Più che Narciso poté la vergogna
Come cambierà il linguaggio dei seguaci di Freud
colloquio con Maria Teresa Hooke
di Stefania Rossini (L’espresso, 3, Gennaio 2011
Maria Teresa Hooke, già presidente della Società psicoanalitica australiana, è stata, con la cinese Yang Yunping, responsabile dell’organizzazione della conferenza "Freud e Asia", che si è svolta lo scorso autunno a Pechino, primo incontro ufficiale tra i maggiori esponenti della psicoanalisi internazionale e i terapeuti a orientamento psicoanalitico che si vanno moltiplicando in Cina e in tutto l’Oriente. A lei chiediamo i risultati di un incontro fino a ieri impensabile nell’ambiente tradizionalmente chiuso dei discendenti di Freud.
Qualcuno ha parlato di un congresso storico.
"Credo che sia la parola giusta. Ci siamo incontrati a compimento di un lavoro di contatti e di formazione fatto in Cina per anni da psicoanalisti tedeschi, norvegesi e americani. Erano presenti anche tutte le altre società asiatiche che si rifanno alla psicoanalisi. Ma la vera sorpresa non siamo stati noi per loro, bensì loro per noi. Molti dei delegati occidentali non si aspettavano di trovare gruppi organizzati e altamente sofisticati nelle conoscenze e nella pratica".
Resta però un interrogativo ineludibile. Come può la Cina, con la sua cultura millenaria e la sua storia presente, fare propria una disciplina con radici così profondamente europee?
"È il problema che ci siamo posti lungo tutti i lavori del congresso, con gli occidentali preoccupati che la psicoanalisi vada incontro a trasformazioni e i cinesi impensieriti di subire una colonizzazione culturale. Perché ciò non avvenga, è necessario uno scambio continuo di concetti, di esperienze, di miti e di parole che possono avere riferimenti diversi".
Per esempio?
"I cinesi sono molto interessati alle teorie sul trauma e sulla sua trasmissione attraverso le generazioni. Ma il trauma va declinato nel loro contesto, che è quello della rivoluzione culturale, con milioni di persone perseguitate e uccise".
Sono passati più di trent’anni...
"Il tempo non conta perché di quella tragedia in Cina non si può parlare e il trauma non può essere elaborato come è avvenuto in Germania, dove fa parte della storia. I pazienti che oggi si rivolgono alla psicoanalisi sono i discendenti degli uomini e delle donne uccisi nella rivoluzione culturale. Portano un dolore tremendo che è stato trasmesso nel silenzio e nel segreto storico e familiare".
C’è senso di colpa per quanto è avvenuto?
"La cultura asiatica conosce la vergogna, più che la colpa. A un altro livello, lo si vede anche quando mostriamo, attraverso filmati, il trauma dei bambini staccati precocemente dai genitori. C’è una forte reazione di vergogna perché in Cina è diffusa l’abitudine di lasciare i neonati ai nonni o, in passato, nei kindergarten di Stato".
Che ne sarà di concetti classici, come il complesso di Edipo, nel passaggio dalla famiglia occidentale a una società così collettiva?
"Siamo talmente all’inizio che è difficile dirlo. Ma credo che, con qualche inevitabile aggiustamento, i fondamenti della psicoanalisi rimarranno intatti perché sono universali. Come sono universali i problemi umani che riscontro nei pazienti cinesi, scontando il contesto diverso".
Un contesto che oggi è fatto anche di una corsa alla produzione e al consumo. È arrivata anche la cultura del narcisismo?
"C’è una forte spinta verso i problemi dell’individuo e questo spiega anche il forte interesse per la psicoanalisi. Ma la transizione dalla società collettiva è appena cominciata e la cultura del narcisismo, come la conosciamo in Occidente, non ha ancora fatto il suo debutto".