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RIPENSARE L’EUROPA. PER IL "RISCHIARAMENTO" ("AUFKLARUNG") NECESSARIO. ANCORA NON SAPPIAMO DISTINGUERE L’UNO DI PLATONE DALL’UNO DI KANT, E L’IMPERATIVO CATEGORICO DI KANT DALL’IMPERATIVO DI HEIDEGGER E DI EICHMANN !!!

FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. ALLA RADICE DEI SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA EUROPEA ATEA E DEVOTA. Un breve saggio di Federico La Sala, con prefazione di Riccardo Pozzo.

In questa lezione incontriamo un altro Kant (...) Foucault scopre in Kant il contemporaneo che trasforma la filosofia esoterica in una critica del presente che replica alla provocazione del momento storico (...)
martedì 7 maggio 2024
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
SIGMUND FREUD E LA LEZIONE DI IMMANUEL KANT: L’UOMO MOSE’, L’ UOMO SUPREMO, E LA BANALITÀ DEL MALE. I SOGNI DELLA TEOLOGIA POLITICA ATEA E DEVOTA E LA RIVOLUZIONE COPERNICANA. NOTE PER UNA RI-LETTURA
QUESTO L’INDICE (il testo completo è allegato - qui in fondo - in pdf):
I
PRIMA PARTE:
SIGMUND FREUD, I DIRITTI UMANI, E IL PROBLEMA DELL’ (...)

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> FREUD, KANT, E L’IDEOLOGIA DEL SUPERUOMO. --- Psicologia delle masse e analisi dell’io. Quando la democrazia ha bisogno di un padre (di Roberto Esposito)

mercoledì 1 maggio 2013

Quando la democrazia ha bisogno di un padre

Da Freud a Recalcati passando per Kelsen. Una serie di saggi fra politologia e psicanalisi

Sulla figura paterna identificata nel leader è ora riedito Psicologia delle masse e analisi dell’io (Einaudi)

di Roberto Esposito (la Repubblica, 01.05.2013)

Nulla come questa fase convulsa della vita politica italiana sembra attestare la necessità, simbolica e istituzionale, del Padre. Non per caso Eugenio Scalfari, in occasione della elezione del Presidente della Repubblica, ha potuto ripubblicare su queste pagine lo stralcio di un editoriale scritto quindici anni prima. In esso era richiamata l’esigenza, per una comunità nazionale, di riconoscersi in un’autorità al di sopra delle parti, capace di rappresentare l’interesse comune come solo un padre simbolico può fare. In assenza del quale si corre il rischio che l’insieme dei cittadini regredisca al livello primitivo di un branco mosso soltanto da spinte acquisitive non riconducibili ad un progetto condiviso. È difficile non ritrovarsi in tali parole, che oggi, alla luce di quanto successo, acquistano, oltre la forza della ragione, l’evidenza dei fatti.

Eppure si può dire che la questione sia definitivamente risolta? Che non esistano alternative possibili al regime paterno? A queste domande rispondeva, nel 1919, Paul Federn, in un testo, intitolato appunto La società senza padre, tradotto, con una pregevole introduzione di Luisella Brusa, da Artstudiopaparo. Federn era allievo di Freud, ma capace di allontanarsi da lui su un tema decisivo non solo sul piano analitico, ma anche sociopolitico. Alla fine della prima guerra mondiale, l’Europa è battuta dal vento della rivoluzione. In tale situazione, Federn immagina un passaggio epocale da una società sottoposta all’autorità verticale del padre a un’altra organizzata orizzontalmente nella relazione tra fratelli. Anche i fratelli sono stati figli. Ma possono essere governati, più che dal dominio paterno, da una sorta di diritto materno, meno repressivo e più aperto al mutamento.

L’elemento dirompente dell’analisi di Federn sta nel fatto che, pur al cospetto della rivoluzione sovietica, egli individua una potenziale società dei fratelli in quella repubblica americana costruita da una massa di emigranti giunti «oltre oceano senza padre, con la speranza che la libertà, la cui statua li accoglie e saluta nel porto, li possa trasformare in fratelli con uguali diritti».

Già qui è possibile misurare sintonie e distonie con l’impostazione di Freud, come si va configurando nel suo testo, pubblicato a due anni di distanza, Psicologia delle masse e analisi dell’io (adesso riedito da Einaudi, a cura di Davide Tarizzo). Certo, anche Freud auspica una eliminazione del senso di colpa che accompagna la subordinazione al padre. Per non dire di quella coazione alla servitù volontaria, già rilevata da Étienne de la Boétie, su cui si veda adesso Il fascino dell’obbedienza. Servitù volontaria e società depressa di Fabio Ciaramelli e Ugo Olivieri (Mimesis).

Ma, ecco la differenza, per Freud la liberazione dal padre tiranno non può che passare per la sua immagine, che non è possibile cancellare. Gli stessi fratelli che, in Totem e tabu, lo uccidono e ne mangiano le carni. Una società che volesse disfarsi del Padre, o del totem che ne prende il posto, non potrebbe resistere al conflitto che si genera tra fratelli. Non è appunto questo che ci dicono i miti di Caino e Abele e di Romolo e Remo, insieme a tutte le guerre fratricide che hanno insanguinato la storia? È inutile illudersi - del padre non si può fare a meno. Ma come va intesa la sua figura? E che forma essa può assumere nelle moderne democrazie? Una risposta radicale viene da uno dei più grandi giuristi novecenteschi, Hans Kelsen, chiamato a redigere la Costituzione austriaca del 1920 e anch’egli membro della Società psicoanalitica di Vienna. Appunto in quella sede, nel 1921, egli tenne una conferenze su La nozione di Stato e la psicologia sociale.

Con particolare riguardo alla teoria delle masse di Freud, seguita, l’anno successivo, dalla pubblicazione di un saggio dal titolo Dio e Stato. Al contrario di Carl Schmitt - che finirà per scambiare il Custode della Costituzione con il capo del nazismo - anch’egli identifica nella democrazia una “società di fratelli”, in cui il comando personale del padre si scioglie nell’impersonalità della legge. L’immagine di Dio, dell’Imperatore, e anche di un Presidente- monarca deve essere sostituita da un insieme di norme, sempre rinnovabili, espressive del patto di fratellanza.

Si tratta di un tema decisivo, questo della fonte del potere, che non è possibile affidare alla sola competenza dei politologi, perché investe aspetti psicologici e simbolici cui essi spesso non hanno accesso. Che ne è del padre nella stagione della sua “evaporazione”, come si espresse Jacques Lacan? In più di un saggio di rara intensità, l’ultimo dei quale è Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre (Feltrinelli), Massimo Recalcati avanza una tesi di estremo interesse: il padre di cui abbiamo bisogno è un padre assente, la cui funzione non è quella del comando, ma della testimonianza di ciò che non sta nella nostra disponibilità, del limite che taglia come un’alterità ineludibile la nostra esperienza.

Ma il problema che resta aperto è appunto questo: è possibile tradurre il puro nome del padre assente in una forma istituzionale che ne trasformi l’autorità in potere effettivo? E che ne sarebbe, in questo caso, di quella società dei fratelli che il pensiero democratico, nonostante le tante smentite storiche, non può esimersi dal pensare? È possibile, insomma, sfuggire alla macchina della teologia politica che da duemila anni ci tiene prigionieri?


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