Quando la fantapolitica ha il profilo di Trump
Arriva in Italia “Da noi non può succedere”, il romanzo di Sinclair Lewis che nel 1936 immaginava l’avvento negli Usa di un regime parafascista
di Federico Rampini (la Repubblica, 27.10.2016)
Ci voleva un grande conservatore per osare pronunciare quella parola. Il fascismo in America? A spezzare il tabù è stato Robert Kagan, già consigliere di George W. Bush, “neocon” esperto di geopolitica, autore della celebre metafora su «gli americani che vengono da Marte, gli europei da Venere». In un editoriale-shock sul “Washington Post”, il 18 maggio 2016 Kagan ha messo da parte cautele verbali, circonvoluzioni e inibizioni dell’intellighenzia. Il titolo è stato come un pugno nello stomaco: Ecco come il fascismo arriva in America.
Il portatore della peste nera, Kagan non aveva dubbi, si chiama Donald Trump. L’intellettuale di destra in quell’intervento drammatico non risparmiava le accuse ai suoi compagni di partito: «Lo sforzo dei repubblicani per trattare Trump come un candidato normale sarebbe ridicolo, se non fosse così pericoloso per la nostra repubblica». Seguiva una descrizione del ciclone- Trump in tutti i suoi ingredienti: «l’idea che la cultura democratica produce debolezza», «il fascino della forza bruta e del machismo», «le affermazioni incoerenti e contraddittorie ma segnate da ingredienti comuni quali il risentimento e il disprezzo, l’odio e la rabbia verso le minoranze ». Il verdetto finale: «è una minaccia per la democrazia », un fenomeno «che alla sua apparizione in altre nazioni e in altre epoche, fu definito fascismo ».
Tutto ciò accadeva all’inizio del duello fra Trump e Hillary Clinton. Mentre scrivo, il verdetto finale non è ancora arrivato. La Clinton viene data per favorita. Ma anche se dovessimo evitare il peggio, l’America avrà vissuto un’incredibile campagna elettorale, dove è accaduto tutto ciò che Da noi non può succedere. Un candidato ha sdoganato il razzismo, la misoginia, l’evasione fiscale. Ha elogiato Vladimir Putin e altri regimi autoritari in giro per il mondo. Ha invocato l’aiuto degli hacker russi contro la sua rivale. Ha promesso di mandare in galera la candidata democratica. E, anche se chi mi legge sta vivendo in un futuro in cui lo scenario peggiore non si è avverato, come spero, resta il fatto che col fenomeno Trump abbiamo convissuto per un’intera campagna presidenziale. Con lui dovremo fare i conti a lungo, molto a lungo: per tutto ciò che ha fatto emergere dall’America di oggi.
Torno al monito severo di Kagan. Dopo che il guru neo-conservatore aveva lanciato contro The Donald l’accusa che molti non osavano pronunciare, il New York Times decise di sbattere la controversia in prima pagina. Con il titolo L’ascesa di Trump e il dibattito sul fascismo, il quotidiano liberal dava conto nella primavera del 2016 di un allarme che stava diventando esplicito. Un politico, l’ex governatore del Massachusetts William Weld, paragonava il progetto di Trump per la deportazione di undici milioni di immigrati alla “notte dei cristalli” del 1938 in cui i nazisti si scatenarono nelle violenze contro gli ebrei. Il New York Times allargava l’orizzonte per cogliere dietro il fenomeno Trump una tendenza più globale: mettendo insieme una generazione di leaders che vanno da Vladimir Putin al turco Erdogan, dall’ungherese Orban ai suoi emuli in Polonia, più l’ascesa di vari movimenti di estrema destra in Francia, Germania, Grecia.
È così che l’élite intellettuale newyorchese ha riscoperto due romanzi di fantapolitica. Scritti da due premi Nobel, in epoche diverse, ma con la stessa trama: l’avvento di un autoritarismo nazionalista in America. Il primo è questo Da noi non può succedere di Sinclair Lewis, finalmente disponibile in italiano. Affermazione rassicurante, quella del titolo: ma contraddetta dalla trama narrativa. Scritto e ambientato nel 1936, immagina che Franklin Roosevelt dopo un solo mandato sia sconfitto e sostituito da un fascista. L’altro romanzo è di Philip Roth, molto più recente (2004): immagina che nel 1940 Roosevelt sia battuto dall’aviatore Charles Lindbergh, simpatizzante notorio di Hitler e Mussolini. È probabile che Roth si sia ispirato al precedente di Lewis. La grande letteratura aveva previsto ciò che i politologi non vollero prendere in considerazione?
La reticenza che aveva impedito questo dibattito ha varie spiegazioni. Al primo posto, la fiducia sulla solidità della più antica tra le liberal-democrazie. Poi, l’America è abituata a considerarsi all’avanguardia; è imbarazzante ammettere che nel 2015-2016 ha importato tendenze già in atto da molti anni in Europa (Berlusconi-Bossi- Grillo, tanto per citare solo i nostri) e culminate nel Regno Unito con Brexit. L’autocensura che ha trattenuto gli intellettuali nasce anche da un complesso di colpa: la narrazione dominante dice che l’élite pensante ha ignorato per anni le sofferenze di quel ceto medio bianco (declassato, impoverito dalla crisi, “marginalizzato” dalla società multietnica) che nel 2016 si è invaghito di Trump. Dargli del fascista può sembrare una scorciatoia per ignorare le cause profonde di un disagio sociale: quel tradimento delle élites che ho messo al centro del mio ultimo saggio.
Sulle etichette, molti preferiscono sfumature diverse, dalla “democrazia illiberale” ai “populismi autoritari”. L’allarme di Kagan si è rivelato comunque troppo tardivo per arrestare la tendenza dei repubblicani a salire sul carro del vincitore. Frastornati, storditi, imbarazzati, umiliati, ma in larga parte troppo codardi, i repubblicani avranno una responsabilità immensa: l’aver consegnato il Grand Old Party di Abraham Lincoln e di Dwight Eisenhower a un affarista imbroglione, egomaniaco, narcisista e con pulsioni autoritarie. La cui somiglianza col protagonista di questo romanzo è impressionante, inquietante.