere che compete ai giudici l’esercizio della giurisdizione nei confronti di ogni soggetto di diritto, di ogni persona. La minaccia di «far causa» perché il (...)

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> "APRITE, APRITE": SONO IO IL VOSTRO "PAPI"! --- Il paradosso del Sultano (di Nadia Urbinati)

lunedì 14 febbraio 2011

L’ITALIA: UNA REPUBBLICA CON "DUE PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA": L’ISTITUZIONALIZZAZIONE della "LOGICA" del MENTITORE E IL PARADOSSO DEL SULTANO ...

NADIA URBINATI NON RIESCE A CAPIRE COME E PERCHE’ SIAMO DIVENTATI

-  UN "BORDELLO STATE": UN PAESE BORDELLO. .

TENUTO FUORI CAMPO IL PROBLEMA ISTITUZIONALE DEL "MENTITORE", RESTA TOTALMENTE ALL’OMBRA E IN BALIA DELLA "COSCIENZA" E DEL POTERE DEL "SULTANO"!.

      • "FARO’ CAUSA ALLO STATO!". Vi devo ancora dire chi è il "vero" Presidente della Repubblica?! Ma sono Io: "Forza ITALIA"!!!

-  L’ITALIA NELLO STALLO, IL "GOLPE MORALE", E IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (Federico La Sala)


Il paradosso del Sultano

di Nadia Urbinati (la Repubblica, 13.02.2011)

"Chiediamo insieme le dimissioni di Berlusconi". Con questo slogan le donne rompono il silenzio. E lo fanno in massa a Milano come a New York. Invitano gli uomini a schierarsi con loro, perché tutte e tutti sono stanchi dei continui attacchi alla Costituzione, alla giustizia, alla libera informazione e alla dignità delle donne e degli uomini. Stanchi degli abusi, dell’illegalità, del servilismo che contraddistinguono questa maggioranza. Soprattutto, le donne che manifestano dissipano ogni dubbio sull’insidiosa distinzione tra "donne reprobe" e "donne serie" che è stata da più parti ripetuta in queste settimane di protesta contro gli abusi contestati al premier. Questa distinzione è sbagliata. È il segno di una reale impotenza della cultura dell’opposizione etico-politica al regime del sultanato. È figlia dei paradossi che hanno segnato il successo egemonico di Berlusconi, costruito a partire dagli anni ’70 su un’interpretazione estrema, ma non opposta, della cultura individualista nell’età dei diritti. Mettere in moto una contestazione politica efficace quando l’oggetto è l’uso dei diritti è difficile ed insidioso. Su questa difficoltà e su questa insidia riposa tanto il successo di Berlusconi quanto la debolezza dell’opposizione. Vediamo di mettere in luce due di questi paradossi, quello legato alla morale trasgressiva e quello legato alla libertà.

Per tradizione, la cultura dell’opposizione di sinistra è stata cultura della trasgressione. Lo è stata per necessità, poiché la lotta per i diritti demolisce i sistemi gerarchici di potere. Lo è stata per il carattere peculiare della libertà, che alimenta il pensiero critico rispetto all’opinione dominante sui costumi e sui valori. In questo senso la cultura d’opposizione è stata ed è trasgressiva. In aggiunta, vi è l’aspetto generazionale poiché i movimenti per i diritti civili sono anche portatori di svecchiamento culturale e politico. E poi, questi movimenti si traducono in richiesta di eguaglianza di rispetto e quindi riscrivono i ruoli famigliari e sociali: giovani e donne sono stati e sono alleati naturali nelle lotte per la libertà. Negli anni del dopoguerra alla cultura morale dell’anti-autoritarismo è corrisposto un modello di vita libero e trasgressivo: le relazioni sentimentali e sessuali nel mondo variegato della sinistra, istituzionale o di movimento, erano tutto fuorchè tradizionali. La libertá sessuale non è stata soltanto una conseguenza possibile di diritti conclamati, ma prima ancora un modo di vivere l’intimitá con l’altro e con la sessualitá. Insomma, la cultura di chi ha lottato per i diritti civili è stata una cultura della trasgressione e dell’opposizione insieme.

Il paradosso dell’Italia di oggi è che il premier occupa lo spazio della trasgressione, costringendo l’opposizione nel ruolo impossibile del conservatorismo. Ecco perché la distinzione tra donne brave e donne reprobe è segno di un atteggiamento che incarta e sconvolge la nostra cultura liberale e democratica. Si tratta di una distinzione che non dovremmo fare, non soltanto per non cadere nella trappola tesa dal premier. C’è una ragione ulteriore: difendere i diritti, volere i diritti significa necessariamente credere che ciascuno sia autonomo e responsabile delle proprie scelte, piacevoli o spiacevoli che siano, e che di quelle scelte non debba rendere conto a nessuno, se non alla legge se e quando viola i diritti altrui (qui sta la vera ragione della critica ai comportamenti del premier). Ora, che una persona risponda o no alla propria coscienza è un fatto che alla cultura dei diritti non interessa direttamente, anche se i liberali si augurano che ciascuno sia in grado di avere una coscienza individuale che faccia da sentinella (e magari impostano la vita famigliare ed educativa perché questa coscienza venga formata). Dopo di che, come ciascuno o ciascuna di noi usa quei diritti di libertá sono fatti che non riguardano nessuno. E se l’opinione pubblica critica i nostri comportamenti e le nostre abitudini sessuali, noi siamo legittimati a reagire con una contro-opinione.

Ma la distinzione tra donne reprobe e donne brave scompagina proprio questa cultura dei diritti poiché sembra dire che le donne devono essere rispettate nella misura in cui esse usano "bene" i loro diritti. Ovviamente, questo discorso non riguarda le minori: poiché la responsabilità giuridica è una componente essenziale del godimento dei diritti ed è legata all’età adulta stabilita dalla legge. Ma nel caso di persone adulte, di donne adulte, l’uso che esse fanno della loro vita non è un fatto che può diventare oggetto di critica da parte dell’opinione pubblica e politica. La cultura dei diritti non ha nulla a che fare con la gogna nè con la distinzione tra donne brave e donne reprobe.

I paradossi che questo presidente del Consiglio provoca sono quindi dei più spinosi, perché la sua mania (che è un problema serissimo, non perché disturba la morale ordinaria, ma per l’alta funzione che egli esercita) è il frutto estremo del rovesciamento del giudizio pubblico in giudizio privato. Il paradosso è che il trasgressivismo malato di chi ci governa induce i critici a flirtare con la tentazione di discriminare le donne in ragione dei loro comportamenti. Le centinaia di giovani donne che hanno preso regali e soldi dal presidente non sono il bersaglio: non si devono mettere alcune donne contro altre, anche perché è proprio questo l’esito studiato della politica del leader.

È certo difficile che si crei empatia tra le donne che lavorano e le donne che mettono il loro corpo a servizio; ma la sorgente della difficoltà va individuata con correttezza. La nostra attenzione critica dovrebbe essere rivolta non alle donne per la loro condotta, ma alle politiche dei governi che la destra ha in questi anni messo in moto con l’obiettivo esplicito di indebolire i diritti associati al lavoro e di dissociare infine il lavoro dalla dignità per identificarlo con un pugno di soldi a qualunque costo o addirittura con il dono (e questo non vale solo per le donne che vanno ad Arcore come la vicenda Fiat insegna). Questa dequalificazione estrema del valore delle persone deve offendere e fare reagire. Essa è il vero problema, in quanto abbassa le aspettative delle donne e degli uomini e, quel che è peggio, confonde il giudizio sulle responsabilità e le colpe. L’obiettivo critico non sono le donne giovani e belle che frequentano le case del premier. L’obietto è il premier, la sua illegalità e le politiche sociali del suo governo. L’obiettivo è il messaggio che trasmette da decenni ogni giorno. A tutto questo bisogna reagire, insieme, e dire basta.


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