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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
venerdì 3 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. --- Lo sguardo cosmopolita contro la demagogia. Come salvarsi dal populismo nel mondo senza confini (di Ulrich Beck).

lunedì 6 settembre 2010


-  Come salvarsi dal populismo nel mondo senza confini
-  Lo sguardo cosmopolita contro la demagogia

-  Per gentile concessione dell’editore anticipiamo parte della premessa dell’ultimo libro di Ulrich Beck "Potere e contropotere nell’età globale" in uscita per Laterza

-  di Ulrich Beck (la Repubblica, 06.09.2010)

Il successo del populismo di destra in Europa (e in altre parti del mondo) va inteso come reazione all’assenza di qualsiasi prospettiva in un mondo le cui frontiere e i cui fondamenti sono venuti meno. L’incapacità delle istituzioni e delle élites dominanti di percepire questa nuova realtà sociale e di trarne profitto dipende dalla funzione originaria e dalla storia di queste istituzioni. Esse furono create in un mondo nel quale erano ancora pienamente valide le idee di piena occupazione, di predominio della politica nazional-statale sull’economia nazionale, di frontiere funzionanti, di chiare sovranità e identità territoriali.

Lo si può mostrare in relazione a quasi tutti i temi scottanti del nostro tempo. Chi, di fronte alla disoccupazione di massa e all’occupazione precaria in rapida diffusione promuove l’ideale della piena occupazione, offende l’umanità. Chi, nei Paesi in cui il tasso di natalità è sceso sotto la soglia fatidica di 1,3 figli per ogni donna, afferma che le pensioni sono al sicuro, offende l’umanità. Chi, di fronte alla drastica riduzione dei proventi dalle imposte sui profitti vanta i meriti della globalizzazione, che consente ai grandi gruppi economici transnazionali di mettere gli Stati gli uni contro gli altri, offende l’umanità. Chi, nell’era delle catastrofi ambientali e degli avvelenamenti alimentari in atto o incombenti proclama che la tecnica e l’industria risolveranno i problemi da esse stesse prodotti, offende l’umanità.

Noi europei facciamo come se esistessero ancora la Germania, l’Italia, i Paesi Bassi, il Portogallo, ecc. E invece non ci sono più da un pezzo, poiché quelle riserve di potere che sono gli Stati nazionali chiusi in se stessi e le unità nazionali delimitate l’una rispetto all’altra sono diventate irreali al più tardi con l’introduzione dell’euro. Nella misura in cui c’è l’Europa non esistono più la Germania, la Francia, l’Italia, ecc. (anche se questi Paesi continuano a governare nelle teste delle persone e nei libri illustrati degli scrittori di storia), poiché non ci sono più le frontiere, le competenze e gli spazi di esperienza esclusivi su cui si fondava questo mondo di Stati nazionali. Ma se tutto ciò è passato, se il nostro pensiero, le nostre azioni e le nostre ricerche si muovono all’interno di categorie-zombie, quale mondo si sta formando o si è già formato?

(...) Per comprendere il terremoto politico provocato e sfruttato dal populismo di destra occorre mettere in luce le fonti della sua potenza. Esse risiedono nel fatto che qui i temi e i motivi cari al nuovo controilluminismo da cui è connotata la modernità europea - la lotta contro il declino e la decadenza, la rinascita dei vecchi valori e delle vecchie comunità - vengono applicati ai tabù attuali della modernizzazione radicalizzata. In tutto ciò è irritante questa massima del «sia ... sia», che rimescola i fronti del politico. Il cosiddetto «populismo di destra» non è affatto un populismo solo di destra, ma un populismo sia di destra che di sinistra. Esso può essere particolarmente potente e inquietante perché questo tipo di politica lega, assorbe, combina, sintetizza ciò che sembra escludersi: obiettivi di destra con metodi di sinistra, la rottura emancipatrice dei tabù messa in scena dai mass-media, che sprigiona il potenziale tossico del risentimento antimoderno. Ciò si riflette anche nella reazione pubblica. Si denuncia la demagogia dei populisti come un pericolo per la democrazia stabilita - ma, perlomeno in cuor proprio, la si saluta come una terapia d’urto necessaria a scuotere la democrazia dal suo letargo. Pertanto, la potenza dei populisti è direttamente proporzionale alla mancanza di risposte della politica stabilita alle domande di un mondo radicalmente mutato.

Tutto ciò può essere osservato come sotto una lente d’ingrandimento se si prendono in considerazione (come fa questo libro) le conseguenze della globalizzazione (...). In questo libro la globalizzazione è intesa e sviluppata - riprendendo questi approcci ma nello stesso tempo facendo un passo al di là di essi - come trasformazione storica. Da questa prospettiva emerge che, nello spazio di potere dai contorni ancora indefiniti di una politica interna mondiale, la distinzione tra il nazionale e l’internazionale su cui si era basata la nostra visione del mondo è cancellata (...).

Se ciò che è nazionale non è più nazionale e ciò che è internazionale non è più internazionale, allora il realismo politico prigioniero dell’ottica nazionale è sbagliato. Al suo posto - è questo l’argomento di questo libro - subentra un realismo politico di cui occorre comprendere la logica di potere e che assegna un posto centrale al ruolo decisivo dell’economia mondiale e dei suoi attori nella collaborazione e nel contrasto tra gli Stati, ma anche alle strategie dei movimenti transnazionali della società civile, ivi compresi i movimenti anticivili, ossia le reti terroristiche, che mobilitano contro gli Stati la violenza privatizzata per perseguire i propri obiettivi politici.

Un realismo, ovvero un machiavellismo, cosmopolitico risponde in particolare a due domande. Primo: come e attraverso quali strategie gli attori dell’economia mondiale impongono agli Stati le leggi della loro azione? Secondo: come possono a loro volta gli Stati riconquistare un meta-potere statuale-politico di fronte agli attori dell’economia mondiale per imporre al capitale mondiale un regime cosmopolitico che includa anche la libertà politica, la giustizia globale, la sicurezza sociale e la conservazione dell’ambiente?

L’importanza e la pertinenza di questa nuova politica economica mondiale derivano per un verso dal fatto che essa in quanto teoria del potere è sviluppata nello spazio strategico dell’economia transnazionale e, per un altro, dal fatto che nello stesso tempo essa risponde alla domanda che allora si pone: come può il mondo della politica organizzata per Stati (nei suoi concetti fondamentali, nel suo spazio di potere strategico, nelle sue condizioni di contorno istituzionali) aprirsi alle sfide dell’economia mondiale ma anche ai problemi derivati dalla modernizzazione?

(...) Lo Stato nazionale non è più il creatore di un quadro di riferimento che include in sé tutti gli altri quadri di riferimento e che rende possibili le risposte politiche. Gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 insegnano, non ultimo, che la potenza non è sinonimo di sicurezza. In un mondo radicalmente diviso la sicurezza potrà esserci solo quando ognuno sarà disposto a - e capace di - vedere il mondo della modernità scatenata con gli occhi dell’altro, dell’alterità, cioè quando l’evoluzione culturale risveglierà in ciascuno questa apertura e quest’ultima sarà diventata quotidiana .

(...) Se si dischiude intellettualmente e politicamente lo spazio di potere mondiale al di là delle vecchie categorie di «nazionale» e «internazionale», si aprono (accanto alle spiegazioni della reazione populistica) prospettive di un rinnovamento cosmopolitico della politica e dello Stato.


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