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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
venerdì 3 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. --- L’Europa ritroverà la sua forza se tornerà allo spirito dei Lumi (di André Glucksmann)

martedì 22 maggio 2012

L’Europa ritroverà la sua forza se tornerà allo spirito dei Lumi

di André Glucksmann (Corriere, 22.05.2012)

Quattro anni di crisi successive hanno innalzato gli esperti economisti al trono di profeti tuttofare e di consiglieri per eccellenza dei prìncipi che ci governano, a sinistra come a destra. Tuttavia, continuiamo ad essere alla mercé di una prossima sorpresa, imprevista quanto le precedenti. Rendiamo quindi omaggio alla originalità delle parole di Gian Arturo Ferrari che, sulla prima pagina di questo giornale (17 maggio, «L’orchestra senza musica»), ricusa il monopolio delle considerazioni di carattere puramente economico per scovare, alle radici delle difficoltà dell’Eurozona, una paralizzante «povertà culturale». Invitando a saltar fuori dal cerchio incantato delle valutazioni finanziarie e di bilancio, egli incrimina una subcultura che accumula pregiudizi e stereotipi: la Francia arrogante, la Germania intrinsecamente imperialista e i cosiddetti Paesi del «Club Méditerranée» irresistibilmente votati a vivere alle spalle di un Nord austero, virtuoso e protestante. Sì, all’origine del blocco economico c’è un blocco culturale. Come e perché mettersi d’accordo per salvare l’Unione europea, quando regna la diffidenza del ciascun per sé, caratteristica dei corsi di ricreazione infantili?

Secondo gli altri continenti, la nostra Europa costituisce davvero un caso così disperato, come suggerisce Gian Arturo Ferrari? Egli presenta un ritratto lusinghiero della Cina ritenuta culturalmente magnetizzata dalla propria ideologia comunista-confuciana. Allo stesso modo, i Paesi musulmani gli sembrano saldati insieme dall’Islam. E gli Stati Uniti dallo stendardo stellato, garanzia di libertà e sicurezza. Così, la nostra triste Europa frammentata sarebbe la sola a essere priva di tutta la coerenza culturale, religiosa o ideologica che assicura il dinamismo delle grandi potenze nel XXI secolo. Perdonatemi, ma non lo credo affatto. Liberiamoci dai nostri complessi! Più del famoso «scontro di civiltà» profetizzato vent’anni fa, scorgiamo scontri all’interno di ogni cosiddetta «civiltà».

Le primavere arabe, le proteste di massa in Russia, la dissidenza crescente in Cina, ne sono la prova. Piaccia o meno alle teologie politiche ufficiali, gli autocrati postcomunisti - come i dispotismi etnico-religiosi - sguazzano in una corruzione inaudita, in conflitti al vertice dei clan, in contestazioni delle classi medie e in insurrezioni sporadiche della gente dei piani bassi. Da nessuna parte la mondializzazione è un lungo fiume tranquillo.

Vero è che mezzo secolo di cooperazione economica in seno all’Unione europea fu possibile solo nella prospettiva, oggi quasi dimenticata, di un progetto politico-culturale. All’inizio, dopo il 1945, avevamo: 1) il rifiuto di rivivere l’isteria xenofoba e razzista che generò Hitler; 2) l’opposizione ai regimi comunisti dall’altro lato della cortina di ferro; 3) la fine delle tentazioni imperialistiche (fu necessario che la Francia perdesse e la guerra d’Indocina e la guerra d’Algeria perché si decidesse a puntare sull’Europa). Oggi questo patto inaugurale non seduce più, la guerra fredda è finita, ma la democrazia è lungi dall’aver trionfato. Gli europei devono ridefinire l’esperienza comune che fonda la loro comunità di destino. Altrimenti, una «povertà culturale» ben condivisa li condanna a dilaniarsi l’un l’altro.

Gli europei contemporanei sono socialmente atei. Non cercano di imporre un modo di vivere monolitico, la loro insormontabile diversità non è un fattore di divisione: a ciascuno i propri gusti, a ciascuno il proprio modo di alimentarsi, di vestirsi, di educare i figli, di pregare o non pregare, di ridere o piangere. Da più di mezzo secolo, nessuna nazione impone ai vicini i propri dogmi e il proprio folclore. Il consenso continentale non si costruisce sulla domanda: come vivere? Ma sulla domanda: come sopravvivere? Quale sfida, quali rischi dobbiamo raccogliere e affrontare in comune? Davanti a quali pericoli mortali dobbiamo darci manforte?

Di fronte all’ignoto, cerchiamo spesso rifugio nel déjà vu, nel déjà connu, in quello che già abbiamo visto e conosciuto. Occorre però non sbagliare riferimento. La subcultura dei pregiudizi aggressivi e degli stereotipi che dividono rientra nel campo delle cattive inclinazioni del XIX secolo: «Right or wrong, my country». A costo di relativizzare, rivisiterei piuttosto il Settecento, ultimo secolo di una cultura transnazionale che si imponeva da Porto a Mosca e da Palermo a Stoccolma, senza curarsi delle frontiere tradizionali. Imperfetti, impigliati in molteplici contraddizioni, i Lumi restano il punto di partenza obbligato del progetto europeo di osar pensare con la propria testa (Kant) e di imporre rispetto reciproco e tolleranza collettiva (Locke e Voltaire). Non è sicuro che ci si arriverà: chiedete al signor Putin e ai suoi omologhi cinesi, e scoprirete quanto questa cultura democratica sia fragile e quanto meriti d’essere difesa.

Gian Arturo Ferrari ha ragione - e quanto ha ragione! - a sottolineare che la prosperità economica è una conseguenza, in nessun modo una causa, della nostra intesa intellettuale per quanto riguarda l’essenziale. Già indicata da Voltaire, la malattia che ci minaccia è quella di Pangloss, che immagina di esistere nel migliore dei mondi, come se una miracolosa provvidenza vegliasse sul suo benessere. Tale fu l’illusione generale quando cadde il Muro di Berlino. Credendo che il nostro vecchio continente fosse fuori pericolo, abbiamo vissuto senza preoccupazioni e senza precauzioni. Ed ecco che poi abbiamo ricevuto un colpo che ci ha tramortiti e abbiamo dovuto abbassare la cresta passando da un ottimismo eccessivo a un pessimismo non meno eccessivo. Immancabilmente immersa nel caos di una mondializzazione planetaria, l’Europa può tuttavia trovare nella cultura dei Lumi il principio della propria coesione.
-  (traduzione di Daniela Maggioni)


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