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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
venerdì 3 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ---- Dall’ideale democratico alla tirannide dei molti. Il moderno lessico politico forgiato sull’Acropoli (di Luciano Canfora)

domenica 17 giugno 2012


-  Grecia. Noi e loro
-  Dall’ideale democratico alla tirannide dei molti
-  Il moderno lessico politico forgiato sull’Acropoli

-  di Luciano Canfora (Corriere della Sera, 17.06.2012)

Un bell’insegnamento del pensiero politico ateniese è che non si deve rischiare di cadere in schiavitù per debiti. Fu Solone (arconte nel 594/3 a. C.) a far sì che si affermasse questo principio. Egli cancellò i debiti per i quali il pegno era il terreno del debitore o addirittura la sua libertà personale. Il debito non può essere un’ipoteca su esseri umani e perciò, in nome della libertà, va cancellato. Questo principio coraggioso imbarazzerebbe molti «finanzieri» del tempo nostro nonché i responsabili delle strutture bancarie, che sull’altrui indebitarsi prosperano. Del resto una forte corrente di pensiero politico moderno, nella seconda metà del secolo XX, su impulso di una figura notevole come François Mitterrand, pose il problema della cancellazione del debito di alcuni Paesi del Terzo e Quarto Mondo. Fu una scelta schiettamente «soloniana» che, nel tempo, ha dato frutti positivi.

Solone seppe anche andare ad imparare dagli altri, da popoli di antichissima civiltà come gli Egizi. Una scelta - questa - che si pone agli antipodi rispetto all’autosufficienza miope. Solone fu anche allarmato preconizzatore dei rischi del potere personale, della «tirannide». «Tirannide» - termine che vive in tutte le civiltà politiche - è parola greca dal significato, in origine, non negativo. Indicò dapprima un ruolo di mediatore piuttosto che di despota.

Caratteristica del «tiranno» era, in ogni caso, l’assunzione di un ampio potere, fondato su di un iniziale consenso ma ben presto protratto senza limiti di tempo e sorretto con strumenti quali la guardia del corpo armata e la violenza contro gli oppositori non remissivi. Solone previde questo sviluppo della «tirannide» che un abile demagogo, Pisistrato, era riuscito ad assumere in Atene (561-527 a. C. con un intervallo ed un plateale «rientro»). Inizialmente era stato lo stesso demo di Atene (il popolo sovrano) ad attribuirgli una guardia del corpo armata come strumento e garanzia di potere. Per noi «tirannide» è nozione totalmente priva di sfumature positive. Ed anzi, come afferma il nipote di Pericle, Alcibiade, parlando, da fuggiasco, al cospetto degli Spartani (415 a.C.), «la democrazia si è costituita e ha preso forma e nome, in Atene, come antitesi della tirannide» (Tucidide, VI, 89, 4).

Nel lessico ateniese «popolo» (demo) e «democrazia» sono sinonimi: anzi «popolo» è parola che indica al tempo stesso sia il soggetto sociale della democrazia (il popolo) che il regime politico fondato sul potere popolare (democrazia). Spesso si dimentica questa peculiarità lessicale, che è anche sostanza. La legittimità della democrazia ad Atene è fuori discussione nel momento in cui essa è la forma politica che si identifica con la comunità stessa.

Che la tirannide nascesse da un significativo consenso popolare era però fenomeno imbarazzante. I critici della democrazia ponevano perciò l’accento proprio sull’elemento tirannico insito, a loro giudizio, nella democrazia. Elemento tirannico che si presenta sotto due aspetti: la incontrollata imposizione di una volontà popolare (la «dittatura di maggioranza» che si pone al di sopra della legge) e la nascita dall’interno stesso del meccanismo assembleare-democratico di figure demagogiche particolarmente influenti e carismatiche, che realizzano di fatto una forma di «tirannide», o meglio di potere che gli avversari ritengono di poter definire tirannide.

Naturalmente tutto ciò appare a noi oggi come esperienza tutt’altro che remota, anzi senz’altro vivente e attuale. Oltre tutto le parole con cui tutto questo genere di fenomeni si esprime sono le medesime che adoperiamo noi oggi, e nelle più diverse lingue (democrazia in particolare è diventata sic et simpliciter anche parola turca). Ma una avvertenza è necessaria: la diretta gestione del potere da parte di una «assemblea popolare» (assemblea dei detentori della piena cittadinanza) è tutt’altra cosa rispetto alla procedura elettiva che produce una rappresentanza (cui, quando esisteva la piena sovranità nazionale, gli elettori delegavano il potere esecutivo). Resta il fatto che anche la viva percezione dei modi, talvolta sottili e graduali, onde un regime politico trapassa in un altro era ben viva nella teoria politica greca.

Ciò si coglie non solo nella creazione di «doppi» negativi di forme politiche positive (monarchia/tirannide; aristocrazia/oligarchia; democrazia/oclocrazia) ma soprattutto nella descrizione del «ciclo», che è implicito già nel dialogo costituzionale erodoteo e culmina nella formulazione esplicita e quasi pedantesca di Polibio (nel VI libro delle Storie). Una formulazione talmente chiara e completa da apparire illuminante al Machiavelli che la immise di peso nel primo libro dei Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio. Ma proprio questo arrovellarsi intorno al modo in cui la «volontà popolare» può lasciarsi deviare fino ad autodistruggersi è problematica nostra e sommamente moderna. Anche noi oggi sappiamo bene che il trapasso da un modello politico in un altro di segno ben diverso può avvenire per progressivi slittamenti, non necessariamente per bruschi salti.

Il pensiero politico greco si è anche posto il problema del valore di una nozione a prima vista solo numerica quale «maggioranza». I critici (ed erano numerosi) della procedura decisionale a maggioranza (cioè democratica) ponevano, in toni talora accesi talora pacati, la questione della competenza come pietra miliare da opporre alla mera legge del numero. Né si può dire che siano stati escogitati argomenti particolarmente convincenti in antitesi a tale obiezione. (Semmai si può osservare che Aristotele, nella Politica, approda alla svalutazione della «legge del numero» per altra via, quando osserva che democrazia non è il governo della maggioranza ma il governo dei poveri, i quali peraltro - soggiunge - spesso sono anche maggioranza).

L’istanza ricorrente del necessario predominio della competenza era tipica della critica oligarchica alla democrazia (Platone, Crizia etc.). Di fatto però competenza era un modo eufemistico per dire ricchezza. In tempi a noi più vicini quella istanza divenne l’architrave della critica di parte liberale alla democrazia (per tutto il secolo XIX questa fu la contrapposizione dominante, specie in Europa). In tempi a noi ancor più vicini la prevalenza del principio democratico su quello liberale, affermatasi ad es. nelle codificazioni «costituzionali» del secondo dopoguerra, è venuta declinando, e ha ceduto il passo al ritorno in grande stile del predominio dei «competenti»: o di coloro che, intrinseci al mondo arduo della finanza, si pretendono tali.


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