Inviare un messaggio

In risposta a:
RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
venerdì 3 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

In risposta a:

> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. --- «L’enigma democrazia. Le idee politiche nell’Europa del Novecento». Il libro di Jan-Werner Müller, (di Michele Salvati - Ecco perché la democrazia liberale non è l’ultima parola dell’Europa)

venerdì 6 settembre 2013

Ecco perché la democrazia liberale non è l’ultima parola dell’Europa

Il dopoguerra insegna che non esiste un modello unico

di Michele Salvati (Corriere della Sera, 06.09.2013) *

«Le idee politiche nell’Europa del Novecento», dice il sottotitolo del bellissimo libro di Jan-Werner Müller L’enigma democrazia (Einaudi). Sicuramente di questo si tratta, ma si tratta anche - seppure in modo sommario - di una storia dei fatti politici di quel «secolo breve»: l’analisi non obbedisce a ripartizioni accademiche. E poi di una storia dei protagonisti, soprattutto intellettuali ma anche politici: dal gigante che domina la prima parte del libro, Max Weber, a Sorel, Lenin e Stalin; da Lukács a Mussolini e Hitler; da Maritain a Gramsci; da Marcuse a Sartre; da Carl Schmitt ad Adenauer e De Gasperi; da Hayek a Oakeshott a Furet e tanti, tanti altri. A volte piccoli medaglioni, a volte biografie più approfondite, con giudizi personali forti.

Si tratta infine di una storia dell’Europa intera, dell’Ovest, del Centro e dell’Est, vista da un tedesco educato in Gran Bretagna e insegnante in una università americana: come Tony Judt, alla cui visione del compito dello storico, se non alle idee politiche, è molto vicino, Müller sa che non si può parlare di Europa se ci si limita all’Europa occidentale.

Questa miscela su tempi lunghi di idee, fatti, persone e Paesi - a partire dai due primi decenni del ’900, quando le grandi masse ottennero il diritto di voto e scardinarono la democrazia ristretta del secolo precedente - dà luogo a un tour de force intellettuale straordinario. A volte penetrante, analitico e originale, più spesso selettivo in una gran massa di materiali di seconda mano, ma sempre effettuato con maestria e sicurezza. Insomma, un decennio di lavoro ben speso, questo di Müller, trasfuso in un libro che consiglierei caldamente a chiunque voglia farsi un’idea della storia politica da cui proveniamo.

Un libro impossibile da riassumere. Ma il messaggio centrale è senz’altro quello colto da Shlomo Avineri («Foreign Affairs», Special Anniversary Issue, 2012, p. 69): «Il consolidamento democratico dell’Europa occidentale nel secondo dopoguerra non fu raggiunto facilmente né consistette in una semplice ripresa del precedente ordine politico. Emerse dalle lezioni apprese dalla fragilità delle concezioni e delle pratiche della democrazia europea tra le due guerre e dall’eredità dei movimenti non democratici di quel periodo. E fu molto favorito dall’urgenza e dalla coesione imposte dal contesto di guerra fredda».

Questo messaggio trae la sua forza dall’analisi della crisi della democrazia tra le due guerre contenuta nei primi tre capitoli del libro e dall’ampliamento della prospettiva ai Paesi dell’Est europeo. Si articola poi in altri tre lunghi capitoli, sul pensiero della ricostruzione e il ruolo delle democrazie cristiane e sulle sfide che questa concezione benevola ma controllata di democrazia dovette subire, prima dal movimento del ’68, e poi, a partire dagli anni 80, dal neoliberismo. Ma qual è la concezione di democrazia che emerse nel secondo dopoguerra e che condusse al suo «consolidamento»?

Lasciamo parlare Müller: è «storicamente ... impreciso sostenere che la seconda metà del XX secolo vide "il ritorno della democrazia" o "il ritorno del liberalismo", prima in buona parte dell’Europa occidentale e poi nei Paesi meridionali e orientali del continente. I cittadini europei crearono piuttosto qualcosa di nuovo, ovvero una democrazia fortemente limitata, per lo più da istituzioni non elettive, come le corti costituzionali...

Due innovazioni particolarmente importanti del dopoguerra - lo Stato democratico del welfare e la Comunità europea - devono essere considerate nella stessa luce: il primo era volto a scongiurare rigurgiti fascisti garantendo la sicurezza ai cittadini (la competizione con i Paesi dell’Est era una preoccupazione rilevante ma, in ultima analisi, secondaria)... e anche l’integrazione europea... puntava a creare ulteriori limitazioni all’idea di Stato-nazione democratico, grazie alla presenza di istituzioni non elettive» (p. XV).

Corti costituzionali, Welfare state, Comunità e poi Unione Europea: una concezione «socialdemocratica» di democrazia? Questo è vero solo in parte - il welfare state - e soprattutto nei piccoli Paesi nordici e nel Regno Unito, ma l’insieme delle limitazioni a una concezione puramente liberale della democrazia è il frutto della reazione alle tragiche esperienze tra le due guerre, al fascismo come risposta all’insufficienza delle istituzioni liberali. Nei tre grandi Paesi del continente, Germania, Francia, Italia, non fu la socialdemocrazia a disegnare la risposta postbellica, ma altre correnti politiche e soprattutto le democrazie cristiane.

Per la maggior vicinanza alla nostra esperienza politica, per l’ampiezza e l’approfondimento dell’analisi, ma soprattutto perché sfatano convinzioni ampiamente diffuse, i tre capitoli della seconda parte del libro sono quelli la cui lettura raccomanderei maggiormente.

La Chiesa cattolica, con grande fatica, aveva abbandonato le posizioni radicalmente antiliberali ancora molto forti tra le due guerre e l’attenzione per i ceti più deboli avvicinava i partiti cattolici alle posizioni socialiste moderate. Grandi intellettuali cattolici - Müller non ricorda soltanto Maritain - erano infaticabili nel cercare compromessi tra il pensiero della tradizione e le esigenze politiche e sociali della fase storica che si apriva con il dopoguerra. Politici coraggiosi e avveduti colsero l’occasione dell’anticomunismo e del tradizionalismo che ancora dominava le masse contadine di allora per creare grandi partiti e stringere compromessi con le forze del liberalismo e del socialismo moderato: le grandi costituzioni antifasciste dell’immediato dopoguerra nascono da questi compromessi. Da questi nasce anche il Welfare state del continente, non dall’iniziativa dei socialdemocratici.

Da questi nasce la Comunità Economica Europea. Da questi nasce, in sintesi, una democrazia limitata e difesa da istituzioni forti ma non elettive. Una democrazia che finora ha retto ad assalti ideologici e politici seri: per equilibrio, ampiezza e intelligenza è difficile trovare un’analisi dell’ondata antiautoritaria del ’68 migliore di quella di Müller. E sta reggendo allo tsunami neoliberale che il capitalismo della globalizzazione ha scagliato sulle sponde di tutte le economie avanzate.

Müller è storico delle idee e filosofo politico cauto e realista, e non si avventura a predire che cosa ci riserva un futuro in cui le vicende ideologiche e politiche europee probabilmente saranno sempre meno rilevanti. Del suo atteggiamento di studioso è esempio mirabile il modo in cui conclude l’Introduzione al suo libro. «Non vedo motivo di andare particolarmente fieri dell’ordinamento costituzionale assunto dall’Europa occidentale nel dopoguerra... e degli ideali che lo ispirarono. Se mai, la coscienza storica del modo in cui gli europei giunsero a tale assetto potrebbe contribuire almeno in piccola parte a spegnere la confortante illusione che la democrazia liberale sia necessariamente la condizione politica predefinita dell’Europa o, più generalmente, dell’Occidente». Prenda nota, Fukuyama!

*

Il libro di Jan-Werner Müller, «L’enigma democrazia. Le idee politiche nell’Europa del Novecento», Einaudi, pagine XX-356, 26


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: