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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
martedì 7 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. --- NARCISIMO, PULSIONE DI MORTE, E LAVORO STORIOGRAFICO (C. Bollas, H.A. Rosenfeld, M. Recalcati).

venerdì 22 novembre 2013

NARCISIMO, PULSIONE DI MORTE, E LAVORO STORIOGRAFICO. Una notazione molto illuminante dal lavoro di H. A Rosenfeld ("Il narcisismo distruttivo e la pulsione di morte", in : "Comunicazione e interpretazione", Bollati-Boringhieri, Torino 1989) di Cristopher Bollas: *

"Herbert Rosenfeld è stato uno dei più eminenti teorici clinici d’Inghilterra. Nei suoi studi sui disturbi di personalità narcisistica egli si è imbattuto in una metafora che, molto tempo dopo la sua morte, ha influenzato generazioni di clinici in tutto il mondo.
-  Rosenfeld ha paragonato la mente del narcisista a una gang mafiosa, governata da un potente leader - un Don mafioso - che è il distillato di tutte le parti distruttive di una personalità. Manipolatorio, cinico, privo di sensi di colpa, feroce, costringe al silenzio tutte le parti buone della personalità con mere intimidazioni. Liquida le azioni distruttive attraverso un’imposizione di lealtà e fedeltà di gruppo alla parte dominante dfella personalità e crea un senso interiore di coesione basato sull’odio. Il lavoro di Rosenfeld è il culmine della visione crerativa offerta dalla "psicoanalisi delle relazioni oggettuali". Esso mostra come nel nostro mondo interno noi esistiamo come un insieme di sé diversi legati a oggetti (rappresentazioni mentali di altri e aspetti della realtà esterna) all’interno della mente. Se siamo equilibrati, allora le rappresentazioni distruttive verranno bilanciate da parte amorevoli, premurose, costruttive ed etiche della personalità.

Con gli analizzandi talvolta parlo della mente come di un "organo rappresentativo". Se lavoro con americani utilizzo il Congresso come metafora, con europei e altri utilizzo il Parlamento. L’idea è abbastanza semplice: la nostra mente può essere pensata come un’oggettivazione di molti diversi stati del sé, sentimenti e condizioni. Se siamo dei democratici psichici allora tutte le idee, comprese quelle distruttive, saranno rappresentate e verrà loro permesso di passare nella mente, sia che ci ripugnino e alienino, sia che ci ispirino o ci conferiscano potere [...]

E’ possibile che la visione di Rosenfeld della mente come come gruppo ci possa aiutare con il problema dell’integrazione tra l’individuo e la massa. Bion e altri teorici kleiniani sicuramente hanno lavorato sul presupposto che la psicologia individuale e quella di gruppo condividono gli stessi assiomi mentali. Ma è stato Rosenfeld che ha messo insieme questa visione in un oggetto trasformativo. Cioè, una volta che le parti e i pezzi della psicologia individuale e di gruppo che si trovano nel pensiero kleiniano sono stati integrati nella metafora di Rosenfeld, una nuova forma di psicoanalisi è divenuta possibile [...]

Sto suggerendo di ripensare il lavoro della storia (le narrazioni costruite del nostro passato), considerandola meno come un compito di ricapitolazione e più come uno sforzo di selezione.

Attraverso la selezione di storie del passato, il lavoro dello storico nella sua riflessione è inevitabilmente futuristico. Questa naturalmente è una verità lapalissiana. Detti come "la storia giudicherà" o "coloro che non possono ricordare il passato sono condannati a ripeterlo" (Santayana) si riferisconoalla storia come a una funzione del futuro. Il lavoro inconscio di trasferire i risultati da una generazione a quella successiva, con il suo sforzo di comprendere ed espandere la mente umana, mira a costruire una mente di gruppo che può pensare i pensieri richiesti dal futuro. In effetti la ricerca per comprendere la mente e lo sviluppo embricato della mente nel processo sono inseparabili. Pensare alla nostra mente significa sviluppare la vita psichica.

Ogni generazione lavora a un ritmo diverso e contribuirà in maggiore o minore misura allo sviluppo di una mente transgenerazionale. Questa è una progressione discontinua, controllata inevitabilmente dal narcisismo della giovinezza, dall’ansia depressiva dell’invecchiamento, e dalla regressione a stati mentali primitivi causati dall’odio collettivo che possono portare alla guerra o al genocidio e, interiormente, a una perdita di capacità mentale.

Quando una generazione "passa il testimone" a quella successiva, sostenendo che adesso "il futuro è a loro", questo processo è simile a un abbandono generazionale del compito collettivo. Una trasmissione generazionale ben riuscita consisterebbe nel trasmettere un’idea o un processo sociale di successo che potrebbero venire inclusi nella mente futura [...]

Stiamo quindi parlando di una "mentalità del mondo", una mente che può consentire al mondo di pensare se stesso? (p. 167)

* Cristopher Bollas, La mente orientale. Psicoanalisi e Cina, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013, pp. 161-167, senza le note.



-  Psicologia della separazione
-  Se l’identità è un’ossessione
-  La salute mentale di un individuo, e lo stesso vale per i gruppi e le istituzioni

di Massimo Recalcati (la Repubblica, 21.11.2013)

La salute mentale di un individuo, e lo stesso vale per i gruppi e le istituzioni, non consiste nel sopprimere le diverse istanze che contiene in sé ma nel saper dare a ciascuna un ruolo equilibrato

La grande sovversione psicoanalitica del soggetto consiste nel mostrare che l’Io, come affermava Freud, non è padrone in casa propria ma è una unità strutturalmente scissa. Il soggetto non coincide - come voleva tutta una tradizione che discendeva da Cartesio - con il cogito, ma è abitato da più istanze. Esso appare come un parlamento nel quale vi sono partiti rappresentanti di diversi interessi: morali, pulsionali, cognitivi, critici, erotici, vitali, aggressivi.

La salute mentale non consiste nella presenza della monarchia assoluta dell’Ego ma nel comporre una sintesi efficace delle istanze promosse nel proprio parlamento interno. In questo senso per Freud la psicoanalisi era un’autentica esperienza di democrazia. La scissione tra i diversi partiti che compongono il parlamento interno deve essere ricomposta dal soggetto in un equilibrio che non è mai assicurato una volta per tutte. Anzi, si potrebbe aggiungere, che la malattia mentale è legata all’impossibilità di trovare un punto di accordo tra le diverse istanze che compongono la personalità psichica perché una di queste si vuole imporre sulle altre costringendole a rimuovere la loro voce.

Ne deriva che la salute mentale di un individuo - ma si potrebbe benissimo allargare il concetto al funzionamento dei gruppi e delle istituzioni - non consiste nel sopprimere le diverse istanze di cui è costituito il soggetto ma nel saperle articolare tra loro in modo sufficientemente flessibile.

Quando invece questa flessibilità - “plasticità” per Freud - viene meno si produce malattia, irrigidimento paranoico, intossicazione, patologia identitaria. Al posto di una vita psichica positivamente democratica si produce un rigetto violento delle “istanze di minoranza” che vengono espulse, bandite, allontanate dal soggetto. Si tratta di una espulsione violenta che anziché nutrire il dibattito interno del soggetto (di un gruppo o di una istituzione), finisce per generare una sorta di identità separata, alienata nella quale si cristallizzano, in una modalità scissionista, quelle parti interne del soggetto che questi non è più disposto ad ascoltare e a riconoscere come parti proprie.

La paranoia costituisce da questo punto di vista il regime più puro della scissione. In essa l’annullamento della scissione interna genera la scissione come espulsione, separazione di parti psichiche da sé e una loro proiezione verso l’esterno. Per questo la clinica psicoanalitica ci insegna che il nemico ha assai frequentemente il volto del simile e che l’odio più feroce e rabbioso di divora i fratelli, poiché l’oggetto massimamente detestato e rifiutato esprime la parte di noi stessi alla quale abbiamo tolto il diritto di parola.

Nella vita dei gruppi tutto questo è massimamente evidente: quante volte la lotta contro un nemico esterno offre la ragione della propria stessa identità e garantisce il compattamento dei legami interni? È quello che accade in ogni forma di razzismo, compreso quello omofobico. La nostra identità deve essere preservata dalla contaminazione con l’altro. Ma questo altro in realtà non abita in un continente straniero ma in noi stessi.

Ne consegue una legge generale: più si è flessibili verso se stessi e più tolleranti si è verso l’altro e più la democrazia interna ed esterna si arricchisce di contributi. Più, al contrario, si espellono i traditori, gli indegni, i reietti, gli impuri, gli oppositori interni, più, insomma, si rifiutano le voci che animano il dibattito interno e più, inevitabilmente, si utilizzerà la scissione come manovra difensiva incoraggiando meccanismi fatali di irrigidimento paranoico dell’identità.


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