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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
venerdì 3 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA --- MARC BLOCH, ERNST H. KANTOROWICZ, E DANTE.

domenica 5 aprile 2015

"LA NATURA IMPERAIALE DELLA GERMANIA" DI MARC BLOCH... IL "FEDERICO II, IMPERATORE" DI ERNST H. KANTOROWICZ E LA "MONARCHIA" DI DANTE ALIGHIERI. Due note in una:

A

Imperatori e Re: il Bivio di Bloch

di Dino Messina (Corriere La Lettura, 05.04.2015)

Perché, mentre in Inghilterra e Francia si affermava la monarchia, la Germania nel Medioevo, e anche nei secoli successivi, coltivò l’idea imperiale? Attorno a questa domanda ruotano le due lezioni che lo storico Marc Bloch tenne a Strasburgo nel biennio 1927-1928 per i docenti candidati a insegnare tedesco nelle scuole francesi. L’editore Castelvecchi, cui già dobbiamo la traduzione del pamphlet del fondatore delle Annales, Che cosa chiedere alla storia? (2014), propone ora, sotto il titolo La natura imperiale della Germania, quelle due preziose conferenze didattiche, a cura di Grado Giovanni Merlo e Francesco Mores.

Marc Bloch (1886-1944), autore de La società feudale e de I re taumaturghi , non era uno studioso avulso dalle passioni e dall’impegno: già volontario nella Prima guerra mondiale, sarebbe finito fucilato dai nazisti come militante della Resistenza.

La sua analisi, che parte dall’eredità dell’impero carolingio, si concentra sui due grandi Hohenstaufen, Federico Barbarossa e Federico II di Svevia. L’autore analizza il modello di nomina imperiale, in cui il fattore dinastico contava almeno quanto quello elettivo, ad opera dei principi, duchi, conti, vescovi. Ma per diventare imperatore era infine obbligatorio un passaggio a Roma. Di qui il dualismo con i Papi. «I Re di Francia o d’Inghilterra difendevano la propria autorità contro la Curia... non pensavano affatto di sottomettere il papato stesso. Tra l’Imperatore e il Papa, la posta in gioco era tutt’altra: l’Imperatore credeva di avere diritti sulla sede papale, il Papa sull’impero, e tutti e due su Roma».

La seconda conferenza di Bloch si conclude registrando una polemica che si svolse dal 1859 al 1862 tra due storici, il protestante Heinrich von Sybel, il quale sosteneva che l’ambizione imperiale aveva danneggiato la nazione tedesca, e il cattolico filoaustriaco Julius von Ficker, favorevole all’impero. Benché, nota Bloch, la visione di Sybel avesse vinto, nell’opinione pubblica era stata la Weltpolitik di Ficker a riscuotere un crescente successo.

B

KANTOROWICZ, UN GRANDE (E IGNORATO) LETTORE DI DANTE.

Una nota *

FEDERICO II, IMPERATORE (1927), "I DUE CORPI DEL RE" (1957). Senza la conoscenza delle opere di Dante, non solo la prima ma neppure la seconda grande opera di Kantorowicz sarebbe stata possibile. Questo è quanto emerso da una mia semplice e recente ricognizione dei suoi due eccezionali lavori. L’orizzonte storiografico di Dante non solo aiuta K. a capire la lezione di Federico II, ma - con l’aiuto di Federico II - a gettare le basi non solo di una straordinaria comprensione dell’opera di Dante, ma anche della sua stessa proposta politicoa e filosofica.

Un accenno in questa direzione è nella conclusione (qui di seguito ripresa) della spelndida e ricca "voce" "Kantorowicz" di Roberto Delle Donne (Federiciana del 2005, non - non dall’Enciclopedia Dantesca del 1970!!!):

"[...] Partendo dalla finzione giuridica del corpo doppio del re, enunciata nell’Inghilterra del XVI sec. allo scopo di porre al riparo i diritti della Corona e dello stato dalle pretese di poteri e istituzioni particolari, K. conduce il lettore attraverso i diversi strati ideologici che si erano coagulati in questa teoria. Affronta, attraverso l’archeologia del concetto di incarnazione monarchica, su un arco cronologico che dall’Alto Medioevo giunge al Rinascimento, il modo in cui il pensiero giuridico e politico tardomedievale giunse a concepire l’immortalità della monarchia di là dalla persona mortale in cui si incarna, fornendo così la genealogia della distinzione tra la funzione pubblica e la persona che l’esercita, cardine su cui avverrà il passaggio da una concezione dell’autorità incarnata nel suo titolare all’idea di un potere impersonale, a cui il titolare accede per temporanea delega collettiva.

Uno degli snodi di questo processo plurisecolare è costituito dall’imperiale "teologia di governo" di Federico II, che per quanto "pervasa dal pensiero ecclesiastico, contaminata dalla terminologia canonistica e infusa d’un linguaggio quasi cristologico per esprimere gli arcani del governo", non dipendeva più dall’idea altomedievale di una regalità "cristocentrica", basata cioè sulla credenza che il re, attraverso la consacrazione, divenisse vicario e "imitatore" del Cristo vivente. Il sovrano svevo e soprattutto i suoi consiglieri giuridici derivavano invece la funzione duale dell’imperatore quale "signore e ministro della giustizia" (Kantorowicz, 1957, pp. 97 ss.; trad. it. pp. 84 ss.) dal diritto romano, dalla tradizione della lex regia, aprendo la strada alla distinzione tra Impero e imperatore, già suggerita da Accursio e poi sostenuta più recisamente da Cino da Pistoia.

È proprio nell’acutezza delle analisi e nell’ampiezza euristica, nella straordinaria capacità di K. di restituire, ricorrendo a fonti straordinariamente disparate, la complessità concettuale del processo storico che segnò il passaggio da un’idea della sovranità secondo cui un individuo rappresenta un essere collettivo a quella secondo cui un essere collettivo rappresenta degli individui, che vanno ricercate le ragioni della sua recente fortuna tra un pubblico non di soli medievisti: nell’opera è possibile cogliere non solo le origini della moderna concezione dello stato occidentale, ma anche individuare a livello embrionale le diverse modalità di evoluzione che essa ha subito nei vari paesi d’Europa.

Il nucleo germinativo dell’opera, la sua ragion d’essere, non va tuttavia cercato nell’interesse per lo stato, ma per gli uomini mortali che elaborarono "la credenza politica nello Stato moderno e nel suo carattere perpetuo" (ibid., passim). K. ha fondato la sua inesausta ricerca della dignitas perpetua, che "non muore mai", in tutte le sue manifestazioni nell’universo mentale del Medioevo, muovendo da un ideale umanistico: il corpo mistico del re, che simboleggia la sovranità dello stato, è congiunto a un ideale di optimus homo, simboleggiante a sua volta la sovranità individuale, l’humanitas, la dignità stessa dell’essere uomo che accompagna, come un corpo mistico perenne, ogni singolo individuo, e che fa del principe, proprio perché appartenente all’humana universitas, un homo instrumentum humanitatis. Questa concezione della politica e della responsabilità di chi detiene un ufficio politico K. la ritrova, in un capitolo di straordinaria ispirazione, come categoria fondante dell’umanesimo medievale di Dante. Agli antipodi di quella "orribile esperienza del nostro tempo in cui intere nazioni, dalle più piccole alle più grandi, caddero preda dei dogmi più irrazionali e in cui i teologismi politici divennero autentiche ossessioni che sfidarono i più elementari principî della ragione umana e politica" (ibid., p. XVIII; trad. it. p. XXX), l’idea dantesca di humanitas potrebbe far risuonare la sua eco anche nel nostro presente. È questo un aspetto non secondario del lascito spirituale di K., ancora valido per tutti coloro che vogliono leggere e pensare, vivere e agire in accordo con il proprio pensiero".

Si tenga presente, per capire bene e meglio, che l’ultimo capitolo (l’ottavo) dei "Due corpi del re" è intitolato "La regalità antropocentrica: Dante"!!! Nel "Federico II, Imperatore" (un’opera che non solo getta luce sulla filosofia degli anni Venti del XX secolo in Europa, ma illumina meglio e tutto il percorso e l’orizzonte storiografico-filosofico dello stesso Kantorowicz, e sollecita a rileggere il suo lavoro del 1927 e del 1957 in modo unitario!), con grande chiarezza, così scrive:

"(...) Si tenga presente che Federico II visse alla fine del secolo che conosceva la giustizia come unico fine dello stato - fine, del quale, come si sa, gli statisti del rinascimento si occuparono ben poco. Federico era nato nel tempo della massima fioritura del «secolo giuridico», che chiudeva un millennio dedicato alla ricerca della giustizia, e che senza dubbio ebbe tanta influenza su Federico, quanta egli ne ebbe poi sulla giurisprudenza: si pensi soltanto alla visita dello Staufen a Bologna, al giurisperito Roffredo di Benevento, alla fondazíone dell’università di Napoli.

A buona ragione s’è definito «epoca del diritto» quel secolo (1150- 1250) che chiude il medioevo, perché dai giorni di un Graziano e di un Irnerio, da quelli che segnarono una notevole ripresa del diritto romano da parte del Barbarossa (simbolo dello spirito del tempo), a nessun’altra ricerca scientifica il mondo aveva mostrato effettivo interesse come allo studio del diritto - il che certo non impedì che l’interesse si tramutasse in pazzia: come dimostra l’aver cominciato, verso la fine del XIII secolo, a mettere in versi le Institutiones di Giustiniano, allo stesso modo che si è fatto ai giorni nostri con la Critica della ragion pura di Kant.

Tale degenerazione indica che nel campo in oggetto non resta più nulla da fare. Non che la scienza del diritto si esaurisse con quel secolo: solo, la materia era stata dai glossatori assiduamente e sempre più sterilmente perorata, e, d’alÍo canto, si schiudevano al rinascimento nascente tanti e infinitamente più importanti spazi scientifici, che la cultura profana non poté più, come al tempo di Federico II, essere identificata con quella giuridica. La scienza giuridica, però, che consiste nello studio delle leggi, conraddistingue la nascita d’uno spirito non teologico, anzi essenzialmente laico.

D’altra parte, la chiesa stessa aveva mantenuto, nel campo del diritto, una posizione di guida: tutti i papi più importanti di questo secolo - Alessandro III, Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX, Innocenzo IV - furono giuristi, anzi la conoscenza del diritto canonico diventò elemento essenziale della teologia, o meglio: teologia e scienza giuridica vennero a pericolosi conflitti nell’ambito della chiesa, e la seconda ne patì gravi danni. Sdegnato di ciò, Dante maledisse i Decretali perché papa e cardinali, a furia di studiarli sino a consumarne i «vivagni», dimenticavano Nazareth" (Ernst H. Kantorowicz, Federico II, Imperatore, [Kaiser Friedrich der Zweite, I-II, Berlin 1927-1931] Garzanti, Milano [1976] 1988, pp. 212-213).

*

Federico La Sala


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