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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
martedì 7 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. --- OLTRE NIETZSCHE. LA RELIGIOSITÀ RITROVATA. "Ana-teismo. Tornare a Dio dopo Dio" di Richard Kearney: così l’esperienza del vuoto ci riapre al problema della trascendenza (di Gianni Vattimo).

venerdì 16 marzo 2012

Dio è morto torniamo a Dio

L’Ana-teismo di Richard Kearney: così l’esperienza del vuoto ci riapre al problema della trascendenza

di Gianni Vattimo (La Stampa, 16.03.2012)

      • Esce oggi da Fazi il saggio di Richard Kearney Ana-teismo. Tornare a Dio dopo Dio (pp. 330, 17,50), in cui il filosofo, allievo di Ricœur e professore al Boston College, conduce il lettore in un percorso innovativo alla ricerca del sacro dopo l’ateismo. Pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione di Vattimo

      • OLTRE NIETZSCHE. Bomba atomica, Olocausto: il «progresso» si contraddice, l’approdo ateistico va in crisi
        -  LA RELIGIOSITÀ RITROVATA. È caratterizzata dall’apertura verso l’altro ed è consapevole della pluralità delle fedi

Anateismo è l’atteggiamento religioso che Kearney sostiene e raccomanda per la spiritualità del nostro tempo. [... ] Il prefisso greco ana-, che a prima vista potrebbe essere inteso in senso negativo (come se si trattasse di negare l’a-teismo, pensate al termine an-alcolico...), significa invece, oltre che «salita», anche «ritorno». Due sensi che Kearney non sottolinea insieme, preferendo il secondo senso, il ritorno; non direi però che il primo senso, la salita, sia del tutto scomparso, giacché il ritorno implica sempre per Kearney un qualche momento di illuminazione piena, diremmo di arrivo alla cima, che coincide bensì, nella mistica, con la notte oscura di cui tanti mistici ci parlano, ma che ha comunque il carattere di un momento decisivo - una sorta di evidenza che Kearney pensa sempre in base all’eredità della fenomenologia assimilata attraverso il suo maestro Ricœur. Il senso del prefisso, dunque, non è solo una questione di filologia, segna anche, pare a me, la differenza - leggera ma non insignificante - attraverso cui io mi introduco nel discorso di Kearney, e perciò la via che, solo, posso indicare ai lettori.

Dunque: la cultura dentro la quale ci capita di vivere è orientata a considerarsi il punto di arrivo di uno svolgimento che, negli schemi filosofici dominanti, di origine hegeliana, ma anche genericamente illuministici e positivistici, si pensa come proveniente da fasi primitive teistiche, caratterizzate da una religiosità non di rado superstiziosa, che poi, attraverso scienza e tecnica, si evolve progressivamente verso quella che Nietzsche chiamerà la «morte di Dio» (il quale per lui si rivela una menzogna non più necessaria all’uomo tecno-scientificamente evoluto), e cioè verso un ateismo teorico-pratico sempre più generalizzato. Questo schema illuministico-storicistico è quello da cui Kearney parte per negarne la validità, alla luce non solo della propria esperienza personale, ma di quella che gli sembra, giustamente, una diffusa ripresa, o sopravvivenza, del problema di Dio al di là di ogni approdo ateistico. Non solo a causa di quelle che si potrebbero chiamare le autocontraddizioni performative del «progresso» (dalla bomba atomica all’Olocausto), ma per l’incertezza e l’esperienza di finitezza che il nostro mondoconosce e che lo richiamano, appunto, a quel senso di vuoto e di sospensione di ogni certezza che l’autore chiama anateismo.

Ancora in armonia con la propria formazione fenomenologica, Kearney pensa a questo stato d’animo come all’ epoché husserliana, quella sospensione dell’atteggiamento «naturale» nei confronti delle cose che permette di elevarsi alla visione delle essenze. Si va oltre l’ateismo «naturale» del nostro mondo quando facciamo esperienza di questo vuoto che è anche l’apertura a una epifania, a una illuminazione, che ci riapre all’esperienza di Dio. Qualunque Dio esso sia. Nel vuoto e nell’incertezza che ci apre all’anateismo e a un nuovo possibile incontro con Dio entra anche la consapevolezza moderna e tardo-moderna della pluralità delle religioni, dunque il problema del dialogo interreligioso e delle molteplici vie che in esso si confrontano e spesso si scontrano. L’anateista di Kearney è inoltre un uomo del dialogo con gli dèi stranieri. La religiosità ritrovata nella sospensione degli assoluti sia teistici sia ateistici è anche caratterizzata da una apertura all’altro che è sempre stata preclusa alle fedi non passate attraverso la notte oscura - non solo mistica, ma culturale di cui noi moderni siamo figli e prodotti.

Kearney, nelle non rare digressioni autobiografiche del libro, ricorda anche di aver a lungo lottato contro l’autoritarismo della sua Chiesa e poi delle Chiese e sette che ha incrociato. Di modo che l’anateismo non è solo, in definitiva, il momento di sospensione e di vuoto destinato a trovare «di nuovo» una fede «piena» più o meno affine alle fedi tradizionali, ma un atteggiamento che deve accompagnare (sembra di parlare dell’« io penso» kantiano!) ogni fede ritrovata. Di ogni fede comunque ritrovata deve far parte la preghiera che domanda di essere aiutati a credere: Signore, credo, aiuta la mia incredulità. Che era anche la preghiera persino di Madre Teresa, come ricorda Kearney. Ma potremmo pensare a Pascal, che consigliava ai non credenti di pregare per ottenere la fede.


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